Alle 3:36 ero sveglio. Per chi mi conosce
non sarà una novità. Ero sveglio e mi sono accorto che c’era stato un terremoto
per caso, grazie aTwitter. Alle 3:42 esatte l’hashtag #terremoto era
già primo tra itrending topic. Vuol dire che, a dispetto di quanti ne hanno
celebrato anticipatamente la morte, Twitter è sano, vivo, reattivo e
lotta più che mai assieme a noi.
Insomma, noto l’hashtag e parte un brivido
sulla schiena, perché poco prima non c’era, e il fatto che invece fosse
arrivato al primo posto in pochi minuti significava che aveva svegliato
parecchie persone, quindi che era stato bello forte e, quindi, che era stato
potenzialmente catastrofico per qualcuno. Questo penso, in pochi secondi,
perché mi fido di Twitter e perché so come funziona. E infatti clicco
sull’hashtag#terremoto e i tweet che manifestano preoccupazione sulla
durata e sull’intensità si susseguono rendendo il flusso velocissimo e
praticamente illeggibile: c’è chi l’ha sentito da molto lontano; chi ricorda
che ai tempi dell’Aquila a Roma si sentì in modo molto simile; chi chiede dove
sia l’epicentro; ci sono i soliti idioti che parlano di complotto e strane
coincidenze con il terremoto a Pompei; ci sono quelli che rimarcano la quasi
coincidenza di orario – come se alle coincidenze bastasse il “quasi” –
con il terremoto a l’Aquila; ci sono quelli che sentono di dover dare la
propria opinione anche se
non interessa a nessuno (credetemi: letteralmente a
nessuno; io non capisco che cosa – di fronte a una tragedia – vi porti a
credere che il vostro parere sia in qualche modo rilevante, necessario, e debba
avere in qualche modo la precedenza sulle notizie utili a chi è in difficoltà,
o anche solamente occupare il medesimo spazio). E poi c’è chi si domanda
perché nessuno (ma proprio nessuno, letteralmente) twitti dalle zone colpite.
Già.
La prima testimonianza che arriva è quella
del sindaco di Amatrice che, interpellato al telefono, dice ai microfoni di Radio
1 con la voce spezzata che non vede più gran parte del suo paese.
La radio, insomma (e vorrei anche aggiungere: una radio della Rai, cioè del servizio pubblico che fa il suo mestiere), è la prima a verificare la notizia e a trovare una fonte affidabile dal luogo del disastro.
La radio, insomma (e vorrei anche aggiungere: una radio della Rai, cioè del servizio pubblico che fa il suo mestiere), è la prima a verificare la notizia e a trovare una fonte affidabile dal luogo del disastro.
Fino a quel momento la tv ancora tace. Le
sette generaliste, mute, proseguono con l’inutilissima programmazione notturna,
e tra le “all news” la prima a svegliarsi – comunque in ritardo –
sarà RaiNews, con una diretta chiaramente improvvisata. Perché si svegli SkyTG24, che
si era limitata a dare la notizia in un sottopancia, servirà più o meno
un’altra mezz’ora. In questo lasso di tempo hanno già dato la notiziaCNN, BBC, NBC e
perfino Fox News, e i redattori di tutte le testate anglofone si sono
trasferiti su Twitter per fare due cose: cercare testimoni
dell’evento con informazioni o immagini di prima mano e chiedere l’esplicita
autorizzazione per poterle utilizzare. La fan-ta-scien-za, per noi.
Io mi scuso del fatto che l’occasione per
farlo sia data da un evento catastrofico e tragico per parecchie persone, cui
sono vicino e di cui capisco la paura (pensate: quando non ci sentiamo sicuri
di qualcosa immaginiamo la nostra casa come il luogo sicuro per eccellenza;
diciamo“mi chiudo in casa” contro i ladri, il male, il mondo cattivo là fuori,
e invece il terremoto abbatte questa nostra unica certezza: che la casa e le
mura e il tetto che abbiamo sulla testa siano in grado di proteggerci, che la
casa sia il posto in cui non avere paura) però non posso fare a meno di
analizzare la situazione dal punto di vista che mi compete e di cui so
qualcosa, che è quello dell’informazione. E lo faccio – sia chiaro – perché
sono inorridito dal fatto che ancora un’ora dopo la tragedia i due principali
quotidiani italiani, Corriere della sera e Repubblica,
ignorassero quanto era accaduto. Repubblica è quella che si sveglia prima dei
due, ma le serve un’altra mezz’ora, e comunque lo fa con una“ultim’ora”, uno
strillo privo di dettagli.
Al che penso: metti che ti è crollata la
casa (ma metti anche solo che l’hai abbandonata per scendere in strada e
metterti al sicuro), a chi ti rivolgi per avere informazioni su quello che sta
succedendo quando non puoi più accendere il televisore? Penso: uso il cellulare
– che è molto più probabile mi sia portato dietro – e vado su corriere.it o repubblica.it,
perché mi fido. E sbaglio. Perché invece dovrei aprire Twitter o
trovare il modo di ascoltare Radio 1. Perché quello che non so in quel momento
– e non è un bel momento: sono sconvolto; molto preoccupato per me e per i miei
cari; non so che cosa stia succedendo intorno a me e non vedo ancora arrivare i
soccorsi – è che Corriere e Repubblica se ne fottono di dirmi che cosa è
successo fino a che non è più o meno ora di colazione.
Ora: io non so perché lo
facciano e perché non prendano una persona (ce ne sono di parecchio
qualificate e senza lavoro che ammazzerebbero pur di avere quest’incombenza) e
la mettano a monitorare tutto ciò che succede la notte sugli altri organi di
informazione e soprattutto sui social network. E’ probabile che l’abbiano fatto
(perché, da quello che so io, finalmente l’hanno fatto), e che qualcosa ieri
notte non abbia funzionato in entrambe le testate, perché sappiamo bene che il
caso si diverte a creare situazioni poco credibili. Ma c’è anche il caso,
purtroppo più credibile e probabile, che i componenti di questo “avamposto
notturno”esistano, siano regolarmente al lavoro dietro agli schermi, ma non
abbiano il permesso di aggiornare il giornale se non per interposta persona. E
per “interposta persona” intendo un giornalista, unosindacalmente autorizzato
a farlo.
Se fosse questo il caso, cari giornalisti
professionisti, dotati di tesserino dell’ordine e sindacalmente legittimati,
voi ancora non lo sapete ma avete già adesso una risposta alla domanda che
inevitabilmente dovrete porvi di qui a qualche anno: “Perché il lavoro che
facevo non esiste più?”.
Ve lo spiego perché non esisterà più. E,
no, non sarà per colpa di Twitter, non sarà per colpa di BuzzFeed, non
sarà la retorica internettiana dell’“arriverà l’inverno per tutta la
stampa di carta” a ucciderlo: non esisterà più -semplicemente – perché
eventi come quello di ieri notte erodono poco a poco quel che resta
della vostra credibilità. Ieri notte un altro pezzettino di paese che
riponeva la propria fiducia nelle testate italiane più autorevoli si è
sentito tradito: si fidava di voi, gli servivate, e voi non c’eravate.
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