mercoledì 21 aprile 2021

Michele Ainis: "Non è una pensione per i poveri, ai condannati va tolto il vitalizio”

 


da: Il Fatto Quotidiano – di Lorenzo Giarelli

La Commissione contenziosa ha esercitato poteri superiori a quelli della Corta costituzionale, senza averne i requisiti”. Il costituzionalista Michele Ainis, oggi componente dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, è netto: la decisione dell’organo del Senato che ha restituito i vitalizi ai condannati presenta grossi problemi “di forma e di sostanza”, motivo per cui, come richiesto dal Fatto con una petizione avviata in queste ore, il provvedimento dovrebbe essere appellato. Anche perché, è il parere del giurista, i parlamentari condannati in via definitiva vengono meno a quei doveri di “disciplina e onore” indicati

Professor Ainis, partiamo dalla forma. Cosa c’è che non va nella decisione della Commissione contenziosa?

Per prima cosa, rispetto alla delibera del 2015, ovvero quella che negava il vitalizio ai condannati, la Commissione si è comportata come si comporterebbe la Corte costituzionale nei confronti di una legge ritenuta illegittima, che può essere annullata erga omnes dalla Consulta. Ma l’annullamento di una delibera del Consiglio di presidenza del Senato, come in questo caso, è una nota stonata, anche perché gli atti regolamentari di Palazzo Madama hanno un rango persino superiore a quello delle leggi ordinarie. In altre parole, il colpo di cannone della Commissione travolge un atto normativo che la stessa Corte costituzionale non potrebbe toccare.

Non ne aveva i requisiti?

Il problema è che alla Corte costituzionale è riconosciuta una certa indipendenza, non si diventa giudici costituzionali per caso. La Commissione contenziosa invece è composta da un piccolo drappello di parlamentari e non può garantire gli stessi requisiti di terzietà della Consulta, né ormai è espressione degli equilibri parlamentari. In più, la Commissione ha finito per contraddire se stessa con questa decisione.

In che senso?

I componenti dicono di aver restituito il vitalizio in nome del principio di uguaglianza, richiamando l’articolo 3 della Carta, ma così facendo paradossalmente hanno creato una palese disuguaglianza tra Camera e Senato: se un condannato percepiva l’assegno dalla Camera, in questo momento non lo percepisce più in virtù della delibera Boldrini, analoga a quella di Grasso e ancora in vigore; se invece lo percepiva al Senato, l’assegno gli è stato appena restituito.

In caso di ricorso alla Consulta l’autodichia rende però difficile capire chi sia il soggetto titolato a sollevare il  conflitto di attribuzione.

Questo è vero, ma negli ultimi tempi la Corte costituzionale ha un pò allargato la platea di coloro i quali possono sollevare il conflitto, dunque potrebbe essere un ostacolo superabile. Per restituirlo ai condannati, la Commissione ha paragonato il vitalizio al reddito di cittadinanza. Al di là di ogni valutazione, c’è un presupposto sbagliato: quello del parlamentare non è un lavoro, come peraltro ci indica la Costituzione e come lo avevano inteso i Padri costituenti durante i lavori dell’Assemblea. Si tratta di un servizio reso ai cittadini, non di un lavoro. Di conseguenza, il vitalizio non è una pensione, perciò viene meno ogni parallelo con il reddito di cittadinanza, anche senza considerare che quello restituito non è certo un contributo a favore degli indigenti, ma un assegno molto più corposo.

Possibile che 7.000 euro al mese passino per un’assistenza sociale?

Non mi è mai piaciuto il vento anti-casta, ma bisogna trovare soluzioni bilanciate caso per caso, non generalizzare. Un paragone con il reddito di cittadinanza ha senso solo se qualche ex parlamentare avesse davvero bisogno di un sostegno per non essere in difficoltà.

C’entra anche un discorso etico?

A questo riguardo il Senato mi chiese un parere tecnico qualche tempo fa. Abbiamo a che fare con un servizio ai cittadini – e non un lavoro, come si è visto –condizionato da alcuni presupposti sanciti dalla Costituzione, che all'articolo 54 richiede “disciplina e onore” a chi ricopre incarichi pubblici. Non solo: l’articolo 48 prevede che si possa perdere il diritto di voto in caso di “indegnità morale”. Direi che il vitalizio rientra nei diritti che circondano il mandato parlamentare e dunque quelli di elettorato attivo e passivo. Per questi motivi ero favorevole alla delibera del 2015 (quella che tolse il vitalizio anche ai condannati per reati contro la Pubblica amministrazione, ndr) e da allora non ho certo cambiato idea. 

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