Diventa
ciò che sei
Identità e Umanesimo
di Vittorio Alberti
L’impoverimento, la solitudine,
l’inefficienza, i privilegi e la corruzione generano rabbia e sfiducia,
angoscia e paura. E se in una periferia disagiata, una persona oppressa da
questi mali si sente fare - magari da un salotto televisivo - un discorso di
civiltà, apertura, cultura, sentendosi accusata, sia pure indirettamente, di
ignoranza e grettezza, questa persona giudicherà buonista quel discorso,
retorica da ricchi che si possono permettere il lusso di essere, nel loro
cinismo, «mentalmente aperti». Ecco perché le idee democratiche di progresso
sono viste come «cose da privilegiati», da élite.
Cosa c’è alla base? La sfiducia in coloro
che, non solo nel campo politico, hanno guidato, e nella validità delle loro
affermazioni. Di qui la fame di giustizia che, naturalmente, diventa aggressiva
perché nutrita da un senso di tradimento da imputare a quelle dirigenze le quali,
a loro volta, essendo state selezionate, il più delle volte, non in base a
formazione culturale e capacità esecutiva, non potevano rispondere alle grandi
urgenze del nostro tempo, proprio per inadeguatezza, se non talvolta per
corruzione.
Inoltre quei «ricchi» non hanno idee forti
né nuove, né talora la credibilità per controbattere in modo convincente alle
motivazioni, ora ragionate ora viscerali, a partire dalle quali prende forza,
invece, non solo in Italia, la prospettiva sovranista.
La risposta a quei mali può essere invece
un’altra, una risposta filosofica e popolare, che ponga il primato
dell’istruzione generale. Mi riferisco anche alla povertà, la quale è sì
materiale, ma letta in chiave intellettuale è il privarsi (farsi poveri) di
idee fisse, di pregiudizi. In questo senso, come povertà di spirito, è la base per la più potente apertura mentale,
per il più alto libero pensiero, che non significa «farsi ignoranti», bensì, al
contrario, sviluppare la capacità di ricercare e riconoscere gli elementi di
libertà della cultura. Il nuovo umanesimo, quindi, deve essere povero, nel senso intellettuale appena
indicato, e nel senso sociale, poiché deve partire dalle e fra le persone
impoverite.
In questo modo, la risposta sarà - e sarà
percepita - come vera, autentica, seria, vicina alla periferia come al centro,
e non solo proclamata, ma organizzata. Insomma, occorre ascoltare e analizzare
quelle passioni oppositive e, partendo da qui, prosciugare gli argomenti di chi
le fomenta e sfrutta. Occorre, insomma, dare la parola a chi soffre, altrimenti
non avrà altra illusione che finire tra le braccia della demagogia sovranista o
populista, come oggi si dice. Questa è un’operazione intellettuale, culturale.
I retori e i demagoghi ci sono sempre
stati, e la democrazia non è solo una procedura, non è solo votare a
maggioranza, ma la possibilità per le persone di prosperare nel diritto e nel
dovere, in libertà e giustizia, ed è accrescimento generale del sapere.
Nel 2018 ha scritto bene il Censis:
sovranismo psichico, italiani incattiviti, società disunita e, aggiungo, senza
sogni né modelli. Il problema è intimamente culturale, e la cultura è l’argine
prima del precipizio, perché l’ignoranza crea mostruosità sociali e politiche.
[..] Non si può contestare l’idea
sovranista di identità senza insieme criticare quella globalista del
neoliberismo alla quale, negli ultimi decenni, si sono assoggettate anche le
forze di progresso intellettuali e politiche.
[..] Da un lato, la globalizzazione
neoliberista, con la sua riduzione-a-uno che logora le diverse culture,
dall’altro il sovranismo che innalza muri per difenderle. Salviamo le culture
dalla prima e dalla seconda azione.
[..] Niente buonismo di maniera, né idee
novecentesche riproposte come piagnistei, ma istruire tutti sulla nostra
identità, dopo i decenni di degrado nel quale è precipitata l’offerta
culturale, a partire dal linguaggio. La definizione adeguata è corruzione culturale.
La situazione è molto seria e minacciosa
perché è in corso un cambiamento d’epoca storica, ed è urgente indirizzarlo con
ambizione filosofica, che non significa «sapere elitario», ma discorso alla
città: ecco l’humus e il popolo, al quale
tutti apparteniamo.
Il demagogo promette sicurezza e benessere
usando la fascinazione e gli umori; trasforma la politica nell’annuncio della
promessa, e le persone - impaurite, disorientate, impoverite -
comprensibilmente lo seguono. I demagoghi prosperano lì dove il ceto medio si
impoverisce, e se si impoverisce il ceto medio la democrazia frana perché si
corrode la possibilità delle persone di migliorare la propria condizione sociale.
Allora, da un lato, demagogia e retorica dei
muri; dall’altro (quello dei «progressisti») incapacità di mettere in campo
argomenti che non siano moralismi. Sullo sfondo, il nostro declino.
Occorre mettere a fuoco le attuali
rivendicazioni morali di giustizia e libertà per costruire un’idea di progresso
coerente con la vera identità culturale europea, e, dentro quella europea,
l’identità italiana può offrire una enorme ricchezza in cui credere. Dico «credere»
perché non crediamo più in niente.
post precedente
post precedente
Nessun commento:
Posta un commento