mercoledì 11 gennaio 2017

Il sistema bancario italiano: Patuelli, la lista degli insolventi e la Corte Popolare del Credito




Tanto tuonò che piovve: anche l’antico (di usi e cultura) gentiluomo liberale e presidente del sindacato dei banchieri italiani ha gettato la spugna ed il cuore oltre l’ostacolo. In nome del popolo stressato e contribuente, e dopo pressanti richieste provenienti dalla politica, anche Antonio Patuelli chiede di conoscere i nomi dei primi cento debitori insolventi di MPS, oltre che delle quattro banche risolte e di qualsiasi altra banca che finirà assistita da denaro pubblico. Basta privacy, dice Patuelli, è ora di sapere. Vaste programme, che tuttavia finisce da subito ad impantanarsi in difficoltà e contraddizioni.

Che la politica, soprattutto quella italiana, si muova per spin propagandistici, è noto da tempo. Sulle banche, Patuelli ha dichiarato ieri in una seminale intervista al Mattino:

«Io chiedo a titolo personale che vengano resi noti i primi 100 debitori insolventi delle banche che sono state salvate. E per farlo, penso al varo di una norma di legge sia per le banche risolute [sic] sia per quelle preventivamente salvate dallo Stato. Bisognerebbe cioè fare un’eccezione alle attuali regole della privacy proprio alla luce del fatto che si tratta di banche nelle quali sul piano della risoluzione o del salvataggio preventivo è intervenuto lo Stato o le altre banche e i risparmiatori».


Vi chiederete (almeno, lo speriamo): ma a che servirebbe questa specie di additamento al pubblico ludibrio, quello che gli americani chiamano name and shame? Ve lo spiega Patuelli:

«Una norma come quella proposta farebbe più chiarezza e contribuirebbe anche a evidenziare più facilmente i casi di violazione di una norma che si chiama mendacio bancario, attualmente vigente e che si verifica quando qualcuno prende in prestito dei quattrini raccontando cose false alla banca a cui li chiede in prestito. La legittimità di questa semplice norma, che può essere anche un emendamento, deriva eticamente dal fatto che se lo Stato decide di fare un intervento preventivo, vi può essere un’eccezione alla regola della privacy. Lo stesso avrebbe valore nel caso in cui, come avvenuto con il provvedimento del 22 novembre 2015, lo Stato ha deliberato di procedere con la risoluzione per le 4 banche in crisi. In quel caso ha costretto i risparmiatori da un lato e tutte le altre banche italiane dall’altro a sacrifici. Per me, è eticamente giusto che si vedano quali sono stati almeno i principali debitori insolventi»

Se state continuando a chiedervi a che servirebbe identificare i maggiori debitori insolventi, dovete ammettere che Patuelli ha dato la sua versione: appurare i casi in cui questi cattivoni di debitori hanno compiuto una vera e propria circonvenzione d’incapace, abbindolando con mendacio non solo i dipendenti bancari addetti alla prima istruttoria ma anche gli uffici centrali preposti all’erogazione del credito. Voi ricordate quei truffatori pakistani che molti anni addietro andavano dai cassieri allo sportello e li ipnotizzavano, facendosi consegnare rotoli di banconote, ringraziando ed allontanandosi senza versare una goccia di sangue? Ecco, qui siamo in una dinamica simile: le banche italiane vittime di debitori ipnotizzatori. Una vera e propria ipnosi di massa, quasi la nascita di una religione o di una setta. Patuelli fa bene, a difendere le “sue” banche: deve essere chiaro che non si è trattato di mala gestio o di incentivi distorti di banchieri che cercavano di crescere con ogni mezzo ma di truffa ai danni delle banche. E che caspita.

Ma Patuelli non aveva ancora finito di invocare l'”etica”, che già alcuni pignoli guastafeste levavano il loro ditino. Scusi, presidente Patuelli, ma non possiamo solo guardare le sofferenze conclamate: serve guardare anche negli incagli, perché quelli spesso sono sofferenze mascherate. E non solo: serve guardare anche nei prestiti in bonis, perché anche in quelli potrebbe celarsi l’ipnosi ad orologeria dei truffatori. E comunque, perché guardare solo le banche che hanno avuto aiuti pubblici? Serve prevenire, perdiana. Quindi, si proceda a frugare anche tra sofferenze, incagli e crediti performing delle banche che non hanno ancora avuto aiuti di stato, perché prevenire è meglio che curare.

L’opinione pubblica, convinta dalla stringente logica di queste argomentazioni, si schiera compatta: serve passare al setaccio tutti i crediti erogati dalle banche italiane. Perché qualcuno ha avuto il fido ed altri no? Cosa c’è sotto, sopra, dietro, davanti? Le famiglie prendono a guardarsi in cagnesco: hai visto il nostro vicino, in che appartamento abnorme vive? Poteva permetterselo, col suo lavoro? Certo, lui dice che ha avuto il mutuo, ma proprio quello è il punto: se lo meritava realmente? E se un domani non fosse più in grado di pagare e la banca dovesse essere salvata coi miei soldi? E quella smorfiosa della moglie, sempre così griffata ed ingioiellata? Non è che avrà avuto un mega prestito personale che domani dovrò ripagare io con le mie tasse?

La situazione sfugge rapidamente di mano. A tutti, tranne che alla politica. Un noto governatore progressista suggerisce di istituire un numero verde: pensate che il vostro vicino goda immeritatamente di un fido? Chiamateci, questo è il nostro numero, attivo 24 ore su 24. Ben presto, le segnalazioni di fidi sospetti intasano il centralino del SEG, il Servizio Etico Governativo. Chiamano famiglie ed imprese, senza sosta: “A me niente fido per il capannone ed al mio vicino di là della strada sì, vergogna!” Nel frattempo, in parlamento si fa strada un disegno di legge per istituire le Corti Popolari del Credito (CPC), frutto di una incredibile e commovente convergenza tra tutti i partiti tradizionali ed il M5S. I giudici preposti a valutare il merito di credito di chiunque sono rigorosamente popolari, cioè estratti a sorte tra i cittadini: basta con i “tecnici”, che ci hanno rovinato! In pochi mesi, entrano in funzione CPC in ogni provincia italiana, lavorando senza sosta ad analizzare i crediti sofferenti, incagliati ed in bonis di tutte le banche italiane.

Tra i giudici si fatica molto a raggiungere la maggioranza deliberante e di conseguenza l’erogazione di nuovi fidi si blocca. Nel frattempo, molti tra i prestiti in essere vengono revocati, perché in essi le giurie popolari hanno riscontrato il fumus del rischio di insolvenza. In alcuni distretti delle Corti Popolari del Credito si formano inedite alleanze politiche tra giudici di designazione Pd e quelli indicati dal M5S, per revocare alcuni fidi e dirottarli altrove, a più meritevoli debitori, in funzione delle erogazioni etico-liberali dei medesimi ai partiti. Iniziano i primi fallimenti a catena ma ministri e sottosegretari si dicono molto soddisfatti: se quelle aziende falliscono dopo la revoca del credito significa che c’era del marcio, in quell’affidamento, e quindi che le corti popolari funzionano, nella loro etica opera di dare senso al concetto di “merito di credito”. Anche i giornali partecipano all’imponente sforzo nazionale per un “nuovo credito etico”: parte la campagna “Fate prestito“, con titoli a caratteri cubitali in prima pagina.

Ma le cose si avvitano: le banche, i cui uffici credito sono stati esautorati, iniziano a registrare un’impennata di insolvenze. Si verifica anche un episodio spiacevole: un anziano funzionario dei crediti, che aveva tentato di erogare un fido senza chiedere la preventiva autorizzazione dell’apposita sezione speciale della corte popolare, viene identificato grazie ad una soffiata e bruciato vivo nella sua auto, mentre cercava di sfuggire ad una folla di aspiranti giurati popolari. Un numero crescente di banche finiscono in dissesto, il Parlamento si accinge a nazionalizzarle. Grande soddisfazione della politica: finalmente, con banche pubbliche, sarà possibile tornare a fare credito a famiglie ed imprese.

Patuelli chiama disperato i giornali, supplicando un’intervista per spiegare che lui non intendeva una cosa del genere. Un direttore di testata, mosso a compassione, gli risponde che da Roma hanno vietato di intervistarlo, che ormai lui non è più il capo dei banchieri italiani, visto che l’Abi sta per essere sciolta per decreto e che secondo fonti affidabili sarebbe stata aperta un’indagine sul suo conto, che potrebbe portarlo all’arresto con l’accusa di connivenza con i debitori ipnotizzatori. Dopo un negoziato con le autorità, Patuelli ottiene un salvacondotto e si ritira al confino a Ravenna, per scrivere le sue memorie: “Storia di un liberale etico“.

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