sabato 3 settembre 2016

4 settembre 2016, Santa Madre Teresa di Calcutta: “Umanità contro il cinismo diffuso e l’indifferenza



da: Il Sole 24 Ore  - scritto da Mons. Nunzio Galantino Segretario Generale della Cei


L’estate, con i suoi riti, volge definitivamente al termine. E non che quelli trascorsi siano stati giorni avari di spunti interessanti. Alcuni di questi hanno dato adito a seri confronti; ma a partire da essi hanno trovato spazio anche i soliti teatrini, con attori e parti recitate più o meno prevedibili. 
Parti che, però, non sono riusciti a farci perdere la capacità di distinguere e di mettere ordine tra persone, eventi e parole. Il terremoto che ha devastato il Centro Italia; il continuo flusso di migranti col suo carico di miseria, di speranza e di morte; la scoperta di numerose fosse comuni dell’Isis col loro spettacolo di terrore; l’orrore di quanto continua a succedere ad Aleppo e non solo. 

Dopo la foto del piccolo Aylan spiaggiato in Turchia, un’altra foto ha sintetizzato, nei giorni scorsi, l’orrore che si sta consumando in Siria: quella del piccolo Omran. Condivido quanto ha scritto Dacia Maraini: «Vedo negli occhi del piccolo Omran scampato alle bombe la stessa muta domanda: perché? Domanda a cui nessuno sa dare una risposta sensata […]. Ma un adulto responsabile, no. E la parola responsabilità sembra oggi la più grande assente in queste imprese di guerra e di massacro» (Corsera del 19/08/2016, 25). C’è chi per responsabilità

negata continua a morire e chi, non assumendosi nessuna responsabilità, riesce a sopravvivere. Tutto dovrebbe spingere a evitare giudizi sommari e condanne preconcette (talvolta condite da volgarità verbali), ad esempio, sul tema dell’accoglienza. Sono eventi, fatti di volti e di storie, che domandano presenza e riflessione a tutti, compresi coloro che, come me, in questa estate, per un motivo o per un altro, hanno frequentato anche dei convegni.

Nei giorni scorsi, invitato, ho partecipato a un incontro che di primo acchito può risultare mille miglia lontano da quanto ho evocato fin qui. Ho preso parte a uno dei momenti organizzati dal Centro di Azione Liturgica, un’associazione cattolica che raccoglie quanti investono energie perché la liturgia non venga ridotta, dalla superficialità e dalla mancanza di responsabilità, a un teatro a vaga trama religiosa. E ce n’è davvero tanta di gente che lodevolmente si spende perché i circa otto milioni di italiani che tra il sabato sera e la domenica varcano le porta delle Chiese cattoliche possano fare esperienza viva di preghiera che spinga a un impegno serio e credibile. 


Evidentemente nella testa di queste persone c’è la fondata certezza che la liturgia, la preghiera, i gesti e le parole ad esse riconducibili possono aiutare l’uomo a essere se stesso e a spendersi per rendere più vivibile questo nostro mondo; accogliendo chi fugge dalla guerra e dalla povertà, facendo tutto il possibile per rispondere ala disperazione disegnata sul volto dei terremotati, come quelli che ho incontrato ad Amatrice nei giorni scorsi. A Gubbio, fuori dagli interventi non è rimasto il tema della “confusione” nella quale si vive a livello privato e pubblico quando, di fronte a gli eventi evocati, non si riesce ad andare oltre la superficialità, la strumentalizzazione becera e l’ipocrisia. Solo la volontà di strumentalizzarne la drammaticità impedisce di ridurre il prezzo alto che tutti, come umanità, stiamo pagando in termini di vite perse, di dignità negata e di conflittualità pretestuose. E, per restare al Convegno di Gubbio, tutto questo non può rimanere, come di fatto non sta rimanendo, fuori dalla porta delle Chiese. 

Vedo in questo contesto l’attualità di quanto ebbe a dire Dietrich Bonhoeffer, il pastore luterano fatto impiccare da Hitler nell’aprile del 1945: «Soltanto chi grida per gli Ebrei può cantare anche il gregoriano». Rifugiarsi in Chiesa per non sentire il frastuono del mondo o il grido sofferente degli uomini e delle donne di oggi, quale ne sia la causa, non è accettabile. Come non è accettabile ostinarsi a usare linguaggi e segni che separano piuttosto che unire, che servono talvolta soltanto a nascondere l’incapacità di entrare in relazione con uomini e donne reali, portatori di domande radicali conficcate nella loro pelle e di speranze che, accolte, renderebbero più credibile qualsiasi esperienza religiosa. È questa la confusione che mi preoccupa; è questa fuga dalla realtà che fatico ad accettare.
Ho letto proprio nei giorni di Gubbio l’esortazione che san Paolo rivolge ai cristiani di Tessalonica «Vi prego, fratelli, di non lasciarvi confondere la mente» (2 Ts 2, 1-2). Penso che a renderci confusi oggi sia la tentazione di sostituire con altro, nella nostra vita individuale e di Chiesa, i pilastri della giustizia, della misericordia e della fedeltà. Cadiamo in confusione quando decidiamo noi la misura della misericordia da esercitare, quando pretendiamo di opporre la giustizia alla misericordia e quando ci accontentiamo di una fedeltà a intermittenza. Chi, per un motivo o per un altro, ha a che fare con il Vangelo può incrociare un brano (Mt 23,13-29) nel quale Gesù si rivolge a scribi e farisei che preferivano sostituire la pratica della giustizia, della misericordia e della fedeltà con parole ammantate di sacralità e ridondanti di retorica, con raccomandazioni politicamente corrette e con cerimonie a buon mercato. Su tutto questo si stagliano forti le parole di Gesù: «Guai a voi …». È lo stesso evangelista Matteo a farci sapere che «…terminati questi discorsi …i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono … e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire» (Mt 26,3s).

E sì, perché a nessuno e in nessun tempo viene perdonato un linguaggio chiaro che metta a nudo ipocrisie, strumentalizzazioni, contraddizioni e mezze misure. È capitato a Benedetto XVI che, in quel Venerdì santo del 2005, denunziava la presenza di sporcizia nella Chiesa e la necessità di far pulizia. Ma penso conoscano tutti i … “consigli alla prudenza” che vengono costantemente rivolti a papa Francesco perché non denunzi troppo quello che di antievangelico –accanto alle tante e straordinarie bellezze – purtroppo c’è nella nostra Chiesa. Sarebbe un errore derubricare tutto a “questioni interne alla Chiesa”. Le sette “maledizioni/guai” che si susseguono con un ritmo incalzante, nel capitolo 23 di Matteo, valgono per tutti. Io le sento rivolte a me. Domani, con la sua canonizzazione, verrà indicata alla Chiesa e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà Madre Teresa di Calcutta. La sua vita indica l’alternativa alla confusione nella quale spesso viviamo, sollecita un soprassalto di umanità per non permettere al cinismo e alla barbarie di avere la meglio, sentendosi semmai soltanto solleticati emotivamente dai tanti piccoli Omran, partoriti dalle macerie e circondati da colpevole indifferenza.

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