da: http://www.glistatigenerali.com/
- di
Davide Giacalone
Carlo Azeglio Ciampi era un pezzo (pregiato) di una cosa che
nell’Italia di oggi scarseggia: la classe dirigente. Formatasi in una
fase storica, successiva alla seconda guerra mondiale, in cui i contrasti,
anche ideologici, erano fortissimi, ma non per questo si smarriva il senso del
bene comune e degli interessi indisponibili dell’Italia. Quella fucina s’è spenta da tempo, con guasti che
si vedono a occhio nudo.
Avendo avuto Ciampi responsabilità di primo
livello e di diversa natura, è evidente che nelle cose da lui fatte ce ne sono
diverse che ciascuno può valutare
criticamente, in senso positivo o negativo. L’agiografia del defunto
rientra nelle tradizioni, ma si esaurisce in fretta. Quel che, però, non ha il
minimo senso, è vederlo descritto, nell’esaltazione o nella deprecazione, come
l’uomo che ci ha portati nell’euro, quando non nell’Europa. Bubbole senza
memoria.
L’euro
non nacque il giorno in cui cominciò a circolare la moneta unica, ma assai
prima. A battersi su quel fronte, allora, alla Banca d’Italia
c’era Guido Carli, che poi si ritrovò
ministro del tesoro (governo Andreotti, indicato dalla Democrazia cristiana),
quando furono negoziati i trattati che ne segnarono l’avvio.
L’euro
è figlio del serpente monetario, poi Sistema monetario europeo.
Un processo lungo, influenzato, certo, ma non frutto di una singola
personalità, quale che essa sia. Rischiammo di restare fuori non quando si
coniò l’euro, ma assai prima, quando si trattava di aderire allo Sme. In
quell’occasione il ruolo decisivo lo ebbe Ugo
La Malfa, che preso atto dell’opposizione
comunista, argomentata da Giorgio
Napolitano, assicurò che il governo sarebbe caduto ove non avessimo dato
l’assenso. Entrammo e a fare cadere il governo furono i comunisti. Storia
lunga, come si vede.
In quanto all’Europa, la memoria s’è corrotta assai, se solo si pensa che
l’esserci “entrati” sia una scelta fatta
da uno e in un momento. La realtà è che contro l’integrazione europea si battevano solo due forze: i neofascisti, ancorati a un nazionalismo
che aveva già infettato la storia precedente, e i comunisti, adepti di un internazionalismo che aveva nell’Unione
Sovietica lo Stato guida. Il resto era europeista e, più o meno
entusiasticamente, atlantista. Né poteva essere diversamente, se solo si prova
a ricordare in quale contesto internazionale vivevano quei sentimenti.
Solo l’Italia
di oggi, presa nella frenesia di una faziosità senza idee,
tesa a leggere se stessa non come figlia di una storia, ma come oggetto di
manovre e prepotenze, s’arrischia ad una rappresentazione
fumettistica che sarebbe ridicola, se non avesse tratti di follia.
www.davidegiacalone.it
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