da: http://www.glistatigenerali.com/ -
di Gianluca Roselli
“Ora è solo segretario del Pd. Figuriamoci
se dovesse tornare presidente del consiglio…”. La riflessione appartiene a
un parlamentare del Pd, renziano non della prima ora, ma appartenente
dell’inner circle del segretario. La nostra fonte, che naturalmente vuole
restare anonima, racconta di un malessere di fondo presente all’interno del
partito che il successo di Renzi alle primarie non ha lenito. Il nocciolo della
questione è il seguente: cosa vogliamo fare, a parte tornare al potere, per il
Paese? Qual è il nostro progetto politico per l’Italia? Quali sono le
coordinate che su economia, lavoro, imprese, disoccupazione, divario tra Nord e
Sud, rapporto con l’Europa, politica industriale, vogliamo dare alla nostra
rotta? La riesplosione dei casi Banca Etruria e Consip, inoltre, non fanno
altro che aggravare la situazione. Le polemiche degli ultimi giorni su Maria
Elena Boschi e papà Renzi hanno restituito all’opinione pubblica l’idea di un
fortino assediato, con Renzi e i suoi stretti dentro a difendersi, circondati
da nemici all’assalto finale. E l’idea di un gruppo chiuso che cerca di fare i
propri interessi, non solo politici, non è il biglietto da visita migliore da
spendere per la prossima campagna elettorale. Tanto più che dal fronte
giudiziario, bancario e dalle intercettazioni non si sa cos’altro potrà venir
fuori da qui alle prossime settimane o mesi.
Il ragionamento che alcuni renziani fanno, comunque, è il
seguente: non possiamo tornare a Palazzo
Chigi senza una prospettiva e senza cambiare il modo di approcciare alle
questioni. Perché, è il pensiero di molti, i primi segnali ci dicono che Renzi
è sempre lo stesso, non ha imparato
nulla dalla sconfitta, non ha
minimamente cambiato strategia. Come ha fatto notare anche il direttore del
Corriere della Sera nel suo editoriale di domenica scorsa. “L’ex premier non ha
ancora elaborato la sconfitta referendaria, è tornato sulla scena, dopo la
vittoria alle primarie, come se nulla fosse accaduto. Parole d’ordine e
atteggiamenti simili. E tanta insofferenza per le voci critiche e le notizie
scomode”, ha scritto Luciano Fontana. Parole che in Parlamento alcuni deputati
del Pd hanno sottolineato a penna, per poi farle leggere ai colleghi più
distratti. “Leggi qua. E’ esattamente così”.
Una prova? Basta dare un’occhiata alla
nuova “Matteo Renzi News”, pagina
Facebook che ha iniziato a martellare contro tutti e tutti, sottolineando le sortite
dei pasdaran renziani (e di Renzi stesso) contro grillini, scissionisti Pd,
giornali considerati nemici. Post
agiografici verso i fedelissimi, irriverenti e denigratori – veri e propri
sfottò – verso gli avversari, come un derby continuo e senza sosta tra bene e
male. Alla comunicazione del Pd, però, nessuno vuole lasciarci sopra le
impronte digitali. “Non la facciamo noi”, dicono dall’ufficio stampa del
Nazareno. “La guardiamo sempre ma non sappiamo chi è a realizzarla”, dicono
dalla comunicazione dei gruppi parlamentari. “Non sono io a occuparmene”,
risponde Filippo Sensi. “Io non c’entro”, nega Michele Anzaldi. Ma le nostre
fonti raccontano che la “Matteo Renzi News” sia voluta dallo stesso Renzi, che ha commissionato il lavoro ad esperti,
all’interno della comunicazione del Pd. D’altronde il lavoro è enorme:
almeno una ventina di post al giorno sempre in tempo reale sull’ultima notizia,
polemica o dichiarazione. Post che hanno il sapore e lo stile irriverente di un
Beppe Grillo piuttosto che di un ex premier candidato a governare di nuovo
l’Italia.
Il modo
di comunicare dimostra che l’ex
sindaco di Firenze non ha smesso di porsi nell’agire politico sempre in
contrapposizione con qualcun altro. In questo assomiglia molto a Silvio
Berlusconi, che dava il meglio di sé con un nemico davanti. Per Matteo una
volta è la minoranza del suo partito, un’altra è Grillo, una volta è l’Europa,
poi è Salvini, un’altra ancora è la stampa. “Il problema è che a un leader gli si può perdonare quasi
tutto, anche toni sopra le righe, a
patto che la sua azione politica sia efficace, che abbia contenuti, che
mostri ai suoi elettori di avere un programma politico. Se tutto questo non
c’è, allora restano solo polemiche e macerie”, continua la nostra fonte. E da
ciò s’intuisce che nel Pd il lavoro sul
programma per la prossima legislatura è
fermo al palo. Tommaso Nannicini, principale consigliere economico dell’ex
premier, che sarà presto nella segreteria del partito, non si sbilancia. Dal
Nazareno arriva però uno spiffero: Renzi vuole tornare a battere le strade di
sinistra, con riforme progressiste sulla scia delle unioni civili; ma al
contempo in campagna elettorale tirerà fuori dal cilindro una sorpresa in stile
Berlusconi sul taglio delle tasse e l’alleggerimento della pressione fiscale.
Sul resto è buio fitto, specialmente sul rapporto con l’Europa, con il suo
entourage spaccato in due: da una parte quelli che gli consigliano prudenza,
specialmente se Angela Merkel rivincerà alla grande le elezioni tedesche. Altri
suggeriscono un approccio più salviniano: fare la voce grossa, contestare molto
se non tutti, battere i pugni sul tavolo. Renzi caratterialmente propenderebbe
per la seconda strada, ma sa anche che si tratta di un crinale molto
pericoloso, difficile da intraprendere con i numeri della nostra debole
economia, che sarebbe ancora più debole senza l’acquisto dei titoli italiani da
parte della Banca Centrale Europea.
Infine il capitolo alleanze, ma qui entra
in gioco la legge elettorale, che
ancora non c’è e i cui tempi paiono allungarsi. Da quel che si evince Renzi ha
in mente due alternative. La prima è votare con il proporzionale puro, in modo che ogni partito si conti nelle urne e
poi, dopo il voto, si cerchino alleanze in Parlamento. E su questo fronte,
piuttosto che doversi alleare con le ali estreme, da Sinistra Italiana ad
Articolo 1 Mdp, Renzi non esclude un’intesa di governo con un Berlusconi orfano
di Meloni e Salvini. Un’alleanza centrista che tenga dentro anche Angelino
Alfano e, magari, Giuliano Pisapia. Oppure un Mattarellum corretto in
senso proporzionale, che permetta di presentarsi con un’alleanza di
centrosinistra dove Alfano e Pisapia sono contemplati, Bersani e D’Alema no.
Questo è lo schema per la politica nazionale, differente da quello per le
amministrative, dove nel 70% dei casi Pd e scissionisti si presentano insieme.
Quello che però appare logoro è il suo
rapportarsi alle cose. “Renzi suona
sempre lo stesso spartito, ma non si è accorto che la musica è cambiata,
che non siamo più all’epoca delle primarie contro Bersani, quando l’ex sindaco
era lanciato alla conquista del partito, e nemmeno nei mesi del referendum
costituzionale. Lo scenario è completamente cambiato. Occorre un’evoluzione:
Matteo deve far percepire agli italiani di essere diverso, più serio, concreto,
affidabile. E riservato. L’eccesso di polemiche e comunicazione ha stufato noi,
figuriamoci i cittadini. Bisogna dare risposte ai problemi e non rincorrere i
grillini sull’ultimo tweet. Se non si cambia, alle urne c’è il rischio di trovare
brutte sorprese”, conclude il parlamentare piddino. Ma nemmeno, aggiungiamo
noi, dare l’idea di un gruppo di potere intento ad aiutare solo le banche
amiche o a piazzare i fedelissimi nei posti chiave. Il test delle
amministrative di giugno, a questo punto, sarà fondamentale per misurare lo
stato di salute del renzismo nel nostro Paese.
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