domenica 9 maggio 2021

Tassare i ricchi più dei poveri. Stavolta non seguiamo gli Usa?

 


da: Il Fatto Quotidiano – di Tommaso Faccio

La trickle-down economics non ha mai funzionato. È il momento di far crescere l’economia in modo inclusivo, dal basso verso l’alto e allargando il ceto medio”. Davanti al Congresso, mercoledì il presidente degli Usa Joe Biden ha liquidato così la teoria economica che ha dominato gli Usa negli ultimi 40 anni: l’idea che ogni misura a vantaggio dei ceti più abbienti stimolerà l’economia con effetti positivi che un po’ alla volta verranno avvertiti da tutti (uno “sgocciolamento”, appunto, verso il basso). Questa fallace teoria ha spinto negli anni a ridurre le tasse alle imprese - con l’aliquota per l’imposta sui redditi delle società scesa dal 46% nel 1979 al 21% oggi e quella massima sui redditi più alti scesa dal 70% nel 1979 al 37% - ma è stata smentita dai dati.

Un recente studio della London School of Economics sugli effetti della riduzione delle tasse a ricchi e imprese negli ultimi 50 anni in 18 Paesi mostra come queste riforme abbiano sì aumentato il reddito dell’1% più ricco della popolazione, ma che l’effetto sulla crescita e sugli investimenti sia stato pari a zero. Lo è stato pure l’effetto sugli investimenti della sforbiciata senza precedenti alle tasse sulle imprese introdotta nel 2017 da Trump, con un taglio dell’aliquota sui redditi delle imprese dal 35% al 21%,con un costo per le casse dello Stato di 2.000 miliardi di dollari. Le imprese non hanno aumentato gli investimenti ma i dividendi e il riacquisto di azioni per pompare il valore in Borsa: una manna per gli azionisti.

“È il momento per le imprese e l’1% più ricco di pagare quello che è giusto”, ha detto Biden. Finanziare il piano di investimenti in infrastrutture da duemila miliardi e i 1.800 miliardi destinati alle spese per infanzia, famiglie e studenti toccherà a chi sta in cima alla piramide sociale: imprese (specie multinazionali) e chi ha un reddito superiore ai 400 mila dollari. Dietro la riforma fiscale c’è la volontà di trasformare la società e la direzione dell’economia, con nuove tasse solo per i più ricchi per finanziare la transizione ecologica, le infrastrutture, il sostegno alle famiglie e creare posti di lavoro ben retribuiti.

Gli Stati Uniti riscoprono così la progressività fiscale: aumento dell’imposta sui redditi delle imprese dal 21 al 28%, introduzione aliquota minima globale al 21% per tassare i profitti delle multinazionali americane all'estero, aumento dell’aliquota più alta sui redditi dal 37% al 39,6%, ma soprattutto aumentare l’aliquota sulle plusvalenze (“capital gains”) dal 23,8% al 43,4% per chi ha un reddito oltre il milione di dollari, una misura che interesserà solo lo 0,3% più ricco.

Sono i super benestanti infatti ad avere beneficiato maggiormente del sistema attuale. I 400 americani più ricchi erano soggetti a un’aliquota effettiva inferiore al 25% nel 2018, più bassa di quella pagata sia dal ceto medio che dai più poveri. Questo perché il reddito dei super ricchi deriva principalmente dal capitale (dividendi, plusvalenze azionarie o su immobili) e non dal lavoro. Questa classe ha visto la sua ricchezza esplodere con la pandemia.

Mentre 20 milioni di americani perdevano il lavoro, i 650 più ricchi hanno visto aumentare la propria ricchezza di mille miliardi (4mila miliardi quella totale stimata). Tra gli impiegati che rischiano la vita nei lavori essenziali c’è chi paga più tasse in proporzione dei super ricchi che lavorano da casa. Un’ingiustizia a cui Biden vuole mettere fine, restituendo progressività al sistema fiscale e chiedendo a chi ha di più di contribuire di più alla ripresa.

L’aumento della progressività fiscale riscontra il favore degli americani. Un recente studio del Fondo monetario internazionale mostra che chi ha sofferto direttamente gli effetti negativi è favorevole. Gli ultimi sondaggi mostrano come due americani su tre approvino l'aumento delle tasse su imprese e redditi alti per finanziare nuove spese per infrastrutture, infanzia, famiglie e studenti.

Gli Usa si apprestano dunque a ridisegnare il proprio sistema fiscale in ottica progressiva. E in Italia? Nel discorso di insediamento al Senato, Mario Draghi ha ricordato come sia obbligatoria “una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare la struttura del prelievo, riducendo il carico fiscale e preservando la progressività”. Il sistema fiscale italiano presenta le stesse problematiche di quello americano, dove alcuni redditi da capitale (plusvalenze azionarie/affitti da immobili) sono tassati con aliquote massime ben inferiori a quelle su redditi da lavoro. Una scelta politica che, come negli Usa, aiuta i più ricchi. Va rafforzata la progressività sui redditi, sia da lavoro che da capitale, assorbendo i regimi sostitutivi.

La pandemia offre l’opportunità di fare scelte ambiziose. Crescere sì, ma tutti insieme. Gli Usa ci indicano la strada: solo stavolta non la seguiremo?

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