martedì 31 gennaio 2017

Strage di Viareggio, condanna per Moretti: scommettiamo che al processo d’appello…




Era il 29 giugno 2009. Alla stazione di Viareggio il disastro ferroviario che provocò la morte di 32 persone.
Dopo otto anni – si sa, la giustizia italiana è “lenta” – si è concluso il processo di primo grado. Mauro Moretti, in quanto ex amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana, è stato condannato a sette anni per disastro colposo, incendio colposo, omicidio plurimo e lesioni gravissime.

Scommettiamo che in appello la pena verrà sensibilmente ridotta. Come è consuetudine della “giustizia” italiana?

In alcuni processi che sono o ritornano all’attenzione mediatica, la prima sentenza è “esemplare” (si fa per dire). Poi passano gli anni…si arriva al processo d’appello e…oplà……le pene si riducono.

Che le pene si riducano ci può stare. Solo nella misura in cui sono nel processo di appello emergano fatti e circostanze nuove o diverse rispetto a ciò che è stato esaminato e ha portato a una certa sentenza.

Se invece la sentenza d’appello riduce le pene, perché nel primo processo sono stati erroneamente considerati fatti e circostanze, bisognerebbe che, tanto per cambiare, anche i giudici fossero chiamati ad assumersi delle responsabilità
con conseguenti provvedimenti. Ciò si può fare senza che questo apra il varco a ingerenze del potere esecutivo e legislativo.

Di certo, alcune sentenze di secondo grado e della Cassazione sono “contradditorie” e non fanno che alimentare nel cittadino medio italiano la convinzione che in Italia la certezza del diritto sia un concetto teorico da tomo di giurisprudenza e nulla più.

Chiudo con una domanda. Se Moretti è finito sotto processo perché amministratore delegato dell’azienda che gestisce la struttura ferroviaria mi chiedo: uno così lo nominiamo amministratore delegato di Finmeccanica? E’ opportuno, logico, sensato, corretto?

Il garantismo, qui, non c’entra nulla. Tutti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio. Ma ciò non toglie che sia inopportuno, immotivato, insensato che certi dirigenti occupino posti di rilievo, strategici, di direzione gestionale in talune aziende. Soprattutto, se l’azionista di maggioranza di tale aziende è un Ministero.

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