foto Amilcare & Alex
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da: Vanity Fair
Mika vuol dire Houdini
È
scappato dal suo Paese, da scuola, dalla «trappola della musica pop». E prima
di fuggire anche dalla Tv, la popstar debutta con uno show sfavillante, che
parla di noi italiani. Porterà la sua «valigia immaginaria».Perché,
quando sei un migrante, casa è soprattutto un’idea: «Il profumo quando si
cucina»
di Silvia
Nucini
Mika, 33 anni. Dal 15 novembre, su Raidue alle 21.20, dà vita a Stasera CasaMika,
il suo one man show in quattro
puntate, un varietà con ospiti internazionali in cui la popstar racconta la sua
Italia. Il 30 e il 31 dicembre, si esibirà nella sua Sinfonia Pop con
l’orchestra sinfonica del teatro Opera di Firenze.
Quando parla, Mika disegna immagini. Nel
corso di questa intervista lo vedrete: trasportare un bagaglio enorme che però vede
solo lui, sdraiarsi su un tappeto per non sentirsi esule, e poi su un palco
diventare prigioniero dentro una gabbia fatta di occhi e anche trasformarsi in
un albero, molto alto, come è giusto che sia. Ma partiamo dalla prima scena:
c’è lui, nella cucina di casa, a Londra, al telefono. Sta dicendo a tutti: «Mi
è venutaun’idea pazzesca. Voglio fare un programma
in Tv».
E
non stava parlando di X Factor.
«Qualche anno fa mi ero detto: io la Tv non
la farò mai. E invece ho fatto un
talent, che era di così alta qualità che mi ha permesso di rimanere me stesso in una situazione pericolosa, molto pericolosa. E poi, perché non puoi continuare per troppo tempo a fare qualcosa che non ti appartiene davvero, mi sono fermato. A quel punto c’è stata un’invasione di richieste, e io ho risposto a questa: Stasera CasaMika. Se va bene, bene, se no posso dire di aver provato a fare una cosa bella».
talent, che era di così alta qualità che mi ha permesso di rimanere me stesso in una situazione pericolosa, molto pericolosa. E poi, perché non puoi continuare per troppo tempo a fare qualcosa che non ti appartiene davvero, mi sono fermato. A quel punto c’è stata un’invasione di richieste, e io ho risposto a questa: Stasera CasaMika. Se va bene, bene, se no posso dire di aver provato a fare una cosa bella».
Com’è
secondo lei una cosa bella in Tv?
«Di cose belle in Tv ce ne sono state
tantissime in passato, quando la televisione era un evento, un mix di buon
umore e qualità e la confluenza di tante eccellenze: abiti stupendi, ballerini
eccezionali, design all’avanguardia; intere squadre che lavoravano per il
cinema lo facevano poi anche per la televisione. Penso agli show di Mina e a
Indietro tutta! di Arbore in Italia, agli special di Frank Sinatra, Elvis e Cher
in America, ai varietà della coppiaCarpentier in Francia (produttori di show televisivi dagli
anni ’50 ai ’90, ndr). Ecco diciamo che ho pensato a tutte queste cose quando
immaginavo il programma. E ho posto una condizione: che mi venisse data carta
bianca su tutto, fin dai dettagli come il logo, il promo, i vestiti».
Gliel’hanno
data?
«Sì».
Come
si sta a CasaMika?
«Affollati, ci sono tantissimi amici che vengono
a trovarmi, Virginia Raffaele e Sarah Felberbaum saranno presenze fisse in
tutte le puntate, e anche io vedo molte persone e cose interessanti fuori dallo
studio. Ho pensato che uscire era un modo per portare l’Italia in casa mia. Sto
facendo un lungo e bellissimo viaggio nel vostro Paese».
Ormai
l’Italia la conosce abbastanza. Che idea si è fatto?
«Di un posto pieno di contrasti e
contraddizioni, e abitato da persone così diverse tra loro da non sembrare
nemmeno connazionali. Ma è proprio questa diversità a dare una ricchezza
culturale enorme. L’Italia per me è come una lunga porta, anzi un bellissimo
corridoio, verso gli altri Paesi, e rappresenta benissimo la mia vita perché ci
trovo qualcosa dei posti dove ho vissuto: Londra, Parigi, ma anche il Libano. Mi
piace anche che l’Italia abbia una sua autonomia culturale che è la stessa che
ritrovo in Francia: avete star che sono vere star anche se all’estero non le
conosce nessuno, e questo è bello perché vuol dire che la macchina dello
spettacolo americana non ha proprio omologato ogni cosa».
Prima
di venirci e poi conoscerla davvero, la immaginava così?
«No, è tutto molto più complesso. Le cose
non sono facili in questo Paese: la burocrazia, per esempio, è ingestibile. Però
la vita c’è, ed è nelle strade, non nascosta dietro i muri, nelle case. E si è sempre
meno tristi quando c’è la vita intorno».
Il
nostro difetto più grande?
«L’emozione, sempre. È il più grande
difetto, ma anche la più grande qualità. Io la conosco bene questa cosa perché
è anche il più grande difetto della mia famiglia».
Siamo
così accoglienti come dite di noi voi stranieri?
«Su questo aspetto è come se l’Italia fosse
non uno, ma due Paesi. Ci sono milioni di italiani che sono tollerantissimi, e
milioni che non lo sono affatto. Questa sensazione di spaccatura l’ho sempre sentita
anche in Francia, mentre mai in Inghilterra, almeno fino a due mesi fa quando è
stata votata la Brexit ed è diventato chiaro a tutti che la destra “dolce”,
dolce non lo è affatto, e mi fa tanta paura. Ma se guardiamo bene la stessa
cosa sta succedendo in America, con Trump: omofobia, sessismo e razzismo si
ritrovano ovunque con diversi colori, attributi e manifestazioni. Stiamo
vivendo una situazione di grande tensione, frustrazione, crisi economica, e sullo
sfondo c’è la guerra. Ce lo dice la storia che quando le cose vanno bene le
società sono piùtolleranti, quando vanno male si chiudono».
La
sua famiglia ha origini siriane e libanesi, due Paesi in guerra.
«Mia madre ha parenti in Siria, che ora
sono tutti scappati. Sono stati però i 25 anni di guerra del Libano che hanno
trasformato la mia idea del Paese dove sono nato. La sua mitologia si è
frammentata nelle piccole cose: un tappeto su cui mi sdraio, il profumo della
casa quando si cucina, la voce di Fairouz (star della musica libanese, ndr). Ma
penso che sia così per tutti gli esuli e i migranti: il tuo Paese non c’è più,
lo trovi in altro e così puoi portartelo dietro ovunque tu vada».
E
questo lo fa anche con gli altri Paesi in cui ha vissuto?
«Sì, ho una grande valigia immaginaria sulle
mie spalle, che è molto molto pesante. In questa valigia ci sono dentro i
luoghi e c’è dentro anche la mia famiglia: io sono l’unico bambino che è scappato
di casa alle due di notte per unirsi al circo, ma si è anche portato dietro tutti
i parenti».
Dove
si sente a casa adesso?
«Dove c’è un progetto e della creatività,
lì io mi sento a casa. Questo mi fa pensare anche a tutti quelli che emigrano
per cercare una strada che sia loro. In Italia succede tanto, troppo, perché
non ci sono opportunità per i giovani, nessuno investe su di loro. La fuga dei
cervelli è anche una fuga dello spirito: una generazione diragazzi che sogna di scappare è una
tragedia per il suo Paese. La generazione mia e di mio fratello sono le prime a
non aver conosciuto un mondo in crescita. E questo cambia le teste: la mancanza
di prospettive toglie libertà, l’incapacità di sognare è una prigione
invisibile. Dalla quale io sono sempre scappato. Sono scappato dalla scuola,
dal collegio, dalla trappola della macchina della musica pop: sono Houdini. Sto
sempre scappando, anche adesso. Scappo e mi porto dietro tutto. Le valigie più
pesanti sono quelle che non si vedono».
Scapperà
anche dalla Tv?
«Scapperò, cambierò sempre».
Ma
dalla musica no, vero?
«Cantare è l’unica cosa che mi permette di
scappare, è la cosa più importante della mia vita. Quando canti apri una porta.
Quando canto mi sento come se stessi parlando un altro linguaggio, molto più complesso
ma anche più semplice. Un linguaggio di segni, di sensualità, senza nessuna barriera.
Mi fa sentire libero, non potente, ma connesso. Quando a maggio ho fatto Rock
in Rio (grande festival musicale, ndr) a Lisbona c’erano 80 mila persone a sentirmi,
e lì, di fronte alla più grande paura, la più grande prigione – non c’è
prigione più chiara ed esplicita di 80 mila persone che ti guardano negli occhi
– ho aperto la bocca, ho cantato e cantando ho trovatola chiave per aprire le sbarre».
Ha
sempre paura prima di cantare?
«Sempre. Ma lo devi fare e lo fai. È come il
sesso: non è terrorizzante farlo la prima volta con una persona nuova? Però poi
passa. E come l’acqua di mare quando è fredda, e non ti decidi a entrare. Poi la
gravità fa tutto per te».
Cita
il sesso con persone nuove, quindi devo chiederle: è sempre fidanzato con
Andreas?
«Da dieci anni e tre settimane. È
tantissimo? Sì, no, dipende».
Qual
è il segreto di tanta longevità?
«Lui ha lasciato libero me di cambiare e, così
facendo, io non ho dovuto cambiare lui con altre persone».
È
stato bravo: fa sempre un po’ paura vedere l’altro che cambia.
«Sì, ma non aveva scelta. Siamo due alberi molto
diversi, a me piace una particolare luce, un pH della terra che non è quello che
piace a lui. Quindi non condividiamo né terra né luce, però rimaniamo lì».
E
che alberi siete?
«Io sono un pino con le radici nella terra,
ma con i rami nel vento. Lui un castagno, che perde le foglie d’inverno. Però a
primavera ritornano. Forse non tutte, ma tornano».
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