“Qualche
anno fa noi occidentali giustificavamo l'intervento armato in altri Paesi -
Afghanistan, Iraq, Libia - come "operazione umanitaria": la
nostra coscienza non poteva accettare che feroci dittatori insanguinassero il
loro paese. Adesso invece, curiosamente, prevale
"l'interesse nazionale", quindi
delle peggiori violazioni dei diritti umani in altri Paesi non ci interessiamo
più. Benché questa volta ci sia l'aggravante che siamo stati noi stessi -
con la svolta politica Ue per impedire gli sbarchi - a essere causa o almeno
concausa di questa carneficina. Si vede che abbiamo la coscienza a giorni
alterni”.
da: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/
Meditiamo
che questo è
di Alessandro
Gilioli
Possiamo tranquillamente infischiarcene di quello che ci dice Medici Senza Frontiere sulle condizioni dei campi di prigionia in cui
sono detenuti i migranti che cercavano di raggiungere l'Europa: «Ammassati
in stanze buie e sudicie, prive di ventilazione, costretti a vivere una sopra
l'altro. Gli uomini costretti a correre nudi nel cortile finché collassano
esausti. Le donne violentate e poi
obbligate a chiamare le proprie famiglie e chiedere soldi per essere liberate.
Tutte le persone che abbiamo incontrato avevano le lacrime agli occhi».
Possiamo fottercene perché avere ridotto quegli esseri umani in queste condizioni è
stato - direbbe Minniti - «nell'interesse nazionale» italiano: e
tutti i nostri commentatori, da Paolo Mieli in giù, hanno celebrato questa
situazione come un successo, dato che così sono diminuiti gli sbarchi.
Una brava collaboratrice dell'Espresso,
Francesca Mannocchi, è entrata in uno di questi campi qualche giorno fa e l'ha
raccontato sull'ultimo numero del giornale per cui lavoro: «Tra le 100 e le 200
persone per stanza, nessuna possibilità di essere visti da un medico, "i libici ci trattano come animali,
nessuno ci dice che cosa sarà di noi, fino a quando staremo chiusi qui e
perché"». In un altro centro, riservato alle donne, una era appena morta
di parto; i bambini erano denutriti,
i neonati tenuti nella plastica.
Ovviamente, anche qui, non si è mai visto nessun dottore.
Questo nei centri di detenzione "ufficiali", quindi in qualche modo
accessibili: ce ne sono altri gestiti direttamente dalle milizie armate dove non si può avvicinare neppure la polizia,
figuriamoci i giornalisti. Su quello che può accadere lì, solo buio e silenzio.
In sostanza, prima i clan libici prendevano soldi dai migranti per trasportarli
oltre il Mediterraneo; ora prendono
soldi dai governi europei, Italia in testa, per tenerli chiusi nei lager.
Di solito le persone finite lì dentro erano
partite dai vari Paesi dell'Africa occidentale e prima di entrare in Libia
hanno attraversato il Niger.
Anche qui la Ue è intervenuta per sovvenzionare
il governo e le tribù affinché bloccassero i migranti. Le varie autorità
così remunerate hanno preso sul serio l'impegno e le carceri del Niger sono piene. Altrove, i militari hanno
circondato i pozzi d'acqua sulle
piste nel deserto, per evitare che i
migranti li usassero per bere dopo aver percorso centinaia di chilometri
nel deserto con temperature tra i 40 e i 50 gradi. I "passeurs"
allora hanno spostato il traffico su altre piste secondarie, più pericolose
perché prive di punti d'acqua. Anche qui riporto la cronaca sull'Espresso di
Giacomo Zandonini, collega che il Niger lo conosce bene: «Ho scavato con le mie
mani una fossa per venti persone morte di sete», gli ha raccontato un migrante.
Qualche
anno fa noi occidentali giustificavamo l'intervento armato in altri Paesi -
Afghanistan, Iraq, Libia - come "operazione umanitaria": la
nostra coscienza non poteva accettare che feroci dittatori insanguinassero il
loro paese. Adesso invece, curiosamente, prevale
"l'interesse nazionale", quindi delle peggiori violazioni dei
diritti umani in altri Paesi non ci interessiamo più. Benché questa volta ci
sia l'aggravante che siamo stati noi stessi - con la svolta politica Ue per
impedire gli sbarchi - a essere causa o almeno concausa di questa carneficina.
Si vede che abbiamo la coscienza a giorni alterni.
«Meditate che questo è stato», ci diceva
Primo Levi sull'Olocausto.
Noi invece siamo costretti a meditare che
questo è, ora, adesso.
Meditiamo che questo è. O ci si sfaccia la
casa, la malattia ci impedisca, i nostri nati torcano il viso da noi.
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