da: http://www.internazionale.it/ - di Roberta Carlini
“Sarà
una riforma storica”. Con queste parole il ministro Graziano Delrio aveva benedetto l’inizio dell’iter in
parlamento della riforma della protezione civile. Era il 15 marzo 2015. Quel testo, approvato dalla camera il 23 settembre
2015, solo in questi giorni, a sei mesi dall’inizio dell’emergenza terremoto in
Italia centrale, è arrivato in aula in senato.
Anche qualora
vedesse la luce in poche settimane, occorrerebbe poi aspettare nove mesi per avere i relativi decreti delegati, insomma l’attuazione
pratica. Motivo per cui i veri interventi
legislativi “urgenti”, a ridosso dell’emergenza di queste settimane, arriveranno per decreto legge del governo
entro la prossima settimana, come ha annunciato in senato il presidente del
consiglio Paolo Gentiloni.
Avremo così il sesto intervento legislativo sulla materia dal 1992, anno in cui la protezione civile fu istituita,
in attesa del settimo, la riforma storica (senza contare il codice degli
appalti, che a sua volta incide sulla materia).
Come
una fisarmonica
Si può dire, che a ogni inizio decennio lo
stato italiano ha visto in modo diverso il concetto di protezione, tant’è che
lo stesso campo d’azione della protezione civile si è allargato e ristretto
come una fisarmonica: con la legge del 1992, che poneva come oggetto del nuovo
servizio “tutelare la integrità della vita, i beni,
gli insediamenti e
l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da
catastrofi e da altri eventi calamitosi”; all’inizio del primo decennio del
duemila, con il decreto legge che aggiunge all’elenco i “grandi eventi”,
aprendo la strada alla gestione in emergenza e con pieni poteri discrezionali
anche della costruzione delle opere per eventi che potevano andare da un
vertice internazionale a una gara sportiva; alla svolta degli anni dieci, con
il ritorno della protezione civile al suo nucleo originario.
“Si
dà per scontato che sono le regole, e
non la loro attuazione concreta, il problema: le leggi, non l’amministrazione
Che non è affatto ristretto, dato che nel
concetto di protezione rientrano tre attività essenziali: previsione,
prevenzione e soccorso (che dovrebbe durare fino al ripristino delle condizioni
di normalità); e che la definizione di “calamità” non è limitata a quelle
naturali ma anche a quelle derivanti dall’opera dell’uomo; ne derivano poteri
di emanare ordinanze in deroga alle norme vigenti, per fronteggiare
l’emergenza.
Da un terremoto a uno scandalo a un altro
terremoto, il pendolo del legislatore nel regolare tutto ciò oscilla tra
maggiore o minore rigore nelle procedure e nei controlli, e tra maggiore o
minore accentramento dei poteri decisionali: ogni volta dimenticandosi dei
problemi che avevano portato ai cambiamenti della volta precedente. E anche
oggi, in seguito ai ritardi (anzi, secondo Gentiloni per “prevenire accumuli di
ritardi”) nella gestione dell’emergenza del terremoto nell’Italia centrale, si
rimette mano alla legge vecchia, in attesa di quella nuova.
Dando per scontato che sono le regole, e
non la loro attuazione concreta, il problema: le leggi, non l’amministrazione.
E, tra le regole, si torna a mettere nel mirino le odiate gare pubbliche:
quelle che lo stato o un ente pubblico fa quando deve scegliersi un fornitore,
e che sarebbero regola europea – soggetta però a numerose e sensibili
eccezioni.
Gara
versus trattativa privata
Ma siamo sicuri che, oggi come ieri, il
nucleo del problema sia nella scelta, su cui si dibatte, tra la velocità della
trattativa privata nell’affidamento dei lavori e le pastoie delle gare a
evidenza pubblica?
È la questione che ritorna a ogni ritardo,
a ogni opera e – purtroppo – a ogni scandalo. La straordinaria urgenza nella
quale per definizione la protezione civile è costretta a operare è infatti, per
ovvio buon senso, motivo di deroga alle norme generali. E anche motivo per cui,
nel passato recente che ancora brucia, si allargò a dismisura la competenza
della protezione civile fino a farvi rientrare tutta la ricostruzione e anche i
grandi eventi, sotto la gestione Bertolaso. In modo da poter gestire gli
appalti con totale discrezionalità e senza procedure a evidenza pubblica.
Nel 2012, con gli scandali dell’Aquila e
dei Mondiali di nuoto ancora freschi, il governo Monti varò l’indietro tutta con il decreto 59, che
delimitò il campo d’azione della protezione civile eliminando da questo i
grandi eventi, oltre a fissare le procedure per il ritorno alla gestione ordinaria
appena finito lo stato d’emergenza (che, secondo quella legge, non poteva
durare più di 90 giorni, prorogabili per non più di 60: termine che poi è stato
allungato a 180 giorni da un decreto successivo, del 2013).
Nella stessa legge si prevedevano anche
ruolo e durata di eventuali commissari, e un rapporto con le istituzioni locali
molto meno “accentratore” rispetto alla gestione precedente. Il tutto, sotto il
segno prevalente del governo dell’epoca: un controllo più stretto dei saldi di
bilancio. Insomma, contro il lievitare di spese incontrollate varate sotto la
spinta dell’emergenza e poi destinate a crescere in corso d’opera. Emergenza
che, sia pure su tempi ed eventi delimitati, consentiva poteri di deroga alle
procedure burocratiche ordinarie.
“La
questione della trattativa privata e delle procedure non pubbliche né
pubblicamente negoziate torna fuori, e sempre con la motivazione della fretta
Anche il codice
degli appalti varato nell’aprile del 2016 dà pieni poteri per evitare le
gare, in caso di emergenza, “nella misura strettamente necessaria quando, per
ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili
dall’amministrazione aggiudicatrice, i termini per le procedure aperte o per le
procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione non possono
essere rispettati”: così recita l’articolo 63, e sarebbe difficile non far
rientrare in questa cornice generale l’acquisto di beni e servizi, e anche la
confezione di manufatti, necessari per fare fronte alla prima emergenza di un
terremoto.
Va detto che il governo vuol farvi
rientrare anche i lavori stradali per preparare il G7 di Taormina, e così ha
disposto nel decreto per il Mezzogiorno varato alla fine dell’anno scorso:
contro questa scelta si è schierato il presidente dell’Autorità nazionale
anticorruzione (Anac), Raffaele Cantone, dicendo che quella norma “concede una
procedura iper-eccezionale” e temendo infiltrazioni mafiose nei lavori. Dunque,
la questione della trattativa privata e delle procedure non pubbliche né
pubblicamente negoziate torna fuori, e sempre con la motivazione della fretta.
E, nel caso del terremoto, trova a suo sostegno lo stato di parte delle
popolazioni e dei loro animali ancora al freddo e al gelo, a cinque mesi dalle
prime scosse.
Le
casette e le stalle
Dunque le
norme per fare procedure d’emergenza, senza le gare, già ci sono nelle regole
della protezione civile e anche
nello stesso codice degli appalti. Ma nel
caso del terremoto dell’Italia centrale le gare ci sono state, su richiesta
dell’Anac di Cantone.
Solo che per quanto riguarda le strutture provvisorie per gli allevamenti
(i Mapre, moduli abitativi prefabbricati rurali emergenziali) le ditte selezionate con le gare non hanno
consegnato tutto il dovuto nei tempi previsti: la regione Lazio, alla quale era stata attribuita la responsabilità di
questi acquisti per tutte le regioni colpite dal sisma, ha bandito una gara al massimo ribasso, suddivisa in
quattro lotti (bovini da latte e da carne, ovini e fienili).
Ma l’impresa
che ha vinto la gara per i bovini non ha consegnato i manufatti in tempo: e
qui scattano altri ritardi, dovuti ai tempi di messa in mora necessari prima di
interrompere un contratto (la diffida è partita solo il 5 gennaio 2017).
Intanto, è partito tutto un altro iter, con il quale si è data agli agricoltori
la possibilità di comprarsi da soli le stalle con un contributo pubblico
totale, con altre complicazioni e passaggi burocratici. Mentre per quanto
riguarda i prefabbricati abitativi (Sae, soluzioni abitative d’emergenza), la
gara era addirittura stata fatta due anni prima, e la protezione civile ha
messo a disposizione degli enti locali elenco delle ditte e protocollo dell’accordo:
solo che è lo stesso accordo che prevede che i tempi di realizzazione siano di
circa sette mesi… tempi lunghissimi per un’emergenza, anche se non ci fosse
stato l’eccezionale maltempo di quest’inverno.
Più che la procedura delle gare – e
l’alternativa sempre caldeggiata da una parte di costruttori, fornitori e
politici, ossia la trattativa privata – sotto la lente dovrebbe stare la sua
concreta attuazione. Il controllo del rispetto degli accordi, i contrasti tra
amministrazioni (il fatto che le regioni coinvolte fossero quattro non ha
aiutato, né ha semplificato le cose la diarchia tra protezione civile e il
commissario alla ricostruzione), la loro maggiore o minore efficienza, la
capacità di far fronte a impegni straordinari con organici e mezzi impoveriti
da anni in cui nelle stesse amministrazioni ordinarie non si è più investito.
Invece di guardare a quel che non va sul
terreno, l’invocazione di poteri e
procedure straordinarie dall’alto può servire a coprire l’incuria
dell’ordinaria amministrazione, se
non peggio a rivitalizzare gli
appetiti e le pratiche che nel passato sono costate tanto alle casse
pubbliche e poco hanno portato al territorio.
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