venerdì 16 aprile 2021

Draghi e Erdogan: Come a scacchi, seconda mossa sui "dittatori"

 

 

da: Il Fatto Quotidiano – di Antonio Padellaro

Non sappiamo se Mario Draghi sappia giocare a scacchi, ma sicuramente non gli sfuggono due regole basilari del gioco, e del potere: mai improvvisare e prevedere sempre le mosse successive.

Ora ci viene confermato che aver definito “dittatore” il presidente turco Recep Tayyp Erdogan, nella conferenza stampa di una settimana fa, non fu “voce dal sen fuggita” ma gesto calcolato pur non privo di azzardo. Lo sappiamo perché malgrado le forti pressioni diplomatiche di Ankara per una sollecita marcia indietro, Draghi è rimasto in silenzio. Chi ha dimestichezza con il premier sa che egli pur non sottovalutando (e come potrebbe?) le conseguenze economiche di una rottura con la Turchia per le aziende italiane, intende mantenere il punto. Nei confronti dei tiranni – siano essi partner strategici o meno – amanti del filo spinato e delle carceri per gli oppositori e i giornalisti. Anche quando con essi si è costretti a scendere a patti, come sulla questione immigrazione. Del resto, la risposta di Erdogan a Draghi (“è un gran maleducato”) è sembrata più che altro un ridicolo segno di debolezza da parte di chi reagisce a un ceffone citando il galateo.

Adesso però nella presa di distanza dai regimi autocratici, il governo italiano è chiamato a una inevitabile seconda mossa poiché se parliamo di violazione dei diritti umani, il governo egiziano di Al Sisi non ha certo meno benemerenze del sultano turco. Mentre

l’inchiesta sull’assassinio di Giulio Regeni si arricchisce di nuovi depistaggi (gli agenti sapevano della sua morte e decisero di inscenare una rapina finita male), mercoledì al Senato la richiesta di concedere la cittadinanza italiana allo studente egiziano Patrick Zaki, detenuto nelle carceri del Cairo sulla base di accuse pretestuose, è stata pressoché unanime. Di particolare valore morale e simbolico la presenza in aula della senatrice a vita Liliana Segre, 90 anni, che ha detto: “Sarò sempre presente quando si parla di libertà. Ricordo cosa si prova da innocente in prigione”.

Insomma, definendo Erdogan per quello che è, in difesa dei valori basilari della democrazia, Draghi ha intrapreso una strada accidentata che non gli procurerà molte simpatie da parte di certi nostri vicini che con la parola democrazia si puliscono gli stivali. Ma come ogni percorso consapevole, non può fermarsi alla prima tappa.

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