da: http://www.glistatigenerali.com/ -
di Marco Carta
I sacchi della spazzatura fuori dai
cassonetti e l’immondizia ammassata negli impianti di trattamento, trasformati
di fatto in discariche. Il caos nell’azienda che dovrebbe gestirli, l’Ama. E le
tasse più alte d’Europa. Intanto, il comune di Roma e la regione Lazio di
Zingaretti da giorni non fanno che beccarsi su poteri e competenze, mentre
Manlio Cerroni chiede, dalle aule di tribunale, di essere accolto di nuovo come
il salvatore. Visto da lontano, il quadro dei rifiuti romani non promette nulla
di buono. E Matteo Renzi, che oggi chiede al popolo del Pd di scendere in
piazza a pulire, non fa che soffiare sul fuoco. Chi conosce bene la situazione
da dentro non ha dubbi: «Fra cinque anni saremo ancora ridotti così» Ancorati
all’anno zero della monnezza romana: quello iniziato il 30 settembre 2013,
quando Ignazio Marino decise di chiudere la discarica di Malagrotta, senza
avere un piano b già pronto. Anche perché, nel corso del tempo, un po’ tutti
avevano fallito. L’ex sindaco Gianni Alemanno, Renata Polverini, Nicola
Zingaretti, o i vari commissari nominati dal governo, come l’ex prefetto di
Roma Giuseppe Pecoraro. Tutti incapaci di trovare, o almeno proporre, una
valida soluzione alternativa.
Se c’è un responsabile, quindi, non è certo
Virginia Raggi, che tuttavia, in questi giorni ha provato a minimizzare la
portata degli eventi nella speranza di riuscire a recuperare in tempo i disagi.
Però, a Roma il problema non ha riguardato solo qualche cassonetto, come ha
provato a sostenere il vicepresidente della Camera Luigi di Maio, ma intere
strade e quartieri, tanto che i costi extra per fronteggiare la mini emergenza
ammontano a due milioni di euro. Certo, sarebbe bastato leggere sulla rete gli
sfoghi e gli auspici sindacati o dei dipendenti Ama, come quelli che
frequentano la pagina Facebook LILA (Laboratorio Idee Lavoratori Ama), per
capire che l’intoppo era solo dietro l’angolo. Ma Virginia Raggi, come già era
accaduto a Ignazio Marino, ha sottovalutato ogni avvertimento.
Feste, maledette feste. «La domenica la
città di Roma genera una quantità di rifiuti che è uguale a quella di tutti gli
altri giorni della settimana», aveva spiegato l’ex ad di Ama Daniele Fortini
quando il 20 giugno 2016 durante il processo Mafia Capitale di fronte ai
giudici provò a riassumere le criticità del sistema dei rifiuti cittadino. Con
il risultato che recuperare il ciclo dopo che due lunedì di festa, come è
accaduto fra la Pasqua e il primo maggio,
diventa praticamente impossibile in tempi brevi. Perché se già con
fatica ogni giorno si riesce a chiudere il cerchio, figuriamoci quando la
spazzatura si accumula sempre di più, vanificando così anche gli sforzi di chi
differenzia con cura. D’altronde a Roma ogni abitante produce 660 chilogrammi
di rifiuti urbani, circa 150 in più rispetto alla media nazionale. E alle 700
mila tonnellate di rifiuti della raccolta differenziata, va sommato un altro
milione di indifferenziata, lavorata in 55 impianti differenti dislocati 6
regioni diverse. Tanto che a volte basta un incidente sulle autostrade che
conducono verso il nord per mettere in sofferenza il sistema.
Di certo la sindaca Virginia Raggi non è
stata aiutata dalla sorte. L’assessore all’ambiente Paola Muraro, l’unica che
forse l’avrebbe potuta aiutare veramente, vista la stima e l’influenza di cui
ancora gode in Ama, se ne è dovuta
andare, dopo aver ricevuto un avviso di garanzia. Era solo ottobre e da fuori,
ora, non perde occasione per impallinare la sua erede Pinuccia Montanari, da
Reggio Emilia. Che alla prima difficoltà non ha avuto timore di agitare un
grande classico della politica capitolina: lo spettro del complotto, gettando
un’ombra sui lavoratori di Ama per un guasto che ha colpito un mezzo,
fermandolo 4 ore. A quattro mesi dalla sua nomina, la Montanari sembra non aver
preso le misure da Roma. Il suo piano, annunciato lo scorso febbraio, di sicuro
è ambizioso: prevede di portare la differenziata – ferma al 43% da un anno – al
70% entro il 2021. Ma, in che modo, non è proprio chiaro.
In una fase così delicata, neanche Beppe Grillo
sembra essere d’aiuto. Ieri con un post su Facebook il leader del Movimento ha
provato ad indicare la strada da seguire per il futuro. Il modello per il
comico è Barcellona, dove «c’è uno dei più grandi separatori di immondizia, non
brucia niente, separa le materie prime dalle secondarie e poi vende alluminio,
carta, vetro, plastica». La soluzione, per lui, è a portata di mano, insomma.
Basta mettere due impianti di questo tipo a Roma ed è fatta. Detta cosi, sembra
una rivoluzione. Ma Grillo, oltre a dimenticare che a Barcellona sono in
funzione anche una discarica e due inceneritori, ignora che di impianti del
genere, tecnicamente chiamati Tmb (trattamento meccanico biologico), a Roma ce
ne sono già quattro. Uno di questi, quello di Rocca Cencia, dove Ignazio Marino
aveva immaginato di mettere realizzare l’ecodistretto, il Movimento 5 Stelle
vorrebbe però chiuderlo. O almeno, così
ha promesso in campagna elettorale ai cittadini della zona, nella periferia Est
di Roma, che in massa hanno votato per
Virginia Raggi.
Senza nuovi inceneritori o
termovalorizzatori, con i comitati cittadini, sostenuti dai politici locali,
anche del M5S, pronti a mettersi di traverso di fronte a qualsiasi soluzione
alternativa, come sta accadendo ad Ostia per il tritovagliatore mobile o nei
comuni della provincia suggeriti dalla sindaca (tra cui Palestrina e Gallicano
nel Lazio), l’unica prospettiva concreta, per ora, rimane quella di trasportare
i rifiuti fuori dalla regione, sfruttando al meglio le strutture esistenti. «Tutti
gli impianti che ci sono – disse l’ex presidente di Ama Giovanni Hermanin,
quando fu ascoltato in veste di testimone al processo Mafia Capitale – sono stati finanziati e realizzati con il
piano triennale per l’ambiente, quando io ero assessore regionale (dal 95 al
2000 ndr). Sia prima che dopo non fu fatto nulla». Dai Tmb di Rocca Cencia e
Salario, all’impianto di compostaggio di Maccarese. Senza dimenticare i
termovalorizzatori di San Vittore e Colleferro. Tutti impianti, contestati
dalle popolazioni locali, che sono stati pensati da quella sinistra
ambientalista, vicina a Legambiente, che negli anni 90 ha monopolizzato le
strategie sui rifiuti, occupando di volta in volta posizione strategiche, tanto
nei consigli comunali e regionali, quanto nelle municipalizzate. Spesso
incolpati di aver “flirtato“ eccessivamente col ras dei rifiuti Manlio Cerroni,
vivono ora la loro rivincita. Perché se Roma riesce a barcamenarsi
affannosamente senza dipendere totalmente dal «Supremo» è anche grazie alla
loro eredità.
Lui, Cerroni, sta a guardare, imbrigliato
dall’interdittiva antimafia che pende sulla sua testa e tolto di mezzo – a suo
dire – «per permettere all’ACEA di presentarsi “vergine” al matrimonio pubblico
con l’AMA che portava in dote i rifiuti della città». Nessuno a Roma conosce la
delicata questione dei rifiuti come lui. «La mia storia professionale, di oltre
70 anni di attività ininterrotta nel campo del trattamento dei rifiuti solidi
urbani si intreccia indissolubilmente con la storia della monnezza di Roma».
Gli argomenti di chi lo difende in Ama, e ce ne sono ancora tanti, sono sempre
gli stessi. «Con Cerroni Roma risparmiava. Siamo passati dal suo monopolio ai
monopoli delle multiutilities del Nord Italia». E lui dal canto suo, in una
lettera inviata al ministro Galletti lo scorso 11 maggio, ha proposto la
soluzione per scongiurare l’emergenza. «Tornare a rendere operativa la stazione
di ricevimento e tritovagliatura di Rocca Cencia (la stessa sui si scontrarono
Paola Muraro, che voleva riattivarla, e Daniele Fortini ex ad di Ama ndr) e
mandare in esercizio l’impianto di Guidonia per stabilizzare la frazione umida
(FOS) e preparare la frazione secca per essere trasferita ai forni e/o ai
cementifici nel Lazio, in Italia e all’Estero». Il re dell’immondizia però al
momento pare essere isolato. Tanto da Virginia Raggi e dal Movimento 5 Stelle,
quanto dalla regione di Nicola Zingaretti. L’unico suo alleato è l’ex premier
Matteo Renzi. E’ stato il suo governo infatti ad inserire il Gassificatore di
Malagrotta, attualmente fermo, nel Decreto “Sblocca Italia” dell’ottobre 2016.
Un segnale chiaro, che contribuisce ancora di più ad ingarbugliare la scena,
che oggi sarà dominata dall’ex premier che ha invitato i militanti Pd ad
indossare una maglietta gialla per andare a pulire la città. Un’azione «civica»
che quando Roma era governata da Ignazio Marino non venne nemmeno presa in
considerazione. In quel caso, invece di scendere in piazza in sostegno del
sindaco, i consiglieri capitolini furono invitati a rivolgersi dal notaio.
Altri tempi.
P.s. Le foto sono state realizzate nella
mattina del 14 Maggio a Ponte di Nona a poca distanza dal luogo in cui il
prossimo 16 maggio verranno allestiti i campi da gioco per gli Internazionali
di tennis.
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