Mentre il ministro è intento a
bloccare in tutti i modi le ong, un'inchiesta a Palermo rivela che altri
soggetti riescono ad arrivare in Italia in tutta libertà a bordo di gommoni
veloci. Se non presidiamo il Mediterraneo non sappiamo chi entra: ecco perché
le navi italiane laggiù ci devono stare
di Francesco Floris
Matteo
Salvini non ha perso tempo e ha commentato così la notizia: «Altro che farne sbarcare altri o andarli a
prendere con barconi e aerei, stiamo lavorando per rimandarne a casa un bel po'
(faccina sorridente). Scafisti e terroristi: a casa!!!» scrive sulla sua
pagina Facebook alle 8:48 del 9 gennaio.
Di
cosa parla il ministro dell'interno? Dell'indagine
denominata “ABIAD”, con cui la Procura
distrettuale di Palermo ha fatto scattare il fermo per 15 indagati – 12
tunisini, un marocchino e due italiani – fra le province di Palermo, Trapani,
Caltanissetta e Brescia. Tutti ritenuti membri di un'associazione per
delinquere finalizzata al favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina, al contrabbando di tabacchi lavorati esteri
fra le coste del nord Africa e il trapanese, oltre che di esercizio abusivo di
attività di intermediazione finanziaria. E dietro questi traffici aleggia lo
spettro del terrorismo islamico. Parlano infatti di una “più grave minaccia
alla sicurezza dello Stato” i sostituti procuratori Calogero Ferrara e Claudia
Ferrari, e il procuratore aggiunto Marzia Sabella, “in ragione delle posizioni
radicali pro “Daesh” rilevate in capo a un esponente di vertice del sodalizio
criminoso”. Spiega la Procura, in una nota con cui è stata data la notizia
dell'indagine alla stampa, che uno dei 15 indagati, oltre ad avere un ruolo
chiave nell'associazione contestata, condivideva sui propri profili social
contenuti che rimandano “all'apologia del terrorismo di matrice islamista,
inserendosi nel network globale della propaganda e promuovendo gli efferati
messaggi dell’organizzazione terroristica Daesh”.
L'inchiesta farà la sua strada, anche
se è difficile che l'aggravante terroristica possa reggere per
tutti e 15 se, come pare, a fare propaganda sui social era soltanto uno di
loro. C'è anche da notare come due degli indagati – il 46enne Mongi Ltaief e il
30enne Beltaief Anis che risulta ancora ricercato – siano già stati processati
con rito alternativo per dei reati identici nel corso del 2018. E assolti da
tutti i capi di imputazione per non aver commesso il fatto e perché il fatto
non sussiste, ha sancito il giudice Annalisa Tesoriere di Palermo con
dispositivo di sentenza emesso il 20 dicembre. È avvenuto nell'ambito di un'
altra inchiesta denominata “Scorpion Fish” e condotta proprio dagli stessi tre
procuratori palermitani che oggi, 20 giorni dopo l'assoluzione, accendono di
nuovo i riflettori su di loro.
A
prescindere da ciò, l'indagine
palermitana apre però un fronte interessante che c'entra poco con giustizia
e legge, molto invece con le politiche
migratorie del governo Conte. Il punto è: l'Italia oggi non sa chi entra nel suo territorio. Le cronache li
hanno ribattezzati “sbarchi fantasma”:
piccoli gommoni veloci con motore fuoribordo (come quelli dell'inchiesta
siciliana) o barchini in vetroresina che trasportano 10-15 persone alla volta;
viaggiano dalle coste del Maghreb alla Sicilia in poche ore; arrivano, scendono
e abbandonano i resti del natante lungo la costa. Non hanno nulla a che vedere con i flussi di migranti da decine di
migliaia di persone che negli scorsi anni sono partite dalla Libia. Nulla a che
spartire nemmeno con le ong e gli “umanitari” che li soccorrono in mare. Fanno
tutto da soli. Fra questi, qualcuno viene rintracciato sulla terra ferma, foto
segnalato, gli vengono prese le impronte digitali, entra nei circuiti di
accoglienza (o di espulsione) e nelle statistiche del Viminale: 359 arrivi a
dicembre, 980 a novembre, 1007 a ottobre, solo per citare i dati ufficiali del
ministero negli ultimi tre mesi del 2018. Altri, invece, fanno perdere le loro
tracce una volta giunti sulla terra ferma e di loro non si sa più nulla.
È fra questi, non monitorati, che si innesta
il vero pericolo anche di infiltrazione terroristica o criminale di altra
natura. Chi lo dice? Per esempio il contrammiraglio
Nicola Carlone, Comandante della più importante Capitaneria di porto della
penisola (Genova), rappresentante italiano nell'Emsa (European Maritime
Safety Agency) di cui è vice-presidente e già responsabile del reparto “Piani e
Operazioni” della Guardia Costiera. Che ha spiegato il concetto con una frase
fulminante per chiarezza: «L'unico modo per attuare un effettivo
controllo delle frontiere in mare è, in primo luogo, condurre operazioni di
ricerca e soccorso» ha scritto Carlone in un documento presentato il 22
marzo 2017 all'International Salvage Union (Isu), l'associazione mondiale che
si occupa di sinistri marittimi e salvataggi. Una frase che ha un significato
semplice: se vuoi sapere chi entra in uno Stato via mare, devi esserci in mare.
E accettare il fatto che, a volte, dovrai fare dei soccorrersi di persone in
difficoltà. Sopratutto se la tua frontiera coincide con una delle rotte più
trafficate al mondo, dove si possono incontrare rifugiati politici in fuga da
guerre devastanti o magari terroristi animati da odio e volontà di compiere
attentati.
Esistono
entrambe le possibilità e svariate altre, ma se lungo le frontiere marittime lo
Stato è assente, mai potrà sapere chi lo attraversa. E lo Stato italiano, nel Mediterraneo, oggi è assente. La nuova politica migratoria dell'Italia
inaugurata da Matteo Salvini sotto lo slogan del zero soccorsi, zero sbarchi,
zero migranti e – dice lui – zero
vittime, ha un aspetto paradossale: gli sbarchi ci sono lo stesso, come
mostrano i dati del suo ministero; i migranti e le vittime in mare pure; e
tutto questo mentre non si ha più la pallida idea di chi entra sul territorio
nazionale, come invece accadeva sia nel 2014-15, al tempo di Mare Nostrum, ma
anche negli ultimi tre anni quando i salvataggi sono stati fatti da assetti
pubblici (marina militare, guardia di finanza, guardia costiera, Frontex) e
privati (ong, mercantili), sempre sotto l'egida dell'Italia e delle sue
autorità. Oggi questo non avviene. E potrebbe anche essere, prima o poi, che la
Procura di Palermo si ritrovi ad avere più ragione di quanto immagina e che
negli “sbarchi fantasma” s'infiltrino terroristi jihadisti disposti a tutto.
Terroristi che farebbero rimpiangere le polemiche e la bagarre politica sui migranti
economici e sul “accettiamo solo donne e bambini”.
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