Democrazia e bene comune
Politica, Chiesa, Eresia
di Luigi Ciotti
Oggi chi è l’elettore? La democrazia sta
procedendo a sondaggi, alcuni pilotati, senza alcuna idea e disegno, lasciando
che sia il consenso di volta in volta a decidere la direzione. Questa è la
morte della politica, il via libera ai veri spacciatori di illusioni, quelli
esperti di slogan e semplificazione. In queste fessure si insinuano mafie,
corruzione, furberie, illegalità.
I social network sono strumenti formidabili
di consenso e dunque di potere, strumenti su cui si sono lanciati i politici
più scaltri con l’intenzione di creare un rapporto diretto, disinvolto e
fintamente paritario con l’elettore, ma gli elettori con questa metodologia e
con questo uso di questo strumento vengono ridotti al rango di seguaci, di fan
e tifosi. Dobbiamo stare attenti a questa modalità che va a scavalcare i tempi
e i modi della democrazia.
[…] Viviamo una crisi di corresponsabilità.
Il noi si è sfilacciato, è diventato
a volte un artificio retorico, una maschera di potere e di interessi privati.
La corruzione, il furto del bene comune, la
privatizzazione degli spazi pubblici, hanno profondamente inciso sull’anima
della città, che oggi è un’anima ferita, smarrita, disorientata. La cultura
dell’individualismo - le relazioni solo esclusive e opportunistiche - è la
prima responsabile di una crisi che è economica negli effetti, ma etica e
culturale nelle cause.
E la politica? Essa nasce per governare le
città, per garantire la giustizia sociale e la pacifica convivenza. Nasce cioè
dall’etica. Politica è etica della
comunità, servizio per il bene comune. Da tempo, però, assistiamo a un divorzio tra politica ed etica. La
politica non serve il bene comune, ma le logiche dell’economia finanziaria. Si
è snaturata, ha tradito la sua essenza. Nell’enciclica Laudato sì, papa Francesco denuncia questo tradimento: «La semplice
proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali
impediscono che molti possono accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso
al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica». Gli
effetti del divorzio si vedono a livello globale: crescita delle
disuguaglianze, aumento della povertà e della disoccupazione. Ma si vedono
anche a livello nazionale, locale e cittadino.
In molte città è precipitata la qualità dei
servizi, si sono formate nuove sacche di povertà ed emarginazione. Si sta
delineando un mondo a doppia corsia. Da una parte quello dei privilegiati,
dall’altra quello dei poveri, degli immigrati, dei profughi. Una spietata
logica selettiva che richiama quella descritta da Primo Levi nei Sommersi e i salvati.
Inoltre, i beni comuni non possono obbedire
alla logica del «mercato». La salute, l’istruzione, la casa, il lavoro sono
l’ossatura di una comunità, la sua fonte di vita. Questi beni sono vita, e la
vita non è una merce in vendita. L’economia senza etica finisce per divorare se
stessa.
Anche noi siamo implicati in questo furto
di speranza. Non basta puntare il dito perché la politica è anche il frutto
delle nostre scelte, lo specchio dei nostri atteggiamenti. Non basta nemmeno la
solidarietà, la quale rischia di diventare complice se interviene senza
denunciare le cause politiche della povertà, la quale non è mai una fatalità.
Quale speranza in questo contesto? La
speranza parte dalle periferie. E’ l’orizzonte indicato da Francesco sin dal
primo giorno di pontificato. Le periferie geografiche ma anche esistenziali. Il
papa ci dice che non solo la Chiesa, la comunità cristiana, ma tutto il mondo
laico costruisce il futuro uscendo dai confini, dalle certezze, dagli egoismi,
facendosi viandante di speranza per le persone escluse, respinte, emarginate,
umiliate.
E saranno i poveri a fornirci le coordinate
del nostro futuro. Saranno loro l’anima di nuove e autentiche «Città del noi»,
il noi che implica il bene comune.
[..] Il
bene comune si costruisce a partire
dai rapporti umani, dalla capacità di ascoltare, di accogliere le parole
dell’altro, le sue speranze, le sue paure, i suoi bisogni. Dalla capacità di
mettersi nei suoi panni. Il bene comune resta una nozione astratta se non parte
dal bene concreto di chi ci è accanto. Se manca questa formazione di base,
l’azione sociale e politica restano sterili, non producono bene comune, o
peggio, lo distruggono o lo rubano.
La crisi che stiamo attraversando ha la sua
causa principale nella povertà di relazioni, nella perdita di legame sociale.
In una società frantumata l’idea di bene comune viene soffocata sul nascere
dagli egoismi e dagli individualismi.
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