da: https://www.glistatigenerali.com/
- di Stefano Artusi
Pochi giorni fa Cristiano Ronaldo, a
Madrid, ha patteggiato una condanna a 2 anni di carcere e una multa di 3,2 mln
di euro. Il contenzioso con Hacienda, il fisco spagnolo, deriva dalle accuse di
evasione relative al periodo di militanza nei blancos. La pena detentiva, che
non dovrà scontare perchè incensurato, è stata commutata in un’ammenda di
365mila euro. Ed era appena lo scorso giugno quando si accordò per il
versamento di 18,8 mln al fisco. Il tutto mentre, assiepati davanti al
tribunale, lo aspettavano giornalisti e tifosi pronti ad osannarlo e a chiedere
(con successo) autografi al loro ex-beniamino.
Il giocatore aveva chiesto di poter
presiedere all’udienza in videoconferenza dall’Italia o di accedere al
parcheggio interno dell’edificio per evitare i riflettori, richieste entrambe
negate dal giudice.
L’accusa sarebbe quella di aver utilizzato
società di comodo in paradisi fiscali – Isole Vergini brit. e Irlanda – per
evitare di pagare le imposte dovute sui diritti d’immagine tra il 2011 e il
2014. Il patteggiamento ha consentito al calciatore di evitare un lungo
processo, che avrebbe danneggiato la sua immagine, e una condanna più pesante.
Ora che milita nella Juventus, escludento
il reddito percepito dal club torinese, sui diritti
d’immagine e le sue
attività all’estero che producono reddito, potrà usufruire del regime
forfettario di 100mila euro per i neo residenti come previsto dalla Legge di
Bilancio 2017 (Legge 232/2016).
Prima era toccato a Messi (3,7 mln di
multa, condanna a 21 mesi commutata in multa di 252mila euro) e sta toccando a
Xabi Alonso (rischia 5 anni di carcere e 4 mln di multa), Neymar (due
procedimenti in corso per frode e contratti fittizi, fra Spagna e Brasile dove
ha già pagato 15,5 mln di multa), Modric (che ha patteggiato 8 mesi di carcere
per frode fiscale, percependo i diritti d’immagine attraverso una società di
comodo in Lussemburgo), Eto’o (che rischia 10 anni di carcere e 13 mln di
multa) e tanti altri.
Il giro di vite è iniziato dopo
l’abolizione, nel 2010, della famigerata ‘legge Beckham’ (una legge che
prevedeva per i primi cinque anni dei forti sgravi fiscali per i lavoratori
stranieri, pensata per attrarre i ricercatori…). I riflettori di Hacienda si
sono accesi: nonostante le modificazioni nelle norme fiscali che regolano lo
sport professionistico e i club di calcio la situazione si è mantenuta
abbastanza eterogenea, dalle grandi come Real Madrid e Barça con bilanci opachi
ai club minori in cui si sospetta che la maggior parte dei bilanci sia
sommersa.
Un altro sospetto viene dal report degli
amministratori giudiziari dell’Atletico Madrid, nel periodo di amministrazione
controllata, dove si rende nota la stretta relazione fra i ‘colchoneros’ e la
società olandese Van Doorn, utilizzata per gonfiare i prezzi degli acquisti, un
modo come un altro per far uscire del denaro che rimaneva però nelle
disponibilità dell’Atletico per pagare in nero i calciatori ed eludere così le
tasse.
Capitolo a parte meriterebbe la gestione
dei diritti d’immagine fra club e giocatori che, nonostante le limitazioni
della legge, riescono a scomputare i diritti e a utilizzarli come forma di
pagamento essendo tassati, questi ultimi, solo del 15%.
Non da ultimo lo scandalo (a puntate) di Football
Leaks, che da anni sta portando all’onore delle cronache dettagli, contratti,
trattative, operazioni che si fanno nel sottobosco del mondo del calcio.
Coinvolgendo anche l’attuale c.t. della
Nazionale Roberto Mancini nei suoi trascorsi al Manchester City, dal quale
sarebbe stato pagato attraverso società off-shore, senza che questo causasse
l’indignazione dell’opinione pubblica, la reazione della Figc o le dimissioni
del tecnico azzurro. Niente di niente.
Evasione, fondi neri, frodi, aggiramento di
tutte le regole, a partire da quella sul fair play finanziario, tratta di
minori, corruzione. Condita da una marea di denaro e da una grandissima
influenza politica finalizzata al mantenimento dello status quo.
Un sistema che funziona e premia (quando va
bene) solo chi vince, tutti gli altri club si indebitano e non di rado si
vedono situazioni paradossali, per un calcio che non è mai stato così ricco, di
squadre da mesi senza stipendio, scioperi dei giocatori, fallimenti estivi, con
annessi ricorsi, penalizzazioni, ecc. In Italia è diventata quasi la normalità,
le esclusioni dei club che non riescono a far quadrare i conti (o che non hanno
le garanzie economiche sufficienti ad inscriversi ai campionati) riempiono le
cronache estive dei quotidiani.
Per questo la testimonianza diretta di
persone esterne a quel mondo, che ci si trovano catapultate dentro, è molto
preziosa. Come quella di Luis Manuel Rubí Blanc, amministratore giudiziario
all’Atletico Madrid, dopo la presidenza Gil (destituito per corruzione), il
quale dichiarò che al suo arrivo esisteva un sistema di doppia contabilità,
fatta di contratti ufficiali (dichiarati) e contratti reali, con una differenza
anche dell’80%, fra contratto ufficiale e reale, pagata in nero nei paradisi
fiscali. Prezzi d’acquisto dei cartellini manipolati per creare fondi neri
all’estero, fino all’acquisto con esborsi importanti per giovani ragazzi
africani o sudamericani (non tesserati in nessuna federazione) che, alla prova
dei fatti, erano semplici migranti, usati come prestanome, che ignoravano di
essere sotto contratto con una squadra di calcio. Pratiche da lasciare
sbalordito chiunque lavori in aziende con una diversa attività caratteristica,
però largamente diffuse in quel periodo come ora (lo dimostrano le indagini di
Hacienda).
Infine la corruzione in seno alla FIFA,
dall’assegnazione dei mondiali fino ai contratti coi paesi organizzatori.
Emblematico il rifiuto della popolazione brasiliana (con manifestazioni
continue) nei confronti del mondiale in casa, organizzato nel 2014, che il
ministro Orlando Silva aveva promesso non avrebbe comportato alcun esborso
pubblico. La realtà parla di 26 miliardi di reais spesi (circa 8 miliardi di
euro) per l’organizzazione di cui solo 3,7 provenienti dai privati. Nel mezzo
di una recessione economica che ha colpito il Paese proprio a cavallo delle due
grandi manifestazioni sportive (Mondiali e Olimpiadi di Rio 2016), una crisi
economica che è presto diventata politica e sociale. Il governo sposò la causa
del ricco pallone e della FIFA (che non ha lasciato neanche un euro di tasse in
Brasile), a discapito dei cittadini che scendevano in piazza per chiedere
investimenti in sanità ed educazione. L’epilogo (almeno quello politico) lo
conoscete bene.
Rimane un calcio che non trasmette più alcun
valore alla società. Circondato com’è solo di affaristi e denaro.
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