giovedì 17 gennaio 2019

Francesco Cancellato: reddito di cittadinanza e quota 100, storia di due truffe…


Riporto questo articolo di Cancellato che – come il 99% della stampa  - usa un termine errato: disquisendo di quota 100 afferma che ci saranno “penalizzazioni”. Falso. Non ci sono penalizzazioni.
Da che mondo e mondo, da sempre: più tardi lasci il lavoro, maggiore sono i contributi versati, maggiore sarà la pensione. La penalizzazione si ha quando, andando in pensione prima di quanto prevede la norma generale, si applicasse una riduzione percentuale o in valore assoluto. Qui non si tratta di penalizzare nessuno. Chi sceglie di andarsene in pensione con 38 anni di contributi percepirà un assegno mensile inferiore a chi ha versato 39 o 40 o 41, ecc.. di contributi. Ovvio, logico. 
Questo gli italiani lo sanno da sempre. Non è cambiato nulla. Solo che, l'"informazione" usa il termine penalizzazione in modo improprio, agitando gli aspiranti pensionati.
Del resto: nella vita ci sono – per necessità o volontà – altre cose che non siano il lavoro fino al momento del catetere, della dentiera, ecc..ecc..
Mi stupisce che un giornalista acuto come Cancellato commetta una simile imprecisione (voglio sperare non si tratti di disonestà mentale) tipica della stampa che pregiudizialmente è contro il governo Salvini e “cuginetto” Di Maio.


Sotto il vestito, niente: reddito di cittadinanza e Quota 100, storia di due truffe (quasi) perfette
Sono i cavalli di battaglia di Lega e Cinque Stelle e tra oggi e domani saranno approvate in Consiglio dei Ministri. Peccato che a parte il nome sono provvedimenti completamente diversi rispetto a quelli promessi in campagna elettorale. Se ne accorgeranno, gli italiani?

Toh, chi si rivede, la manovra del cambiamento. Sono passati quasi quattro mesi dal giorno in cui Di Maio e i ministri Cinque Stelle si affacciarono dal balcone di Palazzo Chigi per festeggiare il 2,4% di deficit, i 9 miliardi per il reddito di cittadinanza, i 7 miliardi per Quota 100, una crescita stimata all’1,5% e il consenso siderale di un Paese che sembrava aver di fronte gente che manteneva le promesse, pure quelle che sembravano quasi irrealizzabili.


A distanza di quattro mesi quelle immagini sembrano lontane anni luce. Il deficit, dopo un tira e molla infinito, è sceso dal 2,4% al 2%, di fronte alla minaccia di procedure d’infrazione europee. Le prospettive di crescita si sono infrante sul muro dei dati, che parlano di un Paese fermo, sull’orlo della recessione. Lo spread, come aveva ahilui promesso il ministro-martire Giovanni Tria si è mangiato buona parte dell’extra deficit del governo. Del reddito e di Quota 100 invece si sono perse le tracce, erose giorno dopo giorno dai passi indietro del governo, dai dubbi della ragioneria di Stato, dalla necessità di ritardarne la partenza, per risparmiare qualche euro sul bilancio 2019.

E invece no, rieccole: oggi, al più tardi domani dovrebbe essere il gran giorno dell’approvazione in Consiglio dei Ministri delle due misure bandiera di Lega e Cinque Stelle, l’abbattimento della Legge Fornero e il sussidio universale al reddito che avrebbe abolito la povertà. Ecco: se quattro mesi fa eravate rimasti a queste definizioni, forse vi conviene sedervi. Perché quel che oggi sarà approvato dal Conte e colleghi di quegli annunci mantiene giusto il nome, per una questione di marketing. Il contenuto, invece, è piuttosto diverso.

Partiamo da Quota 100, che alla Legge Fornero fa il solletico, e nemmeno troppo. Primo: è una finestra di tre anni, e nulla più: dal 2019 e fino al 2021. Dal 2022, a quanto si dice, l’obiettivo sarà Quota 41 (anni di contributi). Ma sono solo voci. Secondo: costa 4,7 miliardi - compreso il rinnovo dell’Ape sociale opzione donna - anziché i 7 previsti nelle prime bozze di manovra, che dovevano essere 13 il primo anno (e 20 a regime) se si fossero seguiti alla lettera i programmi elettorali. Terzo: Quota 100 vuol dire 62 anni di età e 38 di contributi e non è, come si pensava nei giorni del voto, una somma componibile a piacimento. Quarto: se si va in pensione con Quota 100 ci sono penalizzazioni, anche piuttosto pesanti. È logica, del resto: se vai in pensione prima, paghi meno contributi e ricevi meno stipendi. Strano che in campagna elettorale non l’abbia ricordato nessuno.

Anche sul reddito di cittadinanza, la china è quella: doveva essere la bomba atomica dei conti pubblici italiani, il sussidio per gli sdraiati sul divano, il grande furto dei lavoratori del Nord in favore dei disoccupati del Sud. Si è rivelato il classico brodino all’italiana, con le clausole scritte in piccolo, in fondo al contratto, come quanto si compra una vacanza a rate. Anche in questo caso, partiamo dalle cifre: dovevano essere 11 miliardi di euro, sono scesi a 9 e sono arrivati a poco meno di 5, nei quali rientra anche il miliardo da spendere per rivitalizzare i centri per l’impiego che avrebbero dovuto costituire l’architrave delle politiche attive per il lavoro. Meno soldi può voler dire tante cose: una platea più ristretta, inizialmente era stimata in 6,5 milioni di persone, un assegno più misero rispetto ai 780 euro promessi, criteri più stringenti per accedere al programma. Nel caso del reddito di cittadinanza di Di Maio - che nemmeno è un reddito di cittadinanza, ma un reddito minimo garantito: battaglia persa, ci arrendiamo - vuol dire tutte e tre le cose. Ed è questo, soprattutto, il motivo dei continui rinvii.

La cosa buffa, da domani, sarà vedere le reazioni degli italiani. Di fronte hanno due provvedimenti che degli originali mantengono solo il nome. E che, nei fatti, non cambieranno la vita né dei disoccupati, né dei pensionati, non più di quanto farà (in negativo) il rallentamento dell’economia. Andrà tutto bene così, ai nostri? Basterà loro sapere che nella forma i patti sono stati rispettati? Si accontenteranno di sapere che gli sbarchi si sono fermati e che Morales e Bolsonaro ci hanno regalato un Cesare Battisti nuovo di zecca su cui sfogare i nostri cinque minuti d’odio quotidiani? Oppure apriranno gli occhi? Si accettano scommesse.

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