di Marco
Giovanniello
Il prestito ponte, concesso dallo Stato ad
Alitalia quasi dodici mesi fa, è stato messo sotto osservazione da parte
dell’Unione Europea, che vuole appurare se si tratta di un aiuto di Stato, come
tale concorrenza sleale e vietata.
I meccanismi di Bruxelles sono lenti, ma
perfettamente prevedibili. Quanto accade ora era assolutamente scontato,
qualche linea aerea concorrente avrebbe lamentato la violazione delle regole
del gioco e la procedura comunitaria sarebbe partita. Era altrettanto certo che
non sarebbe successo subito, che dunque si sarebbe potuto guadagnare tempo,
evitando la chiusura di Alitalia e la messa a terra degli aerei che altrimenti
sarebbe stata inevitabile all’inizio del maggio 2017.
Il prestito si chiama “ponte” perché doveva
permettere ad Alitalia di scavalcare il mare di guai e trovare un compratore.
La sua restituzione con gli interessi era stabilita dopo sei mesi, ma è stato
invece prorogato e aumentato a novecento milioni. Ora che si avvicina pure la
scadenza della proroga, il Governo Gentiloni si accinge a rinviarla a fine
anno.
Ammesso che abbia avuto senso non chiudere
Alitalia un anno fa e darle il tempo di trovare qualcuno che ne salvasse almeno
una parte, è ora di giudicare la scelta politica di disprezzare le offerte di
acquisto pervenute, con il mantra “Vogliamo
vendere, non svendere” del ministro Calenda e di fatto prendere in giro le
regole europee per cui le aziende devono stare in piedi da sole e non con i
soldi dei contribuenti.
Non si capisce in base a quale parametro si debba giudicare che Alitalia verrebbe svenduta
anziché venduta. Alitalia in sé non
vale niente, ha una montagna di debiti pregressi che l’Amministrazione
Straordinaria le consente di non pagare, i
suoi aerei sono quasi tutti in leasing e si può essere certi che quelli che
risultano di proprietà sono in realtà gravati di pegni e rate da pagare per il
loro intero valore.
La sua quota di mercato in Europa è
risibile, quella in Italia diminuisce senza soste ed è ormai ridotta al 12,6%,
cioè solo un passeggero su otto vola Alitalia.
Ha valore il diritto che ha di effettuare
certe rotte, come quelle in esclusiva dall’Italia per il Giappone o il diritto
di volare dall’aeroporto di Milano Linate, anziché Malpensa o Bergamo, ma è un
po’ come se fossero beni pubblici di cui ha l’uso gratuito, non di beni
aziendali veri e propri.
Passati i primi mesi di Amministrazione
Straordinaria, in cui saranno state raddrizzate le storture aggiunte dalla
sciagurata ultima gestione di Etihad e i potenziali acquirenti hanno fatto le
loro valutazioni, nulla può accadere che aumenti il valore di Alitalia, anzi le
perdite che presumibilmente comporta ogni giorno di voli non fanno che
diminuirne ulteriormente il valore.
E allora perché tardare? Per cecità politica. Nessun compratore
vuole farsi carico, oggi come sei e dodici mesi fa, dell’eccesso di dipendenti che Alitalia ha, nessuno lo farà in futuro e
la politica si impunta e non accetta la perdita di posti di lavoro, nemmeno in
un settore come l’aviazione che non smette di crescere e in cui ogni giorno se
ne creano di nuovi.
Tutti ricordiamo che Ryanair alla fine dell’estate ha dovuto cancellare molti voli e
mettere un freno alla propria crescita, perché ha meno piloti di quelli che le servirebbero. In Europa e nel mondo le
linee aeree cercano di strapparseli di mano e da noi che si fa? Cassa
Integrazione per 100 comandanti e 90 piloti Alitalia che stanno a casa, pagati
per non volare con i soldi delle tasse dei contribuenti e delle sovrattasse sui
biglietti acquistati dai passeggeri, qualunque linea aerea scelgano.
Che senso ha? E soprattutto, a che cosa è
servito alla forza politica che sta dietro al Governo, il PD?
Come gli 80 euro, come il rinnovo
sotto elezioni dei contratti degli statali, aver sifonato i soldi degli Italiani nelle casse di Alitalia non ha
fatto vincere le elezioni al PD, che nelle urne ha invece trovato la
disfatta.
Peggio ancora, come le altre varie sciocche
polemiche in cui Matteo Renzi se l’è presa con l’Unione Europea, ha portato
acqua al mulino della narrazione per cui L’Europa con le sue regole è la fonte
di ogni male e che il nostro avvenire sarebbe radioso, se solo Bruxelles non ci
impedisse ad esempio di versare altri fiumi di soldi nelle nostre eccellenze,
come Alitalia.
Non capisco perché Gentiloni voglia concedere un ennesimo
rinvio della questione Alitalia, errare è umano, ma perseverare è
diabolico.
I nuovi
geni economici che stanno dietro ai nuovi statisti unti dalle urne pare che
suggeriscano la nazionalizzazione di
Alitalia e non manca il coro della stampa, ma attenzione, Alitalia è già stata nazionalizzata. Se ogni giorno vola è con i nostri soldi che le ha dato il Governo e non sarà
nazionalizzazione intestare una quota a chi come la Cassa Depositi e Prestiti è soltanto uno pseudonimo dello Stato.
Ma certo, un Paese a forte vocazione
turistica come l’Italia non può rinunciare ad avere la sua linea aerea, non può
correre il rischio di finire come la Spagna,
che ha ceduto Iberia al gruppo
capeggiato da British Airways. Non può fare come la Svizzera, che ha venduto
la sua linea aerea ai Tedeschi di Lufthansa. Tutti sappiamo che da allora il turismo in Spagna e Svizzera va
malissimo…
Chi teme
per il futuro economico del Paese, affidato alle cliccarie 5 Stelle e ai deliri
sovranisti della Lega, ricordi che
la politica economica del PD non era molto meglio.
La politica
dovrebbe fare il suo mestiere, cioè cercare una soluzione che permetta
all’aviazione italiana di crescere meglio e non essere solo terreno di
conquista, soprattutto negli ancora lucrosi voli intercontinentali. Dovrebbe
aiutare le realtà che sul territorio hanno successo, anziché chi le soffoca con debiti non pagati e le
mantiene in qualche modo sottosviluppate.
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