da: Il Fatto Quotidiano
Ci sono due modi di affrontare la notizia
dell’arresto di Marcello De Vito, presidente M5S dell’Assemblea capitolina, per
corruzione. Il primo è quello dei partiti e dei giornali al seguito: evviva,
anche i 5Stelle (uno in dieci anni, per la verità) rubano; ma, siccome parlano
di onestà mentre gli altri se ne guardano bene, le loro corruzioni sono
infinitamente più gravi di quelle degli altri; anzi, se ruba un 5Stelle, allora
le centinaia di ladri degli altri partiti sono scagionati o autorizzati a
rubare; infatti degli scandali del M5S si parla per settimane, mentre di quelli
degli altri nemmeno per un giorno.
Il secondo è quello di chi vuole capire ciò
che accade e possibilmente trovare antidoti per evitare che si ripeta. E quegli
antidoti, quando la disonestà è un fatto individuale, non di sistema o di
partito, come emerge dalle accuse a De Vito, sono difficili da trovare. Ma
passano necessariamente attraverso meccanismi più severi ed efficaci nella
selezione della classe dirigente. Abbiamo spesso massacrato i 5Stelle per la
loro selezione a casaccio. E confermiamo: le autocandidature votate online,
senza una preparazione in apposite scuole di politica e di amministrazione,
possono premiare persone di valore come pessimi soggetti. La regola dei due
mandati, utile per evitare le incrostazioni di potere e i compromessi per
comprarsi la rielezione in saecula saeculorum, può diventare addirittura
criminogena: chi è privo di scrupoli, se ha poco tempo, lo impiega per
arraffare tutto il possibile.
Contro le mele marce insospettabili (se il
resto del cestino è sano), non c’è che la repressione: i casi De Vito si
scoprono soltanto con più intercettazioni, anche per reati che ora non le
prevedono (finanziamento illecito, abuso d’ufficio, falso in bilancio), e con
gli agenti infiltrati introdotti dalla Spazzacorrotti che offrono mazzette e
testano l’integrità dei pubblici amministratori. Poi, certo, i partiti devono
controllare i loro dirigenti, eletti e amministratori. Ma non solo i 5Stelle:
tutti.
Chi se la ride per De Vito, fingendo di
dimenticare i mille supermegamaxidevito che ha in casa (e si guarda bene
dall’espellere), ricorda come un mantra le culpae in eligendo della Raggi e dei
5Stelle con Marra e Lanzalone, dovrebbe spiegare ai cittadini i propri criteri
di selezione. Che non sono neppure casuali come quelli pentastellati: sono
molto peggio, perché sono scientifici. Come quelli del bar di Guerre stellari. Lasciamo
perdere il centrodestra, che s’è appena visto condannare il suo ex sindaco di
Roma, Gianni Alemanno, a 6 anni, per tacere di tutti gli altri arraffoni del
giro Buzzi&Carminati.
Ma Walter Veltroni? È una brava persona ed
è stato un buon sindaco: ma come fu che, al suo fianco, spuntò Luca Odevaine,
che rubò per anni a man bassa con quelli di Mafia Capitale?
E Beppe Sala? Da tutti additato come un
sindaco modello, non ha quasi mai azzeccato un collaboratore. Quando dirigeva
Expo 2015, si vide portar via uno dopo l’altro tutti i suoi fedelissimi, senza
mai accorgersi di nulla: il suo braccio destro Angelo Paris, arrestato con la
cupola degli appalti; il suo subcommissario Antonio Acerbo, responsabile del
Padiglione Italia e delle vie d’acqua, arrestato con Andrea Castellotti,
facility manager di Palazzo Italia; Antonio Rognoni, capo di Infrastrutture
Lombarde, arrestato; Pietro Galli, promosso a direttore generale vendite e
marketing malgrado una condanna per bancarotta (poi segnalata, invano, da
Cantone); Christian Malangone, dg di Expo, condannato. Siccome il talento va
premiato, Sala divenne sindaco di Milano e anche lì si dimostrò un talent scout
da far impallidire dieci Raggi: nominò assessore al Bilancio e Demanio il suo
socio in affari Roberto Tasca; promosse segretario generale Antonella
Petrocelli, imputata per turbativa d’asta, poi in cinque giorni fu costretto a
revocarla; come capo di gabinetto, chiamò senza gara l’avvocato Mario Vanni,
tesoriere del Pd milanese, con stipendio da dirigente, poi purtroppo si scoprì
che non aveva i requisiti dirigenziali richiesti dalla legge Madia per
ricoprire l’incarico (poco male: il supersindaco si tiene anche il vecchio capo
di gabinetto di Pisapia, col compito di firmare gli atti che Vanni non può
firmare).
A Roma, poi, non c’è solo “il modello Raggi
a pezzi” (il titolo di Repubblica sull’arresto dell’acerrimo nemico della
Raggi). Ci sarebbe pure, anche se nessuno se n’è accorto, il governatore del
Lazio e neo segretario del Pd Nicola Zingaretti indagato per finanziamento
illecito e ancora in attesa di archiviazione per falsa testimonianza al
processo Mafia Capitale. E nel caso Parnasi-Lanzalone, gli unici politici
imputati sono due di FI (l’ex vicepresidente del Consiglio regionale Adriano
Palozzi e il capogruppo in Comune Davide Bordoni) e uno del Pd (l’ex assessore
regionale Michele Civita), mentre sono indagati il tesoriere della Lega, Giulio
Centemero, e quello del Pd renziano Francesco Bonifazi. Nessuno dei quali,
diversamente da De Vito, risulta espulso dal suo partito. Né tantomeno arrestato,
ci mancherebbe. Intanto il dibattito sulla classe dirigente 5Stelle prosegue.
Dal bar di Guerre stellari.
Ps. Ieri il sito de La Stampa apriva
l’homepage sull’assessore Daniele Frongia indagato perché Parnasi gli chiese
consiglio su un giornalista capace per il suo ufficio stampa e lui glielo
diede, con questo titolo: “Mazzette a Roma: indagato l’assessore Frongia,
fedelissimo della sindaca Raggi. Le intercettazioni: ‘Due anni per far soldi’”
(né Frongia, né tantomeno la Raggi, c’entrano nulla con storie di mazzette e di
soldi). È la stessa Stampa che mercoledì aveva nascosto la notizia di
Zingaretti indagato in un francobollino a pagina 10.
Vergogniamoci per loro.
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