da: https://www.linkiesta.it/it/
- di Samuele Maccolini
Viene
spacciata come più sostenibile degli altri tessuti, ma produrla significa
abbattere foreste e inquinare aria e acqua con sostanze tossiche, uccidendo
migliaia di animali e causando patologie alle persone. Per fortuna, il modo per
produrla in maniera green c’è (basta firmare una petizione)
I giganti della moda condividono uno sporco
segreto. Tutti i maggiori marchi
utilizzano una fibra vegetale che viene presentata ai consumatori come una
valida alternativa al poliestere e al cotone: la viscosa. Questo materiale viene utilizzato dalle case di
abbigliamento perché è più economico
e più durevole degli altri tessuti.
Si può trovare la viscosa nei vestiti di tutte le maggiori aziende del settore,
da H&M a Inditex (Zara), da Marks&Spencer a Tesco, ma anche Primark,
Mango e Topshop, per citarne alcune. Questo materiale si trova sia in vestiti
da poche decine di euro, fino a capi da un costo superiore ai duemila euro. La
viscosa gode di una buona nomea: i grandi marchi infatti hanno sempre sostenuto
che questo materiale sia più ecosostenibile degli altri tessuti. E in effetti
potrebbe esserlo, peccato che i metodi
di produzione più diffusi ad oggi siano esattamente agli antipodi della
sostenibilità. I marchi europei
comprano viscosa prodotta da aziende asiatiche
– in maggioranza cinesi – che la
ottengono tramite trasformazioni chimiche dannose per l’ambiente. Alla fine del processo di produzione le
sostanze tossiche vengono scaricate in acqua, per laghi e fiumi, e in aria.
Il risultato è l’inquinamento dell’ambiente circostante; una situazione che
presenta un grave rischio per la salute di operai e comunità locali. Gli esiti
sono drammatici: le persone e gli animali si ammalano, l’acqua corrente diventa
non potabile e i pesci vengono contaminati dalle sostanze tossiche.
La
produzione di viscosa avviene tramite un processo che danneggia l’uomo e
l’ambiente in diversi passaggi. Partendo dal principio: la viscosa (rayon in inglese) è
costituita da cellulosa, che si
trova in diversi alberi come il faggio,
il pino e l’eucalipto. Ogni anno vengono
tagliati 120 milioni di alberi per produrre viscosa o materiali simili,
come spiega la ong Canopy. Entro il 2025 è previsto che questa cifra
raddoppierà. Molti di questi alberi
hanno più di dieci secoli e ospitano
molti animali in via d’estinzione come gli oranghi, ma anche tigri,
elefanti, orsi e lupi. Inoltre queste foreste sono la casa di popolazioni
indigene e comunità locali che si affidano agli ecosistemi forestali per il
loro sostentamento. Non scordiamoci poi che le foreste assorbono il carbonio, e
lo immagazzinano nei terreni e negli alberi: una funzione essenziale per la
stabilità del clima.
In seguito il materiale legnoso viene
processato in laboratorio attraverso alcune sostanze chimiche, come il disolfuro
di carbonio. Questa sostanza tossica
è estremamente dannosa per la salute dell’uomo: nel secolo scorso sono stati
registrati casi di operai letteralmente
impazziti dopo essere stati per lungo tempo a contatto con il disolfuro di
carbonio. Questa sostanza inoltre contribuisce anche all’insorgere di malattie
ai reni, sintomi simili al Parkinson, infarto e ictus. Durante il processo
vengono anche usate altre miscele chimiche come l'idrossido di sodio, l'acido
solforico e l'idrogeno solforato: tutte e tre hanno effetti dannosi sull’uomo.
Possono provocare danni agli occhi, alterazioni neurocomportamentali, ustioni
cutanee e mancanza di respiro. Queste sostanze estremamente pericolose vengono
infine disperse nell’ambiente a causa dell’inquinamento prodotto dalle
fabbriche, con le conseguenze che possiamo facilmente immaginare.
Il
63% della viscosa prodotta a livello mondiale viene lavorata in Cina.
Qui la Changing Markets Foundation ha riscontrato gravi danni
ambientali causati dalle aziende che producono viscosa per i grandi marchi di
abbigliamento. Ad esempio a Jiangxi nel sud-est della Cina, la produzione di
viscosa ha ucciso tutta la fauna del più grande lago d'acqua dolce cinese,
Poyang. Inoltre nei pressi delle fabbriche CHTC Helon e Shandong Silverhawk
Chemical Fibre, entrambe situate nella provincia orientale di Shandong, sono
state trovate prove evidenti che i produttori di viscosa scaricano acque reflue
non trattate, contaminando laghi e corsi d'acqua locali, e rilasciano
inquinanti atmosferici che superano standard ambientali accettabili. L'inquinamento
atmosferico qui è elevatissimo, ed è facilmente riconoscibile a causa di un
intenso odore di uova marce.
Dati i bassi standard di sostenibilità
della produzione di viscosa a livello mondiale, la piattaforma WeMove.org ha
lanciato una petizione rivolta alle grandi case di moda affinché
limitino l’inquinamento derivante dalla produzione di rayon. «In quanto vostri
clienti di tutta Europa esigiamo che vi adeguiate agli standard e alle
tempistiche per l’applicazione di politiche di inquinamento a impatto zero e
che collaboriate con i produttori per attuare la transizione verso le nuove
tecnologie, smettendo di acquistare da aziende che non si adeguano», si legge
sul sito. Ad oggi le firme raccolte sono quasi 305mila: l’obiettivo è quello di
raggiungere a breve le 350mila firme necessarie. La petizione, anche senza la
cinquantina di migliaia di firme mancanti, ha già raggiunto dei risultati. Dopo
la pubblicazione della petizione sul sito di WeMove, H&M e Zara hanno
promesso di «mantenere il proprio impegno». A seguire, Spencers, Tesco e ASOS
si sono impegnati pubblicamente a rifornirsi solo dai produttori di viscosa che
non inquinano l’ambiente.
Cambiare
i modi di produzione è possibile, lo ha dimostrato la
Changing Markets Foundation con una Roadmap pubblicata ad agosto del 2018 in cui veniva
illustrato, per filo e per segno, come la
produzione di viscosa possa agilmente diventare ecosostenibile. «La viscosa
ha tutte le carte in regola per diventare una fibra sostenibile», si legge nel
documento, «ma occorre abbattere la
produzione inquinante per far posto all'introduzione di metodi più
responsabili. Passare alla produzione
circolare ridurrebbe al minimo gli impatti negativi della viscosa. Questo
tipo di produzione dovrà essere proporzionata e implementata nell'intero
settore». A seguito di questa
pubblicazione otto grandi marchi e rispettivi rivenditori - ASOS, C&A,
Esprit, H&M, Inditex, M&S, Next e Tesco – si sono impegnati a integrare
la Roadmap nelle loro politiche sostenibili. Questi marchi stanno dunque
inviando un chiaro messaggio ai produttori di viscosa: l’industria va
riorientata verso una produzione sostenibile.
I giganti dell’abbigliamento rispetteranno
le loro promesse? A questo proposito è interessante leggere il commento di Natasha Hurley, campaign manager di Changing
Markets, risalente al 2017 – e quindi precedente all’impegno preso dagli otto
marchi – in concomitanza con l’uscita del report sulle condizioni delle aziende
produttrici di viscosa in Asia. «Ciò che è diventato sempre più chiaro è che i rivenditori stanno esercitando
un'enorme pressione sui produttori,
chiedendo loro di tagliare i costi e ridurre i tempi di consegna», ha spiegato
la Hurley. «La pressione proveniente dai marchi stessi sta creando una
situazione insostenibile sia sul piano sociale che ambientale».
La speranza ora è che la strada segnata
dalla Roadmap venga percorsa senza indugio dal maggior numero di case di moda.
Il resto spetta a noi consumatori: ancora una volta le scelte di tutti i
giorni, come la decisione di comprare un vestito, decidono in quale tipo di
mondo vogliamo vivere. Anche in questo caso, la sostenibilità è una scelta quotidiana.
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