domenica 9 maggio 2021

Michela Murgia: Stai zitta / 9

 

 


Calmati.

La donna che dissente nelle società sessiste ha per definizione qualcosa di scomposto. Quando ti hanno cresciuta facendoti credere che essere femminile volesse dire essere gentile, carina, sorridere anche se non ti va, non negare attenzione né plauso, accondiscendere sempre e mostrarsi obbediente e diligente, vederti smettere di farlo è percepito immediatamente come un atto disordinato, un tradimento della posizione assegnata al tuo genere. Se ti esprimi in forte opposizione non sei una persona equilibrata, ma un’isterica, un’emotiva, un’irrazionale che non sa dominare le proprie passioni, né gli ormoni turbinanti del ciclo. Oppure, variante sempreverde, non assumi da tempo quella panacea per ogni malumore femmineo che, secondo il sessista medio, dovrebbe essere il pene. Se una donna esprime un dissenso di qualunque tipo e in qualunque forma, e qualcuno la invita a calmarsi, il senso è preciso: se fossi una persona serena, ovviamente mi daresti ragione.

Hai ragione, ma sbagli i toni.

Questa frase è uno dei piú efficaci diversivi che possano essere messi in atto durante una discussione in cui qualcuno sta esprimendo dissenso. La pratica si chiama tone policing («farti la lezioncina sui toni») e serve a spostare l’attenzione dalla sostanza alla forma, togliendo forza alla materia del contrasto. La si vede usare in ogni frangente di dissenso e funziona

cosí: prendi un moto di protesta che ha ottime ragioni – per esempio il movimento Black Lives Matter – e dici: «Hanno ragione, però spaccare le vetrine non va bene». È successo qualcosa di analogo per anni alla comunità LGBTQI+ con il Pride; da quante persone avete sentito dire: «Giusto, però che baracconata, è proprio necessario rivendicare cosí»?

Essendo una forma di paternalismo, il tone policing è usatissimo contro le donne che si pongono in una posizione di contrasto verso un uomo. Il sottotesto è evidente: «Protesta gentilmente e silenziosamente, cosí posso continuare a ignorarti».

Devi ribattere proprio a tutto?

Pronunciata con tono stanco e rassegnato, giunge cosí la via di mezzo, la richiesta di passare da attaccante a mediana, una che non sempre va a cercare il goal, ma ogni tanto cede semplicemente la palla e fa giocare gli altri, nello specifico i maschi. A differenza delle frasi precedenti, questa frase non attacca il cosa e nemmeno il come, ma il quanto. Non è che le tue battaglie non siano giuste, ma è proprio necessario che le debba combattere proprio tutte e proprio tu? Allenta il fronte, non essere spietata, lascia al prossimo quel po’ di respiro che è proprio dei grandi negoziatori. Rallenta il ritmo, giusto il tempo che serve al patriarcato per riorganizzarsi. Cosí vivi meglio anche tu, no?

Cosí resterai sola.

Lo spettro della zitellaggine salta fuori dall’armadio ogni volta che una donna si pone in modo conflittuale rispetto a quelle che sente come ingiustizie. Pare che se la brava bambina smette di star zitta e compiacente e sceglie di «fare la stronza», facendo notare continuamente cosa c’è da aggiustare nel meccanismo sociale, accada l’orrore degli orrori: queste creature spaventabili che sono gli uomini si terrorizzeranno di lei al punto che nessuno la vorrà mai. Nella concezione patriarcale, la peggiore sventura che possa capitare a una donna è restare senza un uomo, divenendo una creatura egoista dal cuore arido, che camperà triste e morirà sola senza aver mai sperimentato la pienezza della vera femminilità.

È una leggenda e bisogna gridarlo forte. Gli unici uomini che si spaventano se una donna protesta contro un’ingiustizia sono quelli che hanno la responsabilità deliberata o tacita di quell’ingiustizia. Gli altri non solo non hanno alcun problema con le donne che protestano, ma sempre piú spesso si attrezzano per aiutarle.

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