giovedì 27 ottobre 2016

Mika intervistato da Vanity Fair: “Dove c’è un progetto e della creatività, lì io mi sento a casa”




foto Amilcare & Alex

da: Vanity Fair 

Mika vuol dire Houdini 
È scappato dal suo Paese, da scuola, dalla «trappola della musica pop». E prima di fuggire anche dalla Tv, la popstar debutta con uno show sfavillante, che parla di noi italiani. Porterà la sua «valigia immaginaria».Perché, quando sei un migrante, casa è soprattutto un’idea: «Il profumo quando si cucina»
di Silvia Nucini

Mika, 33 anni. Dal 15 novembre, su Raidue alle 21.20, dà vita a Stasera CasaMika, il suo one man show in quattro puntate, un varietà con ospiti internazionali in cui la popstar racconta la sua Italia. Il 30 e il 31 dicembre, si esibirà nella sua Sinfonia Pop con l’orchestra sinfonica del teatro Opera di Firenze.

Quando parla, Mika disegna immagini. Nel corso di questa intervista lo vedrete: trasportare un bagaglio enorme che però vede solo lui, sdraiarsi su un tappeto per non sentirsi esule, e poi su un palco diventare prigioniero dentro una gabbia fatta di occhi e anche trasformarsi in un albero, molto alto, come è giusto che sia. Ma partiamo dalla prima scena: c’è lui, nella cucina di casa, a Londra, al telefono. Sta dicendo a tutti: «Mi è venutaun’idea pazzesca. Voglio fare un programma in Tv».
E non stava parlando di X Factor.
«Qualche anno fa mi ero detto: io la Tv non la farò mai. E invece ho fatto un
talent, che era di così alta qualità che mi ha permesso di rimanere me stesso in una situazione pericolosa, molto pericolosa. E poi, perché non puoi continuare per troppo tempo a fare qualcosa che non ti appartiene davvero, mi sono fermato. A quel punto c’è stata un’invasione di richieste, e io ho risposto a questa: Stasera CasaMika. Se va bene, bene, se no posso dire di aver provato a fare una cosa bella».
Com’è secondo lei una cosa bella in Tv?
«Di cose belle in Tv ce ne sono state tantissime in passato, quando la televisione era un evento, un mix di buon umore e qualità e la confluenza di tante eccellenze: abiti stupendi, ballerini eccezionali, design all’avanguardia; intere squadre che lavoravano per il cinema lo facevano poi anche per la televisione. Penso agli show di Mina e a Indietro tutta! di Arbore in Italia, agli special di Frank Sinatra, Elvis e Cher in America, ai varietà della coppiaCarpentier in Francia (produttori di show televisivi dagli anni ’50 ai ’90, ndr). Ecco diciamo che ho pensato a tutte queste cose quando immaginavo il programma. E ho posto una condizione: che mi venisse data carta bianca su tutto, fin dai dettagli come il logo, il promo, i vestiti».
Gliel’hanno data?
«Sì».
Come si sta a CasaMika?
«Affollati, ci sono tantissimi amici che vengono a trovarmi, Virginia Raffaele e Sarah Felberbaum saranno presenze fisse in tutte le puntate, e anche io vedo molte persone e cose interessanti fuori dallo studio. Ho pensato che uscire era un modo per portare l’Italia in casa mia. Sto facendo un lungo e bellissimo viaggio nel vostro Paese».
Ormai l’Italia la conosce abbastanza. Che idea si è fatto?
«Di un posto pieno di contrasti e contraddizioni, e abitato da persone così diverse tra loro da non sembrare nemmeno connazionali. Ma è proprio questa diversità a dare una ricchezza culturale enorme. L’Italia per me è come una lunga porta, anzi un bellissimo corridoio, verso gli altri Paesi, e rappresenta benissimo la mia vita perché ci trovo qualcosa dei posti dove ho vissuto: Londra, Parigi, ma anche il Libano. Mi piace anche che l’Italia abbia una sua autonomia culturale che è la stessa che ritrovo in Francia: avete star che sono vere star anche se all’estero non le conosce nessuno, e questo è bello perché vuol dire che la macchina dello spettacolo americana non ha proprio omologato ogni cosa».
Prima di venirci e poi conoscerla davvero, la immaginava così?
«No, è tutto molto più complesso. Le cose non sono facili in questo Paese: la burocrazia, per esempio, è ingestibile. Però la vita c’è, ed è nelle strade, non nascosta dietro i muri, nelle case. E si è sempre meno tristi quando c’è la vita intorno».
Il nostro difetto più grande?
«L’emozione, sempre. È il più grande difetto, ma anche la più grande qualità. Io la conosco bene questa cosa perché è anche il più grande difetto della mia famiglia».
Siamo così accoglienti come dite di noi voi stranieri?
«Su questo aspetto è come se l’Italia fosse non uno, ma due Paesi. Ci sono milioni di italiani che sono tollerantissimi, e milioni che non lo sono affatto. Questa sensazione di spaccatura l’ho sempre sentita anche in Francia, mentre mai in Inghilterra, almeno fino a due mesi fa quando è stata votata la Brexit ed è diventato chiaro a tutti che la destra “dolce”, dolce non lo è affatto, e mi fa tanta paura. Ma se guardiamo bene la stessa cosa sta succedendo in America, con Trump: omofobia, sessismo e razzismo si ritrovano ovunque con diversi colori, attributi e manifestazioni. Stiamo vivendo una situazione di grande tensione, frustrazione, crisi economica, e sullo sfondo c’è la guerra. Ce lo dice la storia che quando le cose vanno bene le società sono piùtolleranti, quando vanno male si chiudono».
La sua famiglia ha origini siriane e libanesi, due Paesi in guerra.
«Mia madre ha parenti in Siria, che ora sono tutti scappati. Sono stati però i 25 anni di guerra del Libano che hanno trasformato la mia idea del Paese dove sono nato. La sua mitologia si è frammentata nelle piccole cose: un tappeto su cui mi sdraio, il profumo della casa quando si cucina, la voce di Fairouz (star della musica libanese, ndr). Ma penso che sia così per tutti gli esuli e i migranti: il tuo Paese non c’è più, lo trovi in altro e così puoi portartelo dietro ovunque tu vada».
E questo lo fa anche con gli altri Paesi in cui ha vissuto?
«Sì, ho una grande valigia immaginaria sulle mie spalle, che è molto molto pesante. In questa valigia ci sono dentro i luoghi e c’è dentro anche la mia famiglia: io sono l’unico bambino che è scappato di casa alle due di notte per unirsi al circo, ma si è anche portato dietro tutti i parenti».
Dove si sente a casa adesso?
«Dove c’è un progetto e della creatività, lì io mi sento a casa. Questo mi fa pensare anche a tutti quelli che emigrano per cercare una strada che sia loro. In Italia succede tanto, troppo, perché non ci sono opportunità per i giovani, nessuno investe su di loro. La fuga dei cervelli è anche una fuga dello spirito: una generazione diragazzi che sogna di scappare è una tragedia per il suo Paese. La generazione mia e di mio fratello sono le prime a non aver conosciuto un mondo in crescita. E questo cambia le teste: la mancanza di prospettive toglie libertà, l’incapacità di sognare è una prigione invisibile. Dalla quale io sono sempre scappato. Sono scappato dalla scuola, dal collegio, dalla trappola della macchina della musica pop: sono Houdini. Sto sempre scappando, anche adesso. Scappo e mi porto dietro tutto. Le valigie più pesanti sono quelle che non si vedono».
Scapperà anche dalla Tv?
«Scapperò, cambierò sempre».
Ma dalla musica no, vero?
«Cantare è l’unica cosa che mi permette di scappare, è la cosa più importante della mia vita. Quando canti apri una porta. Quando canto mi sento come se stessi parlando un altro linguaggio, molto più complesso ma anche più semplice. Un linguaggio di segni, di sensualità, senza nessuna barriera. Mi fa sentire libero, non potente, ma connesso. Quando a maggio ho fatto Rock in Rio (grande festival musicale, ndr) a Lisbona c’erano 80 mila persone a sentirmi, e lì, di fronte alla più grande paura, la più grande prigione – non c’è prigione più chiara ed esplicita di 80 mila persone che ti guardano negli occhi – ho aperto la bocca, ho cantato e cantando ho trovatola chiave per aprire le sbarre».
Ha sempre paura prima di cantare?
«Sempre. Ma lo devi fare e lo fai. È come il sesso: non è terrorizzante farlo la prima volta con una persona nuova? Però poi passa. E come l’acqua di mare quando è fredda, e non ti decidi a entrare. Poi la gravità fa tutto per te».
Cita il sesso con persone nuove, quindi devo chiederle: è sempre fidanzato con Andreas?
«Da dieci anni e tre settimane. È tantissimo? Sì, no, dipende».
Qual è il segreto di tanta longevità?
«Lui ha lasciato libero me di cambiare e, così facendo, io non ho dovuto cambiare lui con altre persone».
È stato bravo: fa sempre un po’ paura vedere l’altro che cambia.
«Sì, ma non aveva scelta. Siamo due alberi molto diversi, a me piace una particolare luce, un pH della terra che non è quello che piace a lui. Quindi non condividiamo né terra né luce, però rimaniamo lì».
E che alberi siete?
«Io sono un pino con le radici nella terra, ma con i rami nel vento. Lui un castagno, che perde le foglie d’inverno. Però a primavera ritornano. Forse non tutte, ma tornano».

Nessun commento:

Posta un commento