Una battaglia politica sul prossimo sindaco
di Milano giocata sulla pelle di pendolari e cittadini lombardi. A questo si
riduce lo scontro sull’aumento del biglietto Atm da 1,5 a 2 euro e sulla
creazione della tariffa integrata che sta avvelenando i rapporti tra Palazzo
Marino e il Pirellone. A giocarsi la partita a botte di dichiarazioni, veri e
propri dispetti, fughe in avanti, Giuseppe Sala e il vicepremier Matteo
Salvini. Il primo che non fa mistero del fatto che l’aumento – chiesto a
Regione Lombardia (la quale per legge deve approvare ogni aumento di tariffa
del Tpl) a settembre 2018 e bloccato a sorpresa dal consiglio regionale – è un
sacrificio necessario per chiudere il bilancio della città. Il secondo,
impegnato in una campagna elettorale permanente, che mira a sottrarre l’unica
città italiana in crescita al centro-sinistra per affidarla all’abbraccio
sovranista.
È solo analizzando la vicenda
ticket/tariffa integrata sotto quest’ottica che si può comprendere un muro
contro muro altrimenti inspiegabile. Quale sindaco sano di mente, infatti,
deciderebbe di alzare del 33% il costo della singola corsa in tempi di crisi
economica, portando il costo del biglietto singolo al primo posto in Italia
(seconda è Torino con 1,70 euro)? Solo uno che ha bisogno di far quadrare i
conti della città, visto che i proventi dei
biglietti vanno nelle casse del
Comune e non in quelle di Atm, le quali peraltro sono piene e godono di ottima
salute. Una condizione non nascosta da Sala, il quale ha dichiarato:
“Certamente noi abbiamo bisogno di fare questo aumento, altrimenti veramente
non riusciamo a chiudere il bilancio, oppure dobbiamo sacrificare tutta una
serie di servizi che sono primari per la città”. Un bisogno di liquidità tanto
impellente da spingerlo a meditare di dare il via libera all’aumento pur in
assenza dell’ok della Regione, necessario per legge.
D’altra parte, quale istituzione regionale
potrebbe opporsi a una riforma tariffaria (lo Stimm, il Sistema Tariffario
Integrato del Bacino di Mobilità di Milano, Monza-Brianza, Lodi e PV) che in un
colpo solo cancella la miriade di tagliandi oggi necessari per viaggiare in
Lombardia, sostituendolo con un unico abbonamento valido su treni, bus, tram e
metrò? Una riforma che assicura – oltre a risparmi per 55 milioni l’anno solo
per l’aera metropolitana di Milano – anche la gratuità a tutti gli under 14,
risparmi a pendolari, studenti, disoccupati, abbonati e anziani, indirizzando
gli aumenti su coloro che i mezzi pubblici li usano saltuariamente? Solo una
Regione impegnata a danneggiare il proprio nemico politico.
Per l’assessore regionale alle Mobilità
Claudia Maria Terzi, infatti, la tariffa integrata è utile, ma oggi “ha tutta
una serie di criticità che vanno approfondite con il tempo necessario per
trovare una soluzione, altrimenti si creano storture inaccettabili, come
aumenti fino al 40/50% per molte tratte utilizzate dai pendolari lombardi”,
tanto che ha confermato il via libera all’operazione, ma non prima di giugno
2019, se tutto va bene. Ovvero fuori tempo massimo per palazzo Marino per
chiudere il bilancio. Un dispetto, mascherato dalla necessità di lasciare il
tempo necessario ai tecnici del Pirellone di studiare le implicazioni della
rivoluzione. Peccato che il Consiglio regionale abbia previsto l’integrazione
tariffaria con una legge apposita nel 2012 e che la questione sia studiata da
almeno cinque anni!
Non solo, l’assessore ha anche accusato
palazzo Marino di voler mettere le mani nelle tasche dei cittadini, utilizzando
come scusa l’aumento dei servizi del Tpl, il quale sarebbe in realtà già
sovvenzionato profumatamente dal Pirellone. “Il Comune di Milano ricorre al
paravento della tariffazione integrata, ma il suo unico scopo è avere il via
libera per aumentare i biglietti di Atm da 1,50 a 2 euro. E non certo per
investire i maggiori introiti nel miglioramento del Tpl, ma solo per coprire i
buchi di bilancio del Comune. Il sistema del trasporto pubblico milanese si
regge sulla sostanziosa integrazione regionale del Fondo nazionale dei
trasporti: un trasferimento di risorse dalla Regione all’Agenzia Tpl di Milano
che vale qualcosa come 350 milioni l’anno, di cui 260 milioni destinati a
Milano. A conti fatti la Regione garantisce circa il 70% dei finanziamenti
complessivi al trasporto pubblico milanese».
Un’affermazione rispedita al mittente
dall’assessore Granelli, per il quale i conti di Terzi sono semplicemente
sbagliati: “Dal 2011 al 2018 il trasporto pubblico di Milano e della prima
cerchia dei Comuni ha visto aumentare il servizio di 13,1 milioni di km/vetture
(+9,3%), e nel 2018 la sua gestione è costata 763,3 milioni. Negli stessi anni
la Regione ha tagliato i fondi a questo sistema passando da 293,5 a 275,9
milioni l’anno (-6%). Oggi quindi la differenza tra l’aumento dei costi e la
diminuzione dei contributi si è allargata a circa 83 milioni. Alla Regione
chiederei perché in questi anni in cui Milano ha realizzato metropolitane e
metrotranvie, la percentuale di ripartizione del Fondo regionale del trasporto
è rimasta la stessa. Chiederei dove sono finiti i 24 milioni in più per il
trasporto giunti in Lombardia da Roma nel 2018, tutti finiti sul ferroviario?”.
Un riferimento affatto casuale quello di
Granelli alle ferrovie, cioè a Trenord, oggi la piaga più sanguinante del
Pirellone, tanto che l’assessore, persona morigerata e dialogante, ha sbottato:
“Non trasformeremo mai Atm in Trenord”. E subito gli ha fatto eco il sindaco
Sala, il quale nel botta e risposta a mezzo stampa con Salvini, ha tuonato: “Se
il modello opposto è Trenord, Dio ce ne scampi, perché è una realtà di
insicurezza e di servizio veramente pessimo. Per cui il mio dovere di sindaco è
tutelare il servizio di Atm”.
Uno scontro continuo, ideologico ma anche
matematico sui singoli capitoli del piano. Per Granelli, per esempio, lo Stimm
garantirebbe un risparmio medio del 10% a 2.650.000 abbonati che abitano fuori
Milano. A riprova, l’assessore ha ricordato i 137 sindaci dell’area
metropolitana che hanno sottoscritto una lettera a Fontana a sostegno
dell’integrazione tariffaria e del nuovo sistema di calcolo.
In questo clima arroventato, l’unico dato
certo è che quello di Milano è un sistema di trasporti che funziona: è
utilizzato per oltre il 60% dei movimenti in città ed è in continua crescita
(+6% tra il 2017 e 2018). In 6 anni – dal 2012 al 2017 – i passeggeri delle
quattro linee del metrò sono aumentati del 10%: da 315 a 350 milioni (oltre
1,25 milioni al giorno) e in superficie i passeggeri/giorno nel 2017 sono stati
970 mila, mentre gli abbonati Atm sono circa 530.000.
Numeri destinati ad aumentare ancora nel
prossimo futuro, con l’entrata in esercizio tra il 2021 e il 2022 del
prolungamento della M1 da Sesto Fs a Monza-Bettola e con l’apertura del primo
tratto della M4 da Linate a Forlanini Fs. Sempre che Palazzo Marino e Pirellone
trovino un accordo, altrimenti i lombardi potrebbero trovarsi nell’incredibile
condizione di avere nuove strutture e linee ma non i soldi per farle
funzionare.
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