Luigi Di Maio, lo penso e l'ho scritto parecchio tempo fa, è la versione “raffinata” di Giuseppe Piero Grillo. Cioè........è Grillo, con un abito diverso ma che esce dallo stesso magazzino, pardon: store.
Oddio....forse Grillo mastica meglio congiuntivi, storia, geografia e……..riesce anche ad avere rapporti migliori con la posta elettronica della sua versione "raffinata" (gli apici sono di rigore)..
Oddio....forse Grillo mastica meglio congiuntivi, storia, geografia e……..riesce anche ad avere rapporti migliori con la posta elettronica della sua versione "raffinata" (gli apici sono di rigore)..
da: http://www.glistatigenerali.com
Why Di Maio is fit to lead Italy
di Lorenzo
Zacchetti
Nonostante le pesanti ironie che sono seguite alla sua “candidatura a Premier” e alle modalità con le quali è stata costruita, Luigi Di Maio può giocare un ruolo di rilievo, in un Paese che gli assomiglia molto
In seguito all’ondata di sarcasmo che ha
caratterizzato l’annuncio della candidatura di Luigi Di Maio a Presidente del
Consiglio, c’è chi ha invitato a smorzare i toni, evitando di irridere il
Movimento Cinque Stelle per la sua poca conoscenza dei meccanismi
istituzionali. Certo, nel nostro ordinamento è improprio parlare di
“candidatura” a proposito di una carica non elettiva, ma sia il centrodestra
che il centrosinistra hanno a più riprese indicato i loro leader come
“candidati Premier”. Il PD ha notoriamente inserito nel proprio statuto la
regola secondo la quale tale ruolo spetta al proprio segretario, con una scelta
politica sulla quale si potrebbero aprire lunghe discussioni.
Per quanto spetti al Presidente della
Repubblica affidare l’incarico di formare il Governo alla persona che ritiene
più idonea, sul piano politico non è certo sbagliato parlare di una
“candidatura” anche informale a ricoprire questa carica.
Decisamente più fondate sono le critiche
mosse nei confronti del Movimento Cinque Stelle sulla base di un processo
decisionale abbastanza comico, nel quale non ci si è fatti mancare davvero
nulla: dall’introduzione in extremis della regola che ammette la possibilità di
candidatura da parte di chi è indagato fino a uno schieramento di competitor
che ricorda moltissimo gli sparring-partner di un pugile che si allena coi
ragazzini per scaldare i muscoli in attesa delle sfide vere contro rivali
all’altezza.
Il tema dei processi democratici in seno ai
singoli partiti non è nuovo, ma è tuttora irrisolto. L’urgenza di regolamentare
in maniera chiara il funzionamento interno delle forze politiche che si
candidano ad amministrare la cosa pubblica, ivi compreso il modo di gestire le
primarie o altri simili meccanismi di consultazione, non è più differibile.
Volendo sottilizzare, è la spia di un
malessere anche il fatto che per riconoscere a un indagato il diritto di
candidarsi sia stata necessaria una svolta chiaramente “ad personam”. In uno
Stato di diritto e garantista un indagato è, per definizione, un soggetto che
ancora non è colpevole e pertanto non si capisce per quale motivo esso dovrebbe
essere privato di un proprio diritto civile. Giova inoltre ricordare che il
reato per il quale Di Maio è sotto indagine è la diffamazione, in seguito al
noto caso-Cassamatis e alla querela dell’ex candidata a Sindaco di Genova, poi
espulsa dal Movimento 5 Stelle. Intanto è opportuno inquadrare la fattispecie
di reato della quale eventualmente si sta parlando, ma in un Paese civile anche
di fronte ad accuse più pesanti dovrebbe comunque prevalere la logica secondo
la quale si è innocenti fino a sentenza definitiva.
Come se non bastassero le numerose
criticità più volte rilevate a proposito dell’ormai famoso metodo di
consultazione on-line del popolo grillino, che pare tutt’altro che
inattaccabile, lo svolgimento di una competizione come quella che andrà a
incoronare Di Maio è chiaramente la formale legittimazione di una decisione
presa altrove e già da molto tempo. Non è da oggi che il Movimento 5 Stelle
(leggasi: Beppe Grillo) ha scelto di giocare sul Vicepresidente della Camera le
proprie chance di affermazione nazionale, sicuramente danneggiate dalle
performance della Giunta-Raggi nell’amministrazione di Roma, ma ancora non
svanite in un quadro di estrema incertezza politica.
Tutto ciò detto, irridere Di Maio e le sue
ambizioni di Premierato rappresenta un errore di valutazione piuttosto
grossolano. Nell’atteggiamento marcatamente snob di una certa parte di opinione
pubblica e di ceto politico pare di rivedere la superficialità già dimostrata a
suo tempo nei confronti di Berlusconi e della Lega.
Sarebbe infatti difficile immaginare una
figura capace di incarnare meglio di Maio i punti di forza sui quali può fare
leva il Movimento 5 Stelle. Il giovane parlamentare ha caratteristiche che,
paradossalmente, coincidono proprio con gli aspetti che spingono molti a
giudicare l’ex steward dello stadio San Paolo “unfit to lead Italy”, per
ripescare la celebre definizione che l’Economist diede di Berlusconi, su basi
peraltro completamente diverse.
Carlo
Freccero ha bene evidenziato il tema nell’intervista pubblicata
oggi da “La Stampa”, dicendo: “Di Maio è
perfetto perché è l’uomo medio, è il Carlo Conti del Festival di Sanremo
applicato alla politica. Un uomo con cui tutti si possono identificare,
comprensibile a chiunque. Lo definirei un software interscambiabile. Non ha
nulla del leader carismatico. Non è Alessandro Di Battista né Roberto Fico.
Loro hanno una forte identità e troppa personalità per fare i portavoce. Di
Maio no, zero carisma, per questo è il perfetto portavoce del M5S, come lo
volevano Grillo e Casaleggio. Dietro c’è l’idea di una politica 2.0, acefala.
Di Maio è l’ideale per la trasversalità delle idee politiche del M5S, attento a
non fare mai un discorso di rottura. La sua forza è di non avere teorie. Lo
dimostra come è facile per lui cambiare idea, dal referendum sull’euro allo Ius
soli. Ma per questo è comprensibile per tutti, per quel Movimento che cresce,
si evolve, vuol partecipare in prima persona alla gestione comune della
politica: rappresenta sia il pubblico della tv, sia l’opinione di Internet. Non
incarna la politica dei leader e delle élite, ma degli uomini qualunque nel
reality di Grillo, che non mette in scena le star ma punta i riflettori
direttamente sul pubblico”.
Una presa di posizione netta e di grande
interesse, che tuttavia contrasta con altre dichiarazioni di Freccero a
proposito del candidato-Premier grillino in pectore: lo scorso aprile il
celebre scrittore e autore televisivo disse di non credere all’ipotesi della
candidatura di Di Maio e un anno fa addirittura sosteneva che il Vicepresidente
della Camera si fosse bruciato, indicando in Chiara Appendino la figura sulla
quale il Movimento Cinque Stelle avrebbe fatto meglio a puntare.
Transeat. Ciò che rimane sul tavolo da
analizzare è una tendenza che a mio avviso va messa in relazione con un libro
che ho già avuto modo di citare. “Mediocrazia” del filosofo Alain Deneault (il
cui successo ne certifica l’importanza certamente molto più che la mia
opinione) è particolarmente adatto a fotografare la realtà che stiamo vivendo.
In politica – ma anche in altri campi della società – le posizioni di potere
sono ormai appannaggio pressoché esclusivo del “mediocre”, termine che peraltro
non va inteso in senso dispregiativo, ma come mera constatazione di aderenza
del soggetto alla media in senso quasi matematico.
“Mediocre è chi tende alla media, vuole
uniformarsi a uno standard sociale. In breve: è il conformismo”, spiega il
filosofo, con parole che potrebbero tranquillamente sovrapporsi a quelle di
Freccero. L’aggancio è anche con la definizione di “Uomo qualunque” che emerge
dall’intervista a “La Stampa” e che ci riporta a Guglielmo Giannini ed al suo
movimento politico, le cui radici culturali sono chiaramente visibili anche
nelle attuali posizioni del Movimento Cinque Stelle.
Di Maio oggi viene fatto oggetto di
critiche molto accese, anche per la sua partecipazione alla cerimonia dello
scioglimento del sangue di San Gennaro. Ecco, pur essendo laico e di sinistra,
eviterei di estendere l’errore alla censura di un comportamento legato alla
fede religiosa che, come tale, rientra nella sfera personale che va comunque
rispettata.
Mi limito ad osservare come – in questo
come in altri aspetti – Di Maio sia effettivamente un’incarnazione quasi
perfetta del concetto di “italiano medio”. L’errore consiste nel dare a questa
definizione un’accezione negativa, con un atteggiamento di superiorità che, pur
connesso a questioni reali come quelle descritte da Deneault, pare negare un
concetto che in democrazia è fondamentale: chi vuole governare, deve avere la
compiacenza di conquistare il consenso popolare, operazione tutt’altro che
scontata, che richiede molta fatica e che non è certo facilitata dalla bassa
considerazione che taluni nutrono nei confronti del popolo stesso, senza
nemmeno riuscire a nasconderla troppo bene.
Il rischio è di perseverare, sottolineando
in maniera insistente quelle debolezze che Di Maio in effetti ha, ma che agli
occhi del suo elettorato possono invece apparire come punti di forza. Il
curriculum non particolarmente brillante, il rapporto a volte conflittuale con
i congiuntivi e persino il suo look straordinariamente ordinario potranno non
piacere a certi palati particolarmente fini, ma continuare a schernirlo serve
solamente a renderlo maggiormente appealing (a meno ovviamente che non si
faccia parte dei Socialisti Gaudenti, che hanno pubblicato i meme usati per
questo articolo: a loro, ma solo a loro, è concesso tutto perché se lo
meritano).
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