Da
dove viene l'orrore del povero pensionato torturato e ucciso da un branco di
aguzzini, molti dei quali minorenni? E quali connessioni ha con altri recenti
fatti di cronaca nera, dal pestaggio dei figli allo stupro di gruppo? La verità
è che la violenza è stata sdoganata nell'immaginario collettivo con le stesse
modalità della pornografia
di Alberto
Pellai
In Manduria un pensionato ultrasessantenne viene rinvenuto morto nella propria abitazione. O forse dovremmo dire prigione. Perché
quella casa per lui era diventata una gabbia. Una trappola. Una stanza delle
torture. Da anni, l’anziano signore,
affetto da problemi psichici, era il bersaglio preferito di una banda di
giovanissimi che passavano il tempo minacciandolo, picchiandolo,
torturandolo, ricattandolo, rubandogli denaro. Era così spaventato da non
uscire più di casa per la paura di incontrare chi gli aveva devastato una vita,
già vulnerabile in sé, senza alcun freno inibitorio, senza nessuna compassione.
Con prepotenza e aggressività.
Ci sono 14 indagati per questa morte, 12
dei quali sono ancora minorenni. Sono ragazzi che, almeno in parte, vanno ancora a scuola, che passano il loro tempo commettendo azioni di
bullismo per riempire di vuoto,
il vuoto che hanno dentro la loro vita e dentro il loro cuore. I video delle angherie e delle
sopraffazioni sono diventate oggetto di scambio nei social. Viaggiavano di cellulare in cellulare.
Come se fossero barzellette utili per suscitare qualche risata fra amici. Ma
intanto per quell’uomo, quelle presunte barzellette hanno agito come e peggio
di un pugnale. E lui ne è rimasto ucciso.
Ora nel
paese in cui si è verificato questo fatto efferato, molti si stanno domandando come è stato possibile arrivare a tanto.
Da anni la cosa andava avanti. Apparentemente nessuno sapeva nulla, se non i
diretti interessati. Ma alcune persone
della comunità, tra cui un educatore del locale oratorio, dichiarano di
avere più volte denunciato la cosa, di aver convocato i genitori, di aver mosso
le forze dell’ordine. Tutti guardavano.
Ma nessuno ufficialmente sapeva. E nessuno ha sentito il bisogno di farsi
carico della tutela fisica, morale, sociale ed emotiva di un uomo, debole
fra i più deboli. La vittima perfetta per un branco di prepotenti, che hanno
l’età dei nostri figli, degli studenti che affollano le nostre classi.
Che
cosa sta succedendo ai nostri figli? E più in generale che cosa sta succedendo alla nostra società? Una violenza bestiale e senza senso sembra
essersi impossessata in modo pervasivo e – ahimè – apparentemente inconsapevole
dei nostri spazi di vita, delle nostre relazioni più intime. Solo la settimana
scorsa abbiamo avuto la notizia tremenda di due piccolissimi uccisi dai loro
stessi genitori, ovvero da chi di quelle giovani vite doveva prendersi cura,
proteggendole come se fossero la cosa più importante di tutte. Ma sempre negli
stessi giorni, se andate a cercare nelle notizie di cronaca locale, c’era anche
la notizia di natura opposta: ovvero due giovani figli che avevano ucciso il
proprio padre. E ora questa storia di orrore ambientata in Manduria. Nello
stesso giorno in cui le cronache nazionali si sono occupate di un caso di
violenza sessuale agito da due militanti politici di estrema destra su una loro
compagna di partito.
Ogni
giorno nelle scuole italiane, molti docenti e dirigenti si devono
occupare di casi di cyberbullismo in
cui qualche minore viene deriso,
umiliato, picchiato e le immagini di tali violenza circolano negli schermi
dei nostri figli, fino a quando qualcuno – ma non sempre succede – le
intercetta.
La
violenza è stata sdoganata nell’immaginario collettivo con la stessa modalità
con cui la pornografia ha reso la sessualità un semplice
esercizio di corpi al servizio dell’eccitazione, svuotato di qualsiasi
connotato intimo, emotivo, relazionale. Al pari della pornografia,
la violenza entra nelle nostre vite come uno spettacolo senza senso, usato per
intrattenere e divertire, come se fosse una cosa da niente. Se un adulto con alte funzioni rappresentative
imbraccia un mitra come se fosse un giocattolo per farsi un selfie ad alto
impatto “social” e un ragazzo
preadolescente passa ore della sua giornata a uccidere dentro ad un
videogioco per fare punti, il rischio
della banalità del male di cui bene ha parlato Hannah Arendt comincia a diffondersi come un virus capace di
infettare ogni ambiente che non si dota di alcuna immunizzazione attiva e
diretta nei confronti di questi che diventano progressivamente “modi di
essere”, attitudini e stili di pensiero e che si diffondono sempre più in
quella che Baumann ha giustamente definito “la società liquida”.
Se nessuno
si occupa di promuovere riflessioni sul valore della vita, sull’importanza
della compassione, sul ruolo che l’empatia e l’attenzione cooperativa e
solidale nei confronti di chi ci vive a fianco, ma anche di chi vive a migliaia
di chilometri di distanza, tutti noi
rischiamo di diventare un branco di disperati senza senso che non sa dare
valore alla propria vita. Né a quella degli altri. E che quindi permette che si
creino le condizioni perché gesti sempre più efferati diventino sempre più
quotidiani.
Auspico
che sempre più famiglie e sempre più scuole si fermino con i loro figli e
studenti a riflettere sui “fondamentali” che reggono la vita delle persone. Di
tutte le persone. Perché non esistono persone di serie A e persone di serie B. Auspico che gli adulti si interroghino
sulla pervasiva presenza della violenza nella vita dei giovanissimi (e non
solo): una violenza apparentemente “innocente” perché presente nel virtuale,
nei videogiochi, nei programmi televisivi e radiofonici più seguiti dai minori,
ma in realtà capace di forgiare e modellare un’attitudine mentale che
normalizza gesti brutali, senza più permettere di riuscire a fare distinzione
tra reale e virtuale, tra immaginato e agito.
Ed
auspico a questa classe politica che ci governa e
che si fregia del merito di aver introdotto di nuovo l’educazione civica a
scuola, di riflettere sul senso profondo del proprio ruolo, del proprio
esempio, della propria missione di servizio. La prima educazione civica che serve ai nostri figli è l’educazione del
cuore, è la capacità di guardare in modo empatico all’altro e ai suoi
bisogni. La prima educazione civica che serva ai nostri figli è basata sul concetto di solidarietà, accoglienza,
attenzione ai bisogni dell’altro, responsabilità. Tutti elementi che nell’omicidio della Manduria risultano totalmente
assenti, vacanti, latitanti.
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