di Luigi Ciotti
Guardiamo poi al lavoro, architrave della
nostra Repubblica. Non è lavoro quello che riduce la persona a funzione, a
mezzo di profitto. Non è lavoro quello che non tiene conto dei suoi bisogni e
delle sue speranze. Non è lavoro quello che assicura la massima parte dei
profitti alle multinazionali, che non investe socialmente, che non ha una
visione di bene comune. L’italia è uno
dei Paesi dove le diseguaglianze hanno toccato i livelli più alti. Ma non chiamiamole più diseguaglianze,
chiamiamole ingiustizie. Diseguaglianza è un concetto astratto, che rimanda a
una differenza matematica. Ingiustizia è un concetto che richiama il sopruso
del forte verso il debole. Alla base di una diseguaglianza c’è sempre
un’ingiustizia.
La parola chiave, ancora una volta, è
responsabilità. Ma è una parola che deve essere a sua volta rivisitata e
rafforzata. Non più solo responsabilità di quello che facciamo ma anche di
quello che non facciamo.
Se oggi il male è ancora così forte è anche
perché le ingiustizie si sono alleate con le nostre omissioni.
Il male non è solo di chi lo commette, ma
anche di chi guarda e lascia fare.
La Costituzione non descrive - come
sostengono i suoi critici - un Paese astratto. Parla di un Paese saldato dai
diritti e rafforzato dai doveri, un Paese dove la legalità sia scritta, prima
che nei codici, nelle coscienze; un Paese dove «fuorilegge» siano le
diseguaglianze e i privilegi, la povertà materiale e culturale, i razzismi e le
discriminazioni. Parla il linguaggio della democrazia che è linguaggio di
corresponsabilità: alfabeto del «noi» e
non monologo dell’io.
A tutti noi sta il compito di parlarlo e di
tradurlo in atti di giustizia, di speranza, di libertà. A tutto questo dobbiamo
rispondere non solo a parole ma assumendo le responsabilità che ci assegna la
Costituzione.
La prima
è la responsabilità della memoria. Dobbiamo conoscere e far conoscere da
cosa nascono quelle pagine di storia e di vita: le lotte, l’impegno e i
sacrifici che le hanno generate, la riflessione che ne ha accompagnato la
scrittura, le speranze che ne hanno salutato l’approvazione.
Seconda
responsabilità è quella della conoscenza. La democrazia vive
di coscienze inquiete, di persone che amano la giustizia e ricercano la verità.
Terza
responsabilità è quella dell’impegno. La Costituzione non ammette
una cittadinanza formale o intermittente, non prevede che ci occupiamo della «cosa
pubblica» solo in determinate circostanze, come le tornate elettorali. Ci
chiede di essere cittadini a tempo pieno, partecipi, attenti, informati. Pronti
a denunciare le ingiustizie, ma pronti anche a rimboccarci le maniche, a
contribuire al cambiamento che desideriamo.
La
Costituzione - scritta settant’anni fa per rispondere al fascismo, al razzismo,
alla guerra - ci interpella. Non è solo una carta, non è solo la legge fondamentale
dello Stato, è un progetto di cui noi dobbiamo essere esecutori.
Chi ha scritto la Costituzione - e chi si è
sacrificato per farla nascere - ce l’ha consegnata non come una rendita, ma
come «un patto di amicizia e fraternità» di cui ciascuno di noi deve essere «custode
severo e disciplinato realizzatore» per usare le parole di Umberto Terracini.
Ecco allora che ricordare non basta:
occorre un cambiamento etico, una rivoluzione delle coscienze. Occorre
l’impegno di tutti, autentico, quotidiano.
Per Giovanni Dossetti, uno dei padri
costituenti, quest’impegno era condizione imprescindibile: «L’unica possibilità
e la condizione pregiudiziale di una ricostruzione» scrisse nel 1945 «stanno
proprio in questo: che una buona volta le persone coscienti ed oneste si
persuadano che non è conforme al vantaggio proprio restare assenti dalla vita
politica e lasciare quindi libero campo alle rovinose esperienze dei disonesti
e degli avventurieri».
Quanti disonesti, corrotti e avventurieri
abbiamo conosciuto, fuori e dentro la politica! Quando si parla di cultura è di
questo che parliamo. Cultura non è solo acquisizione di sapere, competenza
tecnica, formazione professionale. Cultura è innanzitutto apertura di menti e
di cuori, è lavoro di intelligenze e intreccio di passioni.
Non
c’è cultura senza libertà.
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