da: http://pepe.blogautore.repubblica.it/
La tragedia familiare e il cordoglio
collettivo per la morte di un uomo senza speranza di sopravvivenza (preferisco
non usare "malato terminale") avvenuta in circostanze inaccettabili
all'ospedale San Camillo di Roma, e raccontata dal figlio nella sua drammaticità,
permettono di far capire quali siano i "bubboni" della nostra sanità,
perfino nei nosocomi che mantengono ancora una qualità assistenziale di media
qualità.
Il primo è sovrastrutturale, eppure
fondamentale ormai, visto che di malattie gravi come il tumore muoiono ogni
giorno in Italia quasi 500 persone (e spesso proprio nello squallore di un
ospedale): è l'umanizzazione (o disumanizzazione). Alcuni oggi scoprono - dopo
decenni che se ne parla e scrive - che l'umanità in ospedale è un problema serio
da affrontare, ed è un bene perché non è mai troppo tardi. Altri invece -
medici, sanitari e giornalisti insulsi - ora si scandalizzano, ipocritamente,
quando hanno sempre irriso la questione, derubricandola ai margini, nella
pervicace convinzione che in certe situazioni la disumanità è inevitabile.
Altri ancora - associazioni, medici e giornalisti - hanno posto al centro
l'umanizzazione del sistema, ma sono stati spesso considerati Cassandre e
rompiscatole. Infine ci sono quelli - più infermieri che camici bianchi - che
"prendono in carico" il paziente che soffre, perché sanno che nella
malattia diventiamo più deboli, più fragili, e il sostegno emotivo, la
partecipazione, il dialogo possono essere parte integrante della cura: sanno
che la parola diventa essa stessa terapia.
L'umanità in ospedale è una necessità
prioritaria verso ogni paziente, e in particolare nei confronti dei malati
senza speranza, ai quali non può mancare il conforto, come ricordava ieri su
Repubblica il professor Veronesi, che da ministro istituì la Giornata del
sollievo, al fine di sensibilizzare l'intera comunità nazionale sull'importanza
della dignità del malato. La questione è che larga parte del personale non ha
gli strumenti culturali, la preparazione necessaria per instaurare un rapporto
empatico con il malato. In quanti ospedali esistono gli psicologi che
potrebbero svolgere un compito così delicato in modo egregio?
Ovviamente non si può né si deve
generalizzare, perché in alcuni ospedali deputati all'oncologia, come il Regina
Elena di Roma, l'umanizzazione è una componente del lavoro dell'intero
ospedale. Conosco direttamente questa struttura e sono certo che anche in altri
ospedali si comportino allo stesso modo, se non meglio. In altri invece è
sicuramente peggio. Come testimonia la lettera del collega Patrizio Cairoli, di
"Askanews" sulla morte del padre al San Camillo. Perché quello che
lui ha denunciato accade ogni giorno in tanti reparti di tanti nosocomi
italiani, perché la malattia grave - e quindi non solo il cancro - è all'ordine
del giorno.
Il secondo "bubbone", che in
parte nutre il primo (che si alimenta anche da solo), riguarda appunto le
condizioni strutturali degli ospedali, e in particolare dei Pronto soccorso.
Dove non ci sono posti letto, dove resti in barella anche 72 ore, dove non ci
sono gli spazi per garantire un po' di privacy a persone che non sono in grado
di difendersi (tre anni fa in un corridoio del PS del Pertini, sempre a Roma,
vidi una donna anziana, forse affetta da demenza, completamente nuda in corridoio,
con due infermiere che cercavano di vestirla: alle mie proteste per questo
vergognoso trattamento, una rispose "tanto è rimbambita").
La causa di questo "bubbone" è la
riduzione progressiva e devastante delle spese per la sanità. Ed è inutile girarci
intorno perché i tagli non sono soltanto una questione di bilancio: sono in
parte responsabili dei decessi anzitempo. I tagli feriscono indirettamente la
dignità dei malati, ma uccidono direttamente le persone che non hanno i mezzi
per curarsi, che aspettano in lunghe liste di attesa, e quando arriva il
momento della diagnosi per loro è ormai troppo tardi.
Riuscire a conquistare un posto letto, può
essere un terno al lotto in parecchi casi. Perché in cinque anni - dal 2010 al
2015 - ne sono scomparsi 24.155, in pratica il dieci per cento del totale. Ma
in alcune località sono stati dimezzati, o sono calati anche del novanta per
cento. E questo spiega facilmente perché chi può farlo, si rivolge al
privato, come fosse un "salvavita".
E non c'è solo la mancanza di letti. Perché
se il primario di psichiatria del San Camillo, Antonio Picano, dice a
Repubblica che in uno spazio progettato per 7 pazienti ha contato 27 barelle,
non solo denuncia la promiscuità, non solo il sovraffollamento, quanto
l'assenza di spazi adeguati, che sarà difficile colmare se non si investe in
sanità, mentre al contrario si usa la forbice. Eppure la denuncia di Picano è
rimasta lettera morta. Un fatto che mette in evidenza anche la frustrazione di
una parte del personale, quella più sensibile, che non si adegua, che non si
arrende di fronte alla progressiva perdita di funzione del servizio pubblico.
Gli ispettori inviati dalla Lorenzin al San
Camillo, forse stileranno un buon rapporto, spiegando formalmente quello che è
accaduto. Ma chissà se diranno che dietro la morte di un padre c'è anche una
sanità povera e disumana. Perché altrimenti la lettera scritta da Patrizio
Cairoli alla ministra, resterà solo un fatto di cronaca.
guglielmpepe@gmail.com
@pepe_guglielmo
Ps. Ho sentito ora il professor Garattini
dire in TV (Rai 3) che il fondo sanitario è di 113 miliardi. Ma questo è
l'obiettivo sperato.
Però Garattini ha detto una cosa inusuale
sui prezzi dei farmaci antipatite C e sul rifiuto di produrre similari: ci sono
"lobby farmaceutiche che fanno pressioni e ricatti sui posti di
lavoro".
Faccio rilevare che se altri scrivono le
stesse cose c'è subito un esercito di troll pronto a sbranarli...
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