Tanto tuonò che piovve: anche l’antico (di
usi e cultura) gentiluomo liberale e presidente
del sindacato dei banchieri italiani ha gettato la spugna ed il cuore oltre
l’ostacolo. In nome del popolo stressato e contribuente, e dopo pressanti
richieste provenienti dalla politica, anche Antonio Patuelli chiede di
conoscere i nomi dei primi cento debitori insolventi di MPS, oltre che
delle quattro banche risolte e di qualsiasi altra banca che finirà assistita da
denaro pubblico. Basta privacy, dice
Patuelli, è ora di sapere. Vaste programme, che tuttavia finisce da subito ad
impantanarsi in difficoltà e contraddizioni.
Che la politica, soprattutto quella
italiana, si muova per spin propagandistici, è noto da tempo. Sulle banche,
Patuelli ha dichiarato ieri in una seminale intervista al Mattino:
«Io chiedo a titolo personale che
vengano resi noti i primi 100 debitori insolventi delle banche che sono state
salvate. E per farlo, penso al varo di una norma di legge sia per le banche
risolute [sic] sia per quelle preventivamente salvate dallo Stato. Bisognerebbe
cioè fare un’eccezione alle attuali regole della privacy proprio alla luce del
fatto che si tratta di banche nelle quali sul piano della risoluzione o del
salvataggio preventivo è intervenuto lo Stato o le altre banche e i
risparmiatori».
Vi chiederete (almeno, lo speriamo): ma a che servirebbe questa specie di
additamento al pubblico ludibrio, quello che gli americani chiamano name
and shame? Ve lo spiega Patuelli:
«Una norma come quella proposta
farebbe più chiarezza e contribuirebbe anche a evidenziare più facilmente i
casi di violazione di una norma che si
chiama mendacio bancario, attualmente vigente e che si verifica quando qualcuno prende in prestito dei quattrini
raccontando cose false alla banca a cui li chiede in prestito. La
legittimità di questa semplice norma, che può essere anche un emendamento,
deriva eticamente dal fatto che se lo Stato decide di fare un intervento
preventivo, vi può essere un’eccezione alla regola della privacy. Lo stesso
avrebbe valore nel caso in cui, come avvenuto con il provvedimento del 22
novembre 2015, lo Stato ha deliberato di procedere con la risoluzione per le 4
banche in crisi. In quel caso ha costretto i risparmiatori da un lato e tutte
le altre banche italiane dall’altro a sacrifici. Per me, è eticamente giusto
che si vedano quali sono stati almeno i principali debitori insolventi»
Se state continuando a chiedervi a che
servirebbe identificare i maggiori debitori insolventi, dovete ammettere che Patuelli ha dato la sua versione: appurare
i casi in cui questi cattivoni di debitori hanno compiuto una vera e
propria circonvenzione d’incapace, abbindolando con mendacio non solo i
dipendenti bancari addetti alla prima istruttoria ma anche gli uffici centrali
preposti all’erogazione del credito. Voi ricordate quei truffatori pakistani che molti anni addietro andavano dai cassieri allo
sportello e li ipnotizzavano,
facendosi consegnare rotoli di banconote, ringraziando ed allontanandosi senza
versare una goccia di sangue? Ecco, qui siamo in una dinamica simile: le banche italiane vittime di debitori ipnotizzatori.
Una vera e propria ipnosi di massa, quasi la nascita di una religione o di una
setta. Patuelli fa bene, a difendere le “sue” banche: deve essere chiaro che
non si è trattato di mala gestio o di incentivi distorti di banchieri che
cercavano di crescere con ogni mezzo ma di truffa ai danni delle banche. E che
caspita.
Ma Patuelli non aveva ancora finito di
invocare l'”etica”, che già alcuni pignoli guastafeste levavano il loro ditino.
Scusi, presidente Patuelli, ma non
possiamo solo guardare le sofferenze conclamate: serve guardare anche negli
incagli, perché quelli spesso sono sofferenze mascherate. E non solo: serve
guardare anche nei prestiti in bonis,
perché anche in quelli potrebbe celarsi l’ipnosi ad orologeria dei truffatori.
E comunque, perché guardare solo le banche che hanno avuto aiuti pubblici?
Serve prevenire, perdiana. Quindi, si proceda a frugare anche tra sofferenze, incagli e crediti performing delle banche
che non hanno ancora avuto aiuti di stato, perché prevenire è meglio che
curare.
L’opinione
pubblica, convinta dalla stringente logica di queste argomentazioni, si
schiera compatta: serve passare al setaccio tutti i crediti erogati dalle
banche italiane. Perché qualcuno ha avuto il fido ed altri no? Cosa c’è sotto,
sopra, dietro, davanti? Le famiglie prendono a guardarsi in cagnesco: hai visto
il nostro vicino, in che appartamento abnorme vive? Poteva permetterselo, col
suo lavoro? Certo, lui dice che ha avuto il mutuo, ma proprio quello è il
punto: se lo meritava realmente? E se un domani non fosse più in grado di
pagare e la banca dovesse essere salvata coi miei soldi? E quella smorfiosa
della moglie, sempre così griffata ed ingioiellata? Non è che avrà avuto un
mega prestito personale che domani dovrò ripagare io con le mie tasse?
La
situazione sfugge rapidamente di mano. A tutti, tranne che alla politica. Un
noto governatore progressista suggerisce di istituire
un numero verde: pensate che il vostro
vicino goda immeritatamente di un fido? Chiamateci, questo è il nostro
numero, attivo 24 ore su 24. Ben presto, le segnalazioni di fidi sospetti
intasano il centralino del SEG, il Servizio Etico Governativo. Chiamano
famiglie ed imprese, senza sosta: “A me niente fido per il capannone ed al mio
vicino di là della strada sì, vergogna!” Nel frattempo, in parlamento si fa
strada un disegno di legge per istituire le Corti Popolari del Credito (CPC),
frutto di una incredibile e commovente convergenza tra tutti i partiti
tradizionali ed il M5S. I giudici preposti a valutare il merito di credito di
chiunque sono rigorosamente popolari, cioè estratti a sorte tra i cittadini:
basta con i “tecnici”, che ci hanno rovinato! In pochi mesi, entrano in
funzione CPC in ogni provincia italiana, lavorando senza sosta ad analizzare i
crediti sofferenti, incagliati ed in bonis di tutte le banche italiane.
Tra i giudici si fatica molto a raggiungere
la maggioranza deliberante e di conseguenza l’erogazione di nuovi fidi si
blocca. Nel frattempo, molti tra i prestiti in essere vengono revocati, perché
in essi le giurie popolari hanno riscontrato il fumus del rischio di
insolvenza. In alcuni distretti delle Corti Popolari del Credito si formano
inedite alleanze politiche tra giudici di designazione Pd e quelli indicati dal
M5S, per revocare alcuni fidi e dirottarli altrove, a più meritevoli debitori,
in funzione delle erogazioni etico-liberali dei medesimi ai partiti. Iniziano i
primi fallimenti a catena ma ministri e sottosegretari si dicono molto
soddisfatti: se quelle aziende falliscono dopo la revoca del credito significa
che c’era del marcio, in quell’affidamento, e quindi che le corti popolari
funzionano, nella loro etica opera di dare senso al concetto di “merito di
credito”. Anche i giornali partecipano all’imponente sforzo nazionale per un
“nuovo credito etico”: parte la campagna “Fate prestito“, con titoli a
caratteri cubitali in prima pagina.
Ma le cose si avvitano: le banche, i cui
uffici credito sono stati esautorati, iniziano a registrare un’impennata di
insolvenze. Si verifica anche un episodio spiacevole: un anziano funzionario
dei crediti, che aveva tentato di erogare un fido senza chiedere la preventiva
autorizzazione dell’apposita sezione speciale della corte popolare, viene
identificato grazie ad una soffiata e bruciato vivo nella sua auto, mentre
cercava di sfuggire ad una folla di aspiranti giurati popolari. Un numero
crescente di banche finiscono in dissesto, il Parlamento si accinge a
nazionalizzarle. Grande soddisfazione della politica: finalmente, con banche
pubbliche, sarà possibile tornare a fare credito a famiglie ed imprese.
Patuelli chiama disperato i giornali,
supplicando un’intervista per spiegare che lui non intendeva una cosa del
genere. Un direttore di testata, mosso a compassione, gli risponde che da Roma
hanno vietato di intervistarlo, che ormai lui non è più il capo dei banchieri
italiani, visto che l’Abi sta per essere sciolta per decreto e che secondo
fonti affidabili sarebbe stata aperta un’indagine sul suo conto, che potrebbe
portarlo all’arresto con l’accusa di connivenza con i debitori ipnotizzatori.
Dopo un negoziato con le autorità, Patuelli ottiene un salvacondotto e si
ritira al confino a Ravenna, per scrivere le sue memorie: “Storia di un
liberale etico“.
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