venerdì 9 aprile 2021

Conti in Svizzera, ecco perché Fontana non collabora coi pm

 


da: Il Fatto Quotidiano - di Davide Milosa

È passata una settimana dalla richiesta di rogatoria inviata in Svizzera dalla Procura di Milano e dalla notizia che il governatore Attilio Fontana è indagato per autoriciclaggio e false dichiarazioni in voluntary rispetto alla vicenda dei suoi conti esteri. Eppure il presidente della Regione Lombardia ancora non ha portato ai magistrati i documenti che, a suo dire, dovrebbero chiarire tutto.

Nel comunicato del 31 marzo firmato dal procuratore Francesco Greco si leggeva: “La difesa del Fontana si è oggi dichiarata disponibile a fornire ogni chiarimento sia in sede rogatoriale che, se del caso, mediante produzione documentale ovvero presentazione spontanea dell’assistito”. Tutto tace. C’è però un dato chiarissimo che emerge dagli atti dell’inchiesta. Ed è un filo mai interrotto tra i tre conti (alcuni dotati di schermature off-shore) negli anni riferibili a Fontana e a sua madre. Tutti, infatti, sono stati aperti e chiusi presso lo stesso istituto di credito, e cioè la Ubs di Lugano. Il che, è il ragionamento fatto dalla Procura, mette sul tavolo un dato tanto banale quanto dirimente: Fontana presso Ubs è un cliente storico e soprattutto noto, non vi sarebbe quindi alcun problema, in qualità di cliente, a richiedere alla banca tutti i movimenti e gli estratti conto delle sue posizioni, passate e presenti. Anche perché l’ultimo conto con codice finale 417, aperto il 18 settembre 2015 e sul quale sono stati riversati 5,3 milioni di euro dal conto 2005 con codice finale 102, risulta, stando alla ricostruzione dei pm, ancora attivo.

L’Ubs "conserva i documenti anche fino al 1997". Insomma i dati oggettivi sembrano contrastare con quanto dichiarato da Fontana in questi giorni. A partire dal fatto, come spiegato dai suoi legali, che il governatore sarebbe al momento in possesso solo della documentazione che arriva fino al 2009 e non al 2005. A confermare la soluzione di continuità dal 1997 a oggi è anche il codice iniziale che ricorre sempre identico per tutte e tre le posizioni, e cioè il 247. Non vi è dubbio, quindi, viene spiegato in Procura, che Fontana potrebbe chiedere, e la banca sarebbe obbligata a farlo, tutti i documenti a sua discolpa. Tanto più che attraverso interlocuzioni informali con la Svizzera i pm confermano che la banca ha negli archivi tutti i documenti a partire dal 1997. Sarebbe, dunque, interesse di Fontana chiederli. Anche perché non è per nulla detto che le richieste elencate nell’ultima pagina della rogatoria vengano accolte in toto dalle autorità svizzere.

L’obiettivo principale dei pm è duplice: capire chi ha aperto il conto 102 del 2005 e come sono stati portati i primi 2,5 milioni (in contanti o con bonifico) che, secondo l’accusa, non sono riferibili all’eredità e alla presunta evasione della madre, visto che nel 2005 Giovanna Maria Brunella era in pensione da otto anni, percependo circa 21mila euro l’anno. In sostanza ai pm bastano gli estratti conto almeno rispetto alla posizione del 2005.

I contatti procura-avvocati in corso già da mesi. Fin dall’inizio la Procura, sul fronte dei conti esteri, non ha mai alzato un muro rispetto a una possibile interlocuzione con il presidente e la sua difesa. Di più: a quanto risulta al Fatto, sono ormai diversi mesi che i vertici della Procura hanno intavolato contatti informali con Fontana anche per evitare di arrivare alla soluzione rogatoriale e alla stessa iscrizione del presidente lombardo. Tentativi al momento caduti nel vuoto. Nel frattempo, ormai mesi fa, la Guardia di finanza ha perquisito gli uffici dell’Unione fiduciaria che gestisce l’ultimo conto. Altro buco nell’acqua. Anche per questo si è deciso di non procedere a una perquisizione al domicilio di Fontana, azione da un lato ritenuta inutile e dall’altra troppo invasiva dal punto di vista mediatico. E nonostante questo, la collaborazione del politico leghista ancora non è arrivata.

La rogatoria poteva operare sul conto del 2015. Eppure un aiuto da parte del governatore, sostiene l’accusa, sarebbe dirimente anche in relazione ai documenti mancanti nel fascicolo della voluntary disclosure. Su tutti quello che dovrebbe indicare in che modo sono stati accumulati i capitali esteri. Relazione che i pm definiscono “muta”. Fontana però spiega che “su quel conto non ha mai operato, prima del 2015”. Eppure, è scritto nella rogatoria, nella dichiarazione dei redditi per il 2014 Fontana “si attribuiva autonomamente la qualifica di delegato al prelievo e alla movimentazione in assenza di qualsivoglia legittimazione formale anche in ragione del fatto che si trattava di una annualità in cui la madre era ancora in vita”. La mancata collaborazione di Fontana rischia di nuocergli forse più del dovuto. La Procura poi ha già dimostrato di non avere alcun pregiudizio, visto che nel marzo 2020 ha chiesto e ottenuto l’archiviazione del presidente rispetto all’accusa di abuso d’ufficio, per come emersa nell’inchiesta Mensa dei poveri, in relazione alla nomina in un organismo regionale del suo ex collega di studio, l’avvocato Luca Marsico.

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