sabato 22 maggio 2021

Opere pubbliche, ritorna la giungla: via a massimo ribasso e subappalti liberi

 


da: Il Fatto Quotidiano - di Carlo Di Foggia e Marco Palombi

La bicicletta che abbiamo voluto, e su cui dovremo pedalare, è quella che è: Next Generation Eu coi suoi tempi contingentati e il delirio burocratico per giustificare atti e spese a Bruxelles, richiede le famigerate “semplificazioni”, vale a dire –soprattutto – minori controlli a tutti i livelli degli appalti pubblici. Nella bozza di decreto sul tema predisposta a Palazzo Chigi (sarà approvata la prossima settimana) – che Il Fatto ha potuto visionare – non ci sono però solo semplificazioni.

Le norme più controverse riguardano le modifiche al Codice degli appalti pubblici, per il quale peraltro si prolungano fino al 2026 le deroghe (soprattutto agli obblighi di gara) introdotte dal governo Conte-2 e si stabilisce che tutte le opere connesse al Piano di ripresa (Pnrr) siano da considerarsi “strategiche” (questo per  evitare che vengano concesse sospensive in caso di ricorso sugli appalti).

Sul tema, purtroppo, c’è ben di peggio: attraverso un sapiente taglia e cuci legislativo, infatti, si finisce per resuscitare il pessimo combinato disposto tra gare assegnate col massimo ribasso e completa liberalizzazione dei subappalti che in passato aveva reso il settore delle costruzioni più simile a una giungla che a un’attività economica.

Per velocizzare le procedure di gara, infatti, si prevede che “qualora l’offerta abbia a

oggetto la realizzazione del progetto definitivo, del progetto esecutivo e il prezzo, l’aggiudicazione può avvenire sulla base del criterio del prezzo più basso”, ribasso che è possibile solo sulla realizzazione dell’opera non sulle attività di progettazione. Se si riapre la porta al massimo ribasso, logicamente bisogna far recuperare margini ai costruttori: ed ecco arrivare il subappalto libero.

Di fatto, attraverso alcune modifiche mirate, si liberalizza quantità e qualità dei lavori affidabili a terzi. A quel punto, per lavarsene le mani di quel che accadrà nei suoi cantieri in termini di salari e sicurezza, all’appaltatore principale basterà scegliere una ditta iscritta in apposite liste (tipo l’anagrafe antimafia) per evitarsi pure il fastidio di controllare e tanti saluti.

Per capirci, laddove la norma attuale prevede che nel subappalto vigano “gli stessi prezzi unitari” della gara, che l’affidatario paghi al subappaltatore “i costi della sicurezza e della manodopera” senza alcun ribasso e controlli costantemente che tutto vada come deve, essendo “responsabile in solido” in caso di incidenti, la bozza del nuovo decreto dice: “L’affidatario, per le prestazioni affidate in subappalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto”.

Stando così le cose, è scontato che i sindacati di categoria già minaccino lo sciopero generale: sarà da oggi curioso capire la reazione del Pd, che volle quelle regole su massimo ribasso e subappalti, e del M5S che le appoggiò.

Non è l’unica sorpresa spiacevole del decretone in arrivo. Al suo interno troveranno posto tutte le vaste “semplificazioni ambientali” di cui ci eravamo occupati il 28 aprile e che disegnano un sistema di autorizzazioni rapide a misura di grandi imprese, il sostanziale azzeramento dei controlli sugli impianti di energia rinnovabile fino a 10 MW (e pazienza se limitrofi a un’area archeologica) e un bel favore alla Lega che incassa il passaggio alle Regioni dei poteri sul cosiddetto end of waste (su quali rifiuti consentire il riciclo industriale).

Ci teniamo alla fine l’articolo 1, su alcuni mega-cantieri (dall ’Alta velocità Salerno-Reggio Calabria a quella in Sicilia, dalla linea Fortezza-Verona alla diga foranea di Genova, eccetera): lavori per miliardi – ma senza controlli se affidati con appalti sotto i 100 milioni – a cui si applicherà una procedura autorizzativa rapidissima in capo a un Comitato Speciale dei lavori pubblici a colpi di tempi dimezzati, silenzio-assenso, commissariamenti e via accelerando. Un articolo spiega pure che in caso di pareri divergenti tra i ministeri (diciamo, per ipotesi, che la Cultura dica no e le Infrastrutture sì), decide entro 15 giorni una cabina di regia che sarà istituita a Palazzo Chigi (detta Cipess) tenendo conto delle “preminenti esigenze di appaltabilità dell’opera e della sua realizzazione entro i termini previsti dal Pnrr”.

Curioso che quasi tutte le 10 grandi opere citate nella bozza siano in realtà finanziate col Fondo complementare d’investimento deciso dal governo Draghi: su quelle nessuno, per così dire, ci corre dietro...

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