mercoledì 6 marzo 2019

Jane Austen: Emma / 3



George  Knightley doveva venire a pranzo da loro, un poco contro i desideri di Henry Woodhouse al quale non piaceva dividere con chicchessia il primo giorno di Isabella a Hartfield. Comunque a prendere la decisione era stata Emma per senso del dovere: considerazione a parte di quanto quella gentilezza fosse doverosa verso di due fratelli, ella provava un piacere particolare, dopo l’ultimo dissidio che l’aveva contrapposta all’amico, a prodigarsi perché fosse invitato.
Sperava che adesso avrebbero potuto far pace. Era tempo di smetterla con quel litigio, pensava. E poi, non era tanto questione di far pace. Non aveva mica avuto torto lei, e figurarsi se avrebbe mai ammesso di averne lui. Non era il caso di fare concessioni, ma era ora di comportarsi come se non avessero mai bisticciato. A proteggere la recuperata amicizia Emma sperò che servisse l’aver con sé, mentre lui entrava nella stanza, uno dei bambini – la più piccola, una deliziosa bambinetta di otto mesi, in visita a Hartfield per la prima volta e felicissima di essere spupazzata fra le braccia della zia. E infatti servì. Perché, se anche Knightley all’inizio lanciava in giro occhiate fosche e domande minime, presto si ritrovò a parlare di tutti loro nel modo consueto e a toglierle la bambina dalle braccia con la naturalezza di un’intatta amicizia. Emma sentì che erano di nuovo .fare a meno di suggerirle, mentre lui ammirava la piccola:
«Meno male che su nipoti e nipotine andiamo d’accordo. Sugli uomini e le donne le nostre idee divergono parecchio qualche volta; ma su questi bambini non potremmo mai pensarla diversamente, vi pare?»
«Se vi lasciate guidare dalla natura quando giudicate gli uomini e le donne senza credere più di tanto al potere della fantasia e del capriccio nei vostri rapporti con loro, come fate quando ci sono di mezzo questi piccoli, la penseremmo sempre allo stesso modo.»
«Eh, già..I nostri bisticci nascono sempre dal fatto che a sbagliarmi sono io.»
  
«Sì» le rispose sorridendo «e c’è una buona ragione: io avevo sedici anni quando voi siete nata.»  
«Una differenza sostanziale, effettivamente» gli replicò. «Non v’è dubbio che in quel periodo della nostra vita dovevate essermi superiore di molto nel giudizio, ma il trascorrere di ventun anni non porta la nostra capacità di comprendere un bel po’ più vicino?»       
«Sì, un bel po’ più vicino.
«Però non ancora abbastanza vicino da darmi la possibilità di aver ragione se la pensiamo in modo diverso.»        
«Continuo ad avere il vantaggio di sedici anni d’esperienza in più e di non essere un’attraente giovane donna né una bambina viziata. Forza, cara Emma, restiamo amici e non parliamone più…


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