da: Il Fatto Quotidiano –
di Antonello Caporale
L’Italia ha la mappa meglio aggiornata del rischio sismico. Sappiamo cosa fare ma non facciamo. C’è un perché, anzi due.
La prevenzione del rischio sismico e di
quello idrogeologico punta a una cucitura lenta e vasta dell’Appennino. Piccoli cantieri, piccole opere, ma molto
utili. Lavoro faticoso e invisibile. L’adeguamento antisismico inciderebbe
un minimo rispetto al costo dell’edificio ma chi lo riconoscerebbe? La
riconoscibilità politica di un’opera è essenziale per la propaganda.
Le due
Tav più il Mose avrebbero condotto
l’Italia più fragile alla salvezza. Il costo di mezza Metro C di Roma
avrebbe potuto far riattivare gli ottomila chilometri di binari morti. Ma
queste grandi opere hanno grandi
costruttori che muovono grandi interessi. La lobby ha un valore e un
potere. Sono imprese spesso multinazionali con fatturati miliardari che
pressano, indicano, consigliano ed eleggono deputati e senatori. Avrebbe
infatti avuto senso spendere centinaia di milioni di euro per il solo studio di
fattibilità (solo lo studio eh?) del Ponte sullo Stretto invece che mettere in
sicurezza l’area dello Stretto, la più esposta d’Italia al rischio sismico e
idrogeologico?
Seconda
spiegazione del perché. Il valore
e il costo dell’emergenza è molto
più elevato di quella prevenzione. Solo L’Aquila (meno di centomila
abitanti) ha prodotto un fatturato per le grandi aziende (compresa quella
dell’ex presidente di Confindustria che ha fatto milioni con i suoi ponteggi).
Vogliamo parlare dell’Irpinia e dei 56mila miliardi spesi, oppure del piccolo
terremoto del piccolo San Giuliano di Puglia esteso artificiosamente a tutto il
Molise?
Mi scrivono,
gli imbecilli, che oggi è il tempo
della solidarietà. Ma che bravi, e come
no? Oggi lacrime, domani sorrisoni e
dopodomani grandi opere.
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