da: Il Fatto Quotidiano
Nobel
a Bob Dylan, ora apriamo i canoni letterari alla musica d’autore
di Paolo
Talanca
Bob Dylan ha vinto il Premio Nobel
per la letteratura 2016. Questa è una notizia di
proporzioni sbalorditive. Perché? Perché per la prima volta la canzone viene
considerata espressione artistica di primo piano, e non brutta e furba sorella
della poesia. La motivazione del riconoscimento, infatti, recita così: «Per
aver creato nuove espressioni poetiche all’interno della grande tradizione
della canzone americana». La canzone dunque è considerata espressione
letteraria autonoma, questo è il punto; non solo Dylan è il primo cantautore ad
aver vinto il Nobel per la letteratura: lo ha vinto per quella forma letteraria
esclusiva che è la canzone.
Chi segue queste pagine ricorderà diversi miei scritti che hanno
trattato questo tema; o l’intervista a Guccini effettuata
per un lavoro sul canone letterario della canzone d’autore. Soprattutto
in quest’ambito, il Nobel a Dylan ha da noi un’enorme importanza storica:
l’Italia è stata fino a oggi molto restìa a
considerare la canzone come forma letteraria. “Certo, perché c’è anche la musica” potrebbe dire qualcuno. Ma nemmeno il teatro esaurisce la propria scrittura sulla pagina scritta. Eppure, a chi verrebbe mai in mente che Shakespeare o Goldoni non facciano letteratura? E che l’Amleto o La locandiera non siano opere letterarie?
considerare la canzone come forma letteraria. “Certo, perché c’è anche la musica” potrebbe dire qualcuno. Ma nemmeno il teatro esaurisce la propria scrittura sulla pagina scritta. Eppure, a chi verrebbe mai in mente che Shakespeare o Goldoni non facciano letteratura? E che l’Amleto o La locandiera non siano opere letterarie?
Di sicuro l’oggetto artistico “canzone”
contempla al suo interno diversi generi: alcuni sono più letterari di altri. Il
fatto è che, a livello critico, accademico e giornalistico, musica e
letteratura in Italia sono purtroppo più lontane di quanto si possa credere. E
che questo succeda nel nostro Paese, con la nostra storia e il nostro passato,
è letteralmente assurdo.
Da una parte c’è il mondo delle lettere,
dove, se è prassi consolidata giudicare in genere non letterariamente validi
certi testi dei libretti d’Opera, neanche i cantautori godono ancora oggi di
particolare considerazione. A parte qualche caso isolato di insegnanti che si
soffermano per qualche lezione sulle pochissime pagine in cui sono relegati
nelle antologie scolastiche, e qualche sparuta traccia all’esame di Maturità,
il canone letterario italiano esclude i cantautori dal novero degli artisti da
prendere in considerazione. Strutturalmente si fa ben poco, basti pensare che,
come ho già scritto altrove, il sistema universitario italiano non fornisce
un’adeguata preparazione ai professori, che per il nostro ordinamento possono
insegnare materie umanistiche pur essendo del tutto digiuni di nozioni
musicali.
Le cose non vanno meglio per ciò che
riguarda la maggior parte dei critici, ma soprattutto dei giornalisti musicali
italiani e di certi addetti ai lavori, che guardano con sospetto l’accostamento
dei cantautori alla letteratura. Il più delle volte, per loro il mondo delle
lettere sembra essere troppo opprimente, mentre invece la canzone è “free” – o,
peggio, “easy” –, contempla più la sociologia che le discipline estetiche, e,
nei casi estremi, non andrebbe presa troppo sul serio. L’Italia, anche in
alcune delle più alte e insospettabili sfere accademiche o dei media, è un paese
di tifosi; questo, invece, è un argomento su cui mi sembra che valga la pena
riflettere.
Una cosa è certa: da oggi qualcosa è
cambiato davvero. E allora forse è giusto chiudere con le parole di
Francesco De Gregori: «È una notizia che mi riempie di gioia,
vorrei dire non è mai troppo tardi. Il Nobel assegnato a Dylan non è solo un
premio al più grande scrittore di canzoni di tutti i tempi ma anche il
riconoscimento definitivo che le canzoni fanno parte a pieno titolo della
letteratura di oggi e possono raccontare, alla pari della scrittura, del cinema
e del teatro, il mondo e le storie degli uomini». Come dargli torno?
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