venerdì 7 ottobre 2016

Guglielmo Pepe: I pesanti tagli alla Sanità uccidono dignità e malati



da: http://pepe.blogautore.repubblica.it/

La tragedia familiare e il cordoglio collettivo per la morte di un uomo senza speranza di sopravvivenza (preferisco non usare "malato terminale") avvenuta in circostanze inaccettabili all'ospedale San Camillo di Roma, e raccontata dal figlio nella sua drammaticità, permettono di far capire quali siano i "bubboni" della nostra sanità, perfino nei nosocomi che mantengono ancora una qualità assistenziale di media qualità.

Il primo è sovrastrutturale, eppure fondamentale ormai, visto che di malattie gravi come il tumore muoiono ogni giorno in Italia quasi 500 persone (e spesso proprio nello squallore di un ospedale): è l'umanizzazione (o disumanizzazione). Alcuni oggi scoprono - dopo decenni che se ne parla e scrive - che l'umanità in ospedale è un problema serio da affrontare, ed è un bene perché non è mai troppo tardi. Altri invece - medici, sanitari e giornalisti insulsi - ora si scandalizzano, ipocritamente, quando hanno sempre irriso la questione, derubricandola ai margini, nella pervicace convinzione che in certe situazioni la disumanità è inevitabile. Altri ancora - associazioni, medici e giornalisti - hanno posto al centro l'umanizzazione del sistema, ma sono stati spesso considerati Cassandre e rompiscatole. Infine ci sono quelli - più infermieri che camici bianchi - che "prendono in carico" il paziente che soffre, perché sanno che nella malattia diventiamo più deboli, più fragili, e il sostegno emotivo, la partecipazione, il dialogo possono essere parte integrante della cura: sanno che la parola diventa essa stessa terapia.


L'umanità in ospedale è una necessità prioritaria verso ogni paziente, e in particolare nei confronti dei malati senza speranza, ai quali non può mancare il conforto, come ricordava ieri su Repubblica il professor Veronesi, che da ministro istituì la Giornata del sollievo, al fine di sensibilizzare l'intera comunità nazionale sull'importanza della dignità del malato. La questione è che larga parte del personale non ha gli strumenti culturali, la preparazione necessaria per instaurare un rapporto empatico con il malato. In quanti ospedali esistono gli psicologi che potrebbero svolgere un compito così delicato in modo egregio?

Ovviamente non si può né si deve generalizzare, perché in alcuni ospedali deputati all'oncologia, come il Regina Elena di Roma, l'umanizzazione è una componente del lavoro dell'intero ospedale. Conosco direttamente questa struttura e sono certo che anche in altri ospedali si comportino allo stesso modo, se non meglio. In altri invece è sicuramente peggio. Come testimonia la lettera del collega Patrizio Cairoli, di "Askanews" sulla morte del padre al San Camillo. Perché quello che lui ha denunciato accade ogni giorno in tanti reparti di tanti nosocomi italiani, perché la malattia grave - e quindi non solo il cancro - è all'ordine del giorno.

Il secondo "bubbone", che in parte nutre il primo (che si alimenta anche da solo), riguarda appunto le condizioni strutturali degli ospedali, e in particolare dei Pronto soccorso. Dove non ci sono posti letto, dove resti in barella anche 72 ore, dove non ci sono gli spazi per garantire un po' di privacy a persone che non sono in grado di difendersi (tre anni fa in un corridoio del PS del Pertini, sempre a Roma, vidi una donna anziana, forse affetta da demenza, completamente nuda in corridoio, con due infermiere che cercavano di vestirla: alle mie proteste per questo vergognoso trattamento, una rispose "tanto è rimbambita"). 

La causa di questo "bubbone" è la riduzione progressiva e devastante delle spese per la sanità. Ed è inutile girarci intorno perché i tagli non sono soltanto una questione di bilancio: sono in parte responsabili dei decessi anzitempo. I tagli feriscono indirettamente la dignità dei malati, ma uccidono direttamente le persone che non hanno i mezzi per curarsi, che aspettano in lunghe liste di attesa, e quando arriva il momento della diagnosi per loro è ormai troppo tardi.

Riuscire a conquistare un posto letto, può essere un terno al lotto in parecchi casi. Perché in cinque anni - dal 2010 al 2015 - ne sono scomparsi 24.155, in pratica il dieci per cento del totale. Ma in alcune località sono stati dimezzati, o sono calati anche del novanta per cento. E questo spiega facilmente perché chi può farlo, si rivolge al privato, come fosse un "salvavita".

E non c'è solo la mancanza di letti. Perché se il primario di psichiatria del San Camillo, Antonio Picano, dice a Repubblica che in uno spazio progettato per 7 pazienti ha contato 27 barelle, non solo denuncia la promiscuità, non solo il sovraffollamento, quanto l'assenza di spazi adeguati, che sarà difficile colmare se non si investe in sanità, mentre al contrario si usa la forbice. Eppure la denuncia di Picano è rimasta lettera morta. Un fatto che mette in evidenza anche la frustrazione di una parte del personale, quella più sensibile, che non si adegua, che non si arrende di fronte alla progressiva perdita di funzione del servizio pubblico.

Gli ispettori inviati dalla Lorenzin al San Camillo, forse stileranno un buon rapporto, spiegando formalmente quello che è accaduto. Ma chissà se diranno che dietro la morte di un padre c'è anche una sanità povera e disumana. Perché altrimenti la lettera scritta da Patrizio Cairoli alla ministra, resterà solo un fatto di cronaca.

guglielmpepe@gmail.com
@pepe_guglielmo

Ps. Ho sentito ora il professor Garattini dire in TV (Rai 3) che il fondo sanitario è di 113 miliardi. Ma questo è l'obiettivo sperato.
Però Garattini ha detto una cosa inusuale sui prezzi dei farmaci antipatite C e sul rifiuto di produrre similari: ci sono "lobby farmaceutiche che fanno pressioni e ricatti sui posti di lavoro".
Faccio rilevare che se altri scrivono le stesse cose c'è subito un esercito di troll pronto a sbranarli...

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