da: http://www.lettera43.it/
Putin
vince ancora, analisi di una democrazia-regime
Lo zar ottiene i 2/3 dei seggi in
Russia. Tra bassa affluenza, solite infrazioni,
mancanza di opposizione. Da qui alle Presidenziali del 2018 la strada è
spianata.
di Stefano
Grazioli
I russi, quelli che sono andati a votare, hanno
scelto la stabilità. Che ha un nome preciso: Russia unita.
Il partito del presidente Vladimir Putin ha
conquistato come previsto la maggioranza alla Duma alle elezioni legislative
del 18 settembre 2016, ottenendo i due terzi dei seggi necessari per riformare
la costituzione.
A fargli compagnia ci saranno, come nel recente passato degli ultimi 15 anni, i partiti della cosiddetta ''opposizione sistemica'', vale a dire i comunisti di Gennady Zyuganov, i liberaldemocratici di Vladimir Zhirinovsky e i socialdemocratici di Sergei Mironov.
A fargli compagnia ci saranno, come nel recente passato degli ultimi 15 anni, i partiti della cosiddetta ''opposizione sistemica'', vale a dire i comunisti di Gennady Zyuganov, i liberaldemocratici di Vladimir Zhirinovsky e i socialdemocratici di Sergei Mironov.
A bocca asciutta tutti gli altri, vecchi e
nuovi soggetti politici, che ormai dal voto del 2003 sono spariti dal
parlamento.
LA NORMALITÀ DEI BROGLI. Nessuna novità: nemmeno la notizia di
operazioni svolte in maniera corretta e trasparente, visto che un po' ovunque si sono registrate infrazioni.
Niente di trascendentale da far invalidare
il voto e far saltare sulla sedia le organizzazioni occidentali che lo hanno
monitorato, tantomeno da far scendere in piazza i cittadini a protestare in
massa.
Nel 2011 manipolazioni e brogli avevano
scatenato un'ondata di manifestazioni e avevano fatto pensare a una primavera
russa anti-putiniana, che nel giro di poche settimane era però naufragata nel
nulla.
PLEBISCITO SPERATO. Questa volta, con nemmeno la metà dei russi alle urne (il 47,84% degli aventi diritto, cinque anni prima l'affluenza era stata del 60,2%) e l'opposizione più inconsistente che mai, sia perché soffocata dall'alto sia per colpe proprie, Putin ha assistito al plebiscito sperato.
PLEBISCITO SPERATO. Questa volta, con nemmeno la metà dei russi alle urne (il 47,84% degli aventi diritto, cinque anni prima l'affluenza era stata del 60,2%) e l'opposizione più inconsistente che mai, sia perché soffocata dall'alto sia per colpe proprie, Putin ha assistito al plebiscito sperato.
Ora può dormire sonno tranquilli in vista
delle Presidenziali del 2018, dove - come sempre accaduto nella Russia post
sovietica sin dai tempi di Boris Eltsin - non sono certo gli elettori a
decidere, ma la macchina del potere pilotata dal Cremlino.
Agli
occhi degli elettori Vladimir è la stabilità: e questo basta
Così 25 anni dopo la dissoluzione
dell'Urss, a Mosca la democrazia rimane abbozzata e si sprecano le definizioni
per descrivere un sistema nato sulle ceneri del comunismo, cresciuto nel
turbocapitalismo eltsiniano degli oligarchi negli Anni 90 e sviluppatosi nei
2000 nell'era putiniana, quella appunto della “democrazia sovrana” o della
“democratura” (democrazia e dittatura) che dir si voglia.
A dire il vero le differenze sistemiche tra
i due decenni sono poche, nel senso che la democrazia sia sotto Eltsin sia con
Putin non è mai stata tale e a guidare il Paese si è sempre trovata un'élite
che si è servita delle elezioni per perpetuare il proprio potere.
CRESCITA E BENESSERE. Piuttosto la grande
diversità si è avuta nel passaggio da un periodo di instabilità e povertà a uno
di crescita e benessere.
Nonostante la crisi economica nel Paese,
legata all'andamento altalenante del prezzo del petrolio e alla mancanza di
riforme strutturali, la Russia di Putin rimane negli occhi degli elettori
nettamente davanti a quella di Eltsin e il presidente è visto come l'unico
garante di una stabilità, politica ed economica, che non sarà il massimo in
valori assoluti, ma è sempre molto meglio di ciò che si è visto nel passato.
NESSUN ANTAGONISTA. A questo si aggiunge la
mancanza di alternative reali: al di là dell'opposizione sistemica e dei
paletti alzati dal Cremlino, non si è sviluppato in Russia nessun consistente
movimento anti-regime proprio perché nessuna delle figure che hanno tentato di
opporsi a Putin ha mai avuto né la popolarità né le risorse per scalfire, anche
dall'interno, il sistema.
Da
''Misha 2%'' a Khodorkovsky, i rivali sono stimati soprattutto all'estero
Gente come il leader di Parnas, Mikhail
Kasyanov, ex premier e detto ''Misha 2%'' per la quota di tangenti a lui
destinata, o come l'oligarca Mikhail Khodorkovsky, godono di più stima sulla
stampa occidentale che tra l'elettorato russo, per ovvi precedenti che tolgono
loro ogni credibilità.
Stesso dicasi per il leader dello storico
partito Yabloko, Grigory Yavlinsky, che nel 2003 era alla Duma con un pugno di
seggi e da allora non ha mai superato il 2%.
PROTESTE SVANITE. Le proteste dell'inverno
2011 avevano allertato Putin non tanto per la forza dell'opposizione
extraparlamentare, quanto perché tra i poteri forti alle sue spalle qualcuno
non aveva digerito la decisione di ritornare direttamente al Cremlino nella
primavera del 2012, ma proprio il successivo riallineamento delle fila ha
riportato l'equilibrio interno.
Alla vigilia di questa tornata elettorale
il presidente ha iniziato un ricambio di élite destinato a proseguire ancora in
vista delle Presidenziali del 2018.
VERSO IL QUARTO MANDATO? L'obiettivo è
quello di puntellare l'architettura del potere per evitare sorprese o peggio
traumi che si riflettano non solo nei dintorni del Cremlino, ma in tutta la
Russia.
Putin non ha ancora fatto sapere se intende
continuare con un suo quarto mandato: è certo comunque che se si avrà un
passaggio di consegne sarà gestito alla solita maniera, dietro le quinte.
E l'elettorato non dovrà che confermarlo
alle urne. Così funziona la democrazia, in Russia.
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