da: https://www.linkiesta.it – di Francesco Cancellato
500 migranti trasferiti non si sa dove
dalla sera alla mattina, 100 famiglie senza stipendio, bambini che devono
abbandonare la scuola. Tutto per risparmiare due soldi, e far vedere che “la
pacchia è finita”. Non c'è diligenza, in questo. Solo sfacciato calcolo
elettorale, sulla pelle degli ultimi
«Ho fatto quel che avrebbe fatto un buon
padre di famiglia». La usa spesso, Matteo Salvini, questa formula presa in
prestito dal diritto romano. La usa per dire che fa le cose con un occhio al
portafogli, per rimarcare i suoi valori tradizionali e per affermare che in lui
non c’è nessun astio e nessuna acrimonia contro i destinatari delle sue
intemerate. Quando usa la cinghia, la usa per il bene dei figli. Come il buon
padre di famiglia, per l’appunto.
L’ha usata anche ieri, per parlare della
chiusura del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo al
Porto, alle porte di Roma, il secondo più grande d’Italia, con i 550 ospiti. Il
buon padre di famiglia dice che costava 6 milioni di euro all’anno, che era
inutile, che i migranti poteva essere smistati altrove «coi soldi degli
italiani». Fin qui il ragionamento non fa una piega, anche se per uno Stato
come l’Italia con una spesa pubblica da 1000 miliardi circa, 6 milioni sono
l’equivalente di un nichelino in tasca. Lo 0,0006%, per la precisione di tutto
quel che spendiamo ogni anno. Pochino.
Ma il buon padre di famiglia, per quello
0,0006, ha deciso che bisognava dare un preavviso di
sole 48 ore, come non si
fa nemmeno con chi occupa abusivamente una casa o uno stabile. E ha deciso pure
che andava mandato l’esercito a sgomberare, come se ci trovassimo di fronte a
un covo di terroristi e non a una struttura gestita da religiosi, una realtà
che da più parti era definita d’eccellenza nell’accoglienza e nella messa al
lavoro dei richiedenti asilo, apprezzata dalla comunità locale, che dava lavoro
a più di cento persone del territorio.
No. Il buon padre di famiglia di questo non
si è preoccupato. Lui, che si dice tanto attento al lavoro e alla sua dignità,
non ha avuto alcun riguardo per più di cento famiglie che da domani devono
campare con uno stipendio in meno, e a cui nessuno aveva detto niente sino a 48
ore prima. E non si è preoccupato nemmeno di comunicare ai richiedenti asilo
scacciati ieri dove debbano andare, tant’è che hanno preso tutti la strada per
la Stazione Termini, ignari del loro destino, profughi per due volte nel Paese
dove avrebbero dovuto cessare di esserlo. E non si è preoccupato nemmeno dei
titolari di protezione umanitaria, che sono stati scacciati e basta e che per
effetto del decreto sicurezza da domani sono clandestini in strada. E nemmeno
dei bambini, che hanno dovuto lasciare la scuola dalla sera alla mattina.
Tutto questo, il buon padre di famiglia
pare l’abbia fatto per gli italiani, suoi figli prediletti. L’ha fatto nel nome
della loro paura, della loro ostilità verso lo straniero, del loro astio verso
l’invasore che viene da lontano a levare il pane di bocca agli ultimi. Peccato
che questa mossa geniale - la prima di una lunga serie, pare di aver capito -
produrrà più insicurezza, coi richiedenti asilo per strada, e pure più
marginalità e più povertà, con centinaia di lavoratori disoccupati e un piccolo
indotto locale prosciugato. Ma come con Riace, come con i bandi Sprar,
l’obiettivo del buon padre di famiglia è uno solo: distruggere tutte le buone
pratiche di accoglienza, tutte i casi di integrazione riuscita. Così da poter
giustificare la maniere forti di fronte al disordine da lui stesso generato.
Perché il buon padre di famiglia, nella sua più cristallina accezione
paternalista, ha un solo desiderio: essere indispensabile per i suoi figli. O,
tradotto in politichese, fare il pieno di voti alle prossime elezioni.
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