domenica 11 aprile 2021

Michela Murgia: Stai zitta / 1

 

 

Per quale motivo le conseguenze di uno «Stai zitta» sono talmente minime da far pensare a tutti coloro che lo ascoltano che si tratti di una reazione normale nella dialettica con persone di sesso femminile? È come se nella testa di tutti (e tutte) ci fosse qualcosa di insopprimibilmente fastidioso nell’idea che una donna possa non solo avere un’opinione, ma addirittura contrapporla a quella di un uomo, per cui – se lo fa – che si prenda anche le conseguenze che ne derivano. «Lo hai provocato», mi sono sentita dire nella specifica circostanza del confronto col professor Morelli. Io, che credevo di averlo solo contraddetto, ho capito che di tutte le cose che possiamo fare nel mondo come donne, parlare e farlo in modo problematico è ancora considerata la piú sovversiva. Una donna che parla in contraddittorio «provoca». Il resto può passare, ma l’atto di esprimere opinioni divisive va sempre contestato. Sei cantante e dici la tua sui migranti? Continua a cantare e stai zitta. Sei scrittrice e fai un commento su come il governo gestisce l’emergenza pandemica? Scrivi i tuoi libri e per il resto stai zitta. Fai l’attrice e rilasci una dichiarazione sulle scelte collettive per fermare il cambiamento climatico? Eri molto meglio quando facevi i film e stavi zitta.

Le aree semantiche che definiscono una donna che parla sono quasi sempre denigratorie. Se discorre è chiacchierona, linguacciuta, pettegola. Se ribatte è petulante, stridula, sguaiata, aggressiva. Gli aggettivi fanno spesso riferimento all’acutezza del tono vocale, trasmettendo l’idea che il suono della voce femminile aggredisca l’udito piú di quanto potrà mai fare una voce maschile. Un gruppo di uomini che parlano è un consesso dialettico, un gruppo di donne è un pollaio. Quando Corona diede a Berlinguer della «gallina» è esattamente all’uso di

quell’immagine che faceva riferimento. Se le donne giovani sono galline, le donne anziane che parlano sono invece cornacchie, secondo un processo di bestializzazione che tende ad accomunare tutte le voci di donna, giovane o vecchia che sia, a uno scontato senso di fastidio.

La donna socialmente gradita è una donna silenziosa, che diletta con qualunque arte, tranne quella oratoria. Il diritto di parola è quello in teoria piú tutelato dalla Costituzione, che non fa distinzioni tra uomini e donne nella potenzialità di espressione. Nell’agorà mediatica la possibilità di parola per le donne è però molto piú ridotta di quella degli uomini, sia in termini di presenza che in quelli di opportunità. La rappresentazione femminile nei media italiani è in grande misura ancora quella riservata a una creatura muta. A Sanremo – tempio del nazional popolare – per decenni abbiamo visto e continuiamo a vedere uomini che presentano e chiosano accompagnati da donne benvestite che si limitano a sorridere alle loro battute. La categoria televisiva della velina bella e zitta è talmente diffusa tra le reti e perdurante nel tempo da non aver bisogno di citarne gli esempi, ma anche nei talk show dove sarebbe possibile esprimersi con competenza condivisa accade che le donne non siano quasi mai presenti o lo siano per motivi diversi dalla competenza. Il risultato è che la sproporzione nella possibilità di parola tra i sessi ha educato per decenni lo spettatore e la spettatrice italiani ad associare l’autorevolezza a un uomo e a vedere nella donna che ha un parere l’eccezione che va motivata.

In rari casi la presenza femminile viene risolta con la conduzione, che è effettivamente un ruolo di prestigio, perché ti consente di dettare temi e tempi, ma ti relega al ruolo della padrona di casa, dove le tue domande costruiranno certamente uno spazio di autorevolezza, ma per le risposte di qualcun altro. Analizzando le trasmissioni di dibattito condotte da donne negli ultimi tre anni in Italia è evidente che il parterre degli ospiti – giornalisti, filosofi, scrittori, politici e scienziati – è e rimane costituito in grandissima maggioranza da maschi, perché si suppone che siano loro i soli ad avere le risposte alla complessità del mondo. Non è cosí strano che quando una donna prova a farsi sentire dietro a questo muro di giacche e cravatte venga ricambiata con irritazione e supponenza, paternalismo nel migliore dei casi, con ostilità e l’immancabile invito a tacere nel peggiore.

Il sostrato culturale di questo desiderio di silenzio femminile è anche religioso. Tutte le teocrazie del mondo prevedono che la donna taccia in pubblico e lo stesso cristianesimo, nelle sue prassi – anche per colpa della lettura sessista di alcuni testi paolini –, ha per secoli sconsigliato alle donne la presa di parola nell’assemblea. Parlare è un potere e dare potere alle donne è sempre stata una cosa problematica nei monoteismi. «L’unico femminismo che ci piace è quello silenzioso della Madonna, – scriveva nell’editoriale prenatalizio del 2020 il giornalista di un quotidiano sovranista improvvisatosi teologo, per poi proseguire – è una madre giovane, semplice, dolce, il cui pianto non diventa mai piagnisteo e che ci insegna l’importanza della riflessione interiore».

Il silenzio è una virtú, ma solo se sono le donne a praticarlo. Agli uomini nessuno chiede di tacere le loro riflessioni interiori, anzi sono cosí sollecitati a condividerle che è lecito sospettare che prima di parlare parecchi di loro non abbiano riflettuto a sufficienza. Invece al sesso femminile è consigliato di fermarsi alla fase del pensiero afono, proprio come la Maria di Nazareth che, secondo una certa ermeneutica strumentale tradizionalista, ci venne raccontata come creatura talmente annichilita dalle conseguenze dell’unica volta che ha aperto bocca da non voler aggiungere piú una parola per tutta la vita, dalla mangiatoia di Betlemme alla croce del Golgota.

Il vecchio adagio sessista veneto che immagina la donna ideale come una creatura che la piasa, la tasa e la resta a casa (che sia bella, zitta e a casa) è ancora attuale nella testa di molti e molte e viene fuori attraverso un armamentario di frasi che, pur se non arrivano a imporre direttamente il silenzio, comunque lo sottintendono. Eccone un campionario minimo.

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