Che la Casaleggio e Associati utilizzi il web per finanziarsi è cosa
nota, così come è cosa altrettanto nota che gli eletti del Movimento 5
Stelle condividano sulle loro pagine ufficiali contenuti di che poi
producono un notevole traffico sui siti della galassia della società che li
controlla. Si tratta di un sistema ormai collaudato che prevede la diffusione
di varie tipologie di post, dalle “foto notizie” utilizzate
principalmente per la discutibile pratica
del click baiting (accompagnate
da appelli alla “massima condivisione”), agli urlati “video
denuncia” che i parlamentari e i senatori più in vista del del partito del
comicoleader genovese girano sia fuori che dentro le aule di Montecitorio e
Palazzo Madama (dove non sarebbe consentito, ma questo è un particolare).
Secondo i più informati, tutti i contenuti postati sui social dai principali
“attori” della “compagnia teatrale” di Beppe Grillo, devono
essere “approvati” dallo staff della società ereditata da Davide
Casaleggio. Questo per evitare il più possibile pasticci come quello combinato recentemente da Virginia Raggi.
Proprio questo particolare utilizzo dei
palazzi del potere come “platea” per produrre brevi show da rendere
virali, ha stimolato l’intervento alla Camera della giovane deputata dem Giuditta Pini, che di fatto ha accusato i colleghi pentastellati di utilizzare in modo improprio
le loro ore di lavoro
che – come spesso ricordano gli stessi grillini – sono lautamente pagate da tutti noi.
che – come spesso ricordano gli stessi grillini – sono lautamente pagate da tutti noi.
La denuncia potrebbe sembrare pretestuosa,
ma osservando la condotta degli eletti
del Movimento 5 Stelle – che siano sindaci, semplici consiglieri comunali,
deputati o senatori – ci si rende conto di quanto il tempo che loro utilizzano
per la creazione e la diffusione di video
propagandistici utili a creare traffico web (e quindi soldi), sia nei fatti
una forma di finanziamento al partito. Per fare un esempio, accade spesso che nel mezzo di una discussione in aula, i
“big” pentastellati si esibiscano in “appassionati” interventi di protesta totalmente fuori contesto
rispetto agli argomenti trattati, registrati in video che nel giro di
poche ore vengono diffusi sul web in
modo massiccio, presumibilmente con sistemi automatici per moltiplicare condivisioni e “like” sui social network.
Semplificando (ma neanche troppo), si potrebbe dire che se è vero che gli
eletti delle altre forze politiche (in particolare quelli del PD) devolvono
parte dei loro stipendi per finanziarle, i pentastellati utilizzano una buona parte del tempo che dovrebbero
spendere per produrre o emendare leggi per fare marketing digitale. E come si dice… Il tempo è denaro.
Ma dove finiscono i soldi di questi contenuti che contano migliaia di
visualizzazioni, like e condivisioni? Questo non è dato saperlo, alla
faccia della trasparenza. Sappiamo che la Casaleggio Associati ha un fatturato che supera i 2 milioni di euro e
che tra i principali siti da cui trae profitto ci sono, oltre al blog di
Beppe Grillo, “Tze Tze”, “La Cosa”, “La
Fucina” e“movimento5stelle.it”. A Questi andrebbero aggiunti i ricavi
pubblicitari ottenuti sui canali YouTube dove i vari Di Battista,
Lombardi, Raggi, Taverna & Co., producono centinaia di migliaia
di visualizzazioni.
E per capire quanto il web sia centrale
nella vita del Movimento, basta leggere il suo “non statuto”,
dove è scritto che la “non sede” del
partito (o non partito che sia) coincide con quella del sito movimento5stelle.it, che
altro non è che una costola del blog di Grillo con sede a Genova, presso
l’Associazione Movimento 5 Stelle, in via Roccataglia
Ceccardi, ovvero – come ricorda Giuditta Pini nel suo intervento – nello studio
dell’Avvocato Enrico Grillo, vicepresidente del M5S nonché nipote di Beppe, alla faccia del nepotismo.
Tuttavia, malgrado il sistema sia studiato nei
minimi dettagli, non sempre i
risultati sono quelli sperati. È il caso della giornata di ieri, che i grillini
volevano centrare mediaticamente sul rinvio in commissione del DDL Lombardi, quello sul dimezzamento degli stipendi dei
parlamentari. L’idea era quella
di utilizzare lo scontato voto alla Camera (su un
provvedimento discusso poco e male) per un grande
“spot” contro Governo e Partito Democratico. Gli ingredienti c’erano tutti:
dalla presenza di Beppe Grillo in persona ad assistere alla seduta, alla rumorosa manifestazione a Piazza
Montecitorio da cui registrare i video spot da diffondere per finanziare il
partito. L’attesa era tanta, i numerosi cronisti aspettavano
addirittura una sortita di Grillo in mezzo al suo popolo, ma qualcosa è andato storto.
Pochi infatti i manifestanti (circa
200 esseri umani, 3 bandiere, 4 trombette da stadio e un cane con palesi
trascorsi in gruppi marxisti leninisti) e ciò deve aver sconsigliato la
presenza del comico leader in piazza. Nei comizietti dei parlamentari – sempre
assai grintosi – traspariva una certa insoddisfazione, con l’unico Di Battista a suonare “seriamente” la carica, con tanto di
confessione sulla presenza del Presidente del Consiglio sul
suo “scroto a 5 stelle” (Video).
Intendiamoci: i video prodotti faranno il
giro del Web e tutto sarà spacciato come un grande successo di partecipazione,
ma è chiaro che così non è stato. Ma cosa ha prodotto il flop? A parte l’orario non comodo della manifestazione, i maligni –
compreso il sottoscritto – attribuiscono una certa freddezza al disastroso avvio dell’esperienza amministrativa di Virginia
Raggi, sempre più stella impazzita della
costellazione grillina. Il sindaco della Capitale, oltre a perdere popolarità
ogni giorno che passa, ha praticamente oscurato i suoi colleghi con la sua
ardita dichiarazione sul “complotto dei frigoriferi”,
diventato in poche ore virale grazie all’hashtag #frigogate. In
fondo la rete è affascinante proprio per
questo: puoi pianificare una
giornata dove unisci la propaganda
al marketing digitale studiato per modernissimi device
e poi, per una frase di troppo,
tutto il tuo potenziale
pubblico si mette a discutere di frigoriferi…
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