Libera
la cultura
Memoria, Conoscenza, Impegno
di Luigi Ciotti
[…] L’italia non è ancora libera. Se
misuriamo la libertà col metro della dignità - quello più giusto e affidabile -
la libertà nel nostro Paese non è ancora un bene comune universale. Non è
libero, infatti, chi è povero, chi è senza lavoro, senza casa, chi non ha i
mezzi per curarsi, chi non è stimolato a conoscere, a studiare, a realizzarsi.
Non è libero chi cade in dipendenze come quella del gioco d’azzardo, alimentata
da pubblicità ipocrite e truffaldine. Non è libero chi è oppresso nella
solitudine, schiacciato dai bisogni, privato dei diritti. Sono milioni, in
Italia, le persone non ancora libere.
E questa mancanza di libertà è intrecciata
con le paure, quelle stesse che, come scriveva Vittorio all’inizio, vanno
capite come prima cosa per riorganizzare una risposta non solo di proclami.
Ma quali e quante sono le paure? C’è
innanzitutto la paura del sentirsi soli,
abbandonati, che deriva dalla perdita
del legame sociale, del senso di comunità. La paura che invade una società
frantumata, dove i rapporti si sono deteriorati a causa della logica del
profitto che ci fa percepire gli altri non come simili e fratelli, ma complici
o avversari.
Poi la paura che nasce dal vuoto culturale, dall’analfabetismo di
ritorno, dall’incapacità o dalla difficoltà
di leggere i cambiamenti, dal sentirsi sovrastati da meccanismi e logiche incontrollabili.
La paura che le nostre vite siano in mano a incognite e fattori imprevedibili.
La paura che apre lo spazio alla superstizione, al mercato delle illusioni e,
da lì, a forme di condizionamento e di potere.
Poi c’è la grande paura economica. Paura di un sistema che non protegge più le
persone, che distrugge il lavoro o lo degrada a prestazione occasionale e
indegnamente retribuita, che alimenta le diseguaglianze e smantella lo Stato
sociale, il sistema di servizi e garanzie che ha consentito la prosperità delle
democrazie.
C’è la paura della perdita di memoria e
dunque della perdita d’identità, perché per sapere chi siamo bisogna sapere da
dove veniamo, dobbiamo includere la nostra storia in una storia più grande che
ci precede e che abbiamo il compito di sviluppare. Il nostro Paese soffre di
una grave emorragia di memoria. Tanta gente non sa, per esempio, cos’è stata la
guerra, cosa il Rinascimento o cos’è stato il fascismo, o ne conosce versioni
manipolate, strumentali, superficiali…La memoria celebrativa, d’occasione, è
contraria alla vera memoria. Ma lo è anche l’informazione sbrigativa, compulsiva,
che ci sommerge di notizie ma non ci aiuta a contestualizzarle, a capirne il
significato profondo.
Un’altra paura sulla quale dobbiamo
riflettere è la paura dell’altro, del diverso, dello straniero. Una paura tra
le più pericolose, perché può generare ostilità, aggressività e perfino odio. Anche
qui la radice del male è l’ignoranza,
perché si odia solo ciò che non si conosce.
Conoscere è smettere di odiare, è scoprire
l’altro non solo fuori ma dentro di noi. Per questo l’immigrazione è una sfida
cruciale del nostro tempo, quella che più di altre ci pone di fronte a un
bivio: da una parte diventare una società aperta, giusta, accogliente;
dall’altra diventare una società chiusa, diffidente, dominata da aggressività e
paure.
Non dobbiamo invece temere gli speculatori
e gli imprenditori della paura. I tanti che, in diversi ambiti, lanciano
l’allarme e vendono false promesse e soluzioni. Non dobbiamo averne paura
perché possiamo contrastarli con gli strumenti della ragione e della
conoscenza, con l’impegno costante e condiviso.
Ma prima dobbiamo guardarci dentro con
onestà e rigore (conosci te stesso e
diventa ciò che sei..). Se le paure sono aumentate è anche perché non
abbiamo saputo interpretare i cambiamenti in atto e inventarci nuove forme di
lotta e di impegno. Non basta protestare contro l’aggressione ai diritti,
bisogna anche chiederci cosa abbiamo fatto per difenderli!
In troppi hanno preso questo impegno
sottogamba, lo hanno assunto solo a parole. E il risultato è un Paese non ancora libero, dove i nemici si chiamano oggi
corruzione, mafie, disoccupazione, povertà, ignoranza. Mali che hanno una
radice comune nell’indifferenza, nel disprezzo per il bene comune, nel divorzio
tra etica e politica e tra libertà e responsabilità. Separata dall’etica, la politica
non produce ma riduce la speranza.
A volte la ruba. Separata dalla responsabilità, la libertà
si degrada ad arbitrio, a prepotenza, a ingiustizia.
Occorre un nuovo umanesimo e portare la
Liberazione a compimento, strapparla dal guado in cui vegeta, dalla palude in
cui langue.
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