«United united
united we stand, united we never shall fall!».
Aprì gli occhi e si tirò su di scatto. «Ma
che...?». Lupa allarmata dai movimenti del padrone aveva alzato le orecchie. La musica veniva dall’appartamento accanto.
«United united
united we stand, united we stand one and all!». Ritmo tribale,
schitarrate catarrose e distorte, un coro scimmiesco con uno slogan da
cerebrolesi. Quel genere di musica, l’heavy metal, era per Rocco Schiavone al
settimo posto nella graduatoria delle rotture di coglioni. Se suonato alle tre
e quarantacinque di notte, saliva di diritto al nono. «Porca troia!» urlò e si
alzò dal letto. Dopo dieci giorni aveva preso confidenza col nuovo appartamento
di via Croix de Ville, non però con i vicini. Soprattutto i dirimpettai.
Alternative non ce n’erano, gli toccava
andare a fare una visita.
Aprì la porta, il freddo delle scale lo
investì, tornò in casa, si infilò il loden direttamente su boxer e maglietta e
uscì di nuovo a piedi scalzi. Bussò. Nessuna risposta. La musica si riversava
anche sul pianerottolo.
«So keep it
up, don’t give in...».
Suonò il campanello percuotendo la porta
coi pugni. Improvvisamente tutto tacque. Seguirono passi veloci. Un graffiare
sul legno, segno che qualcuno stava osservando dallo spioncino.
«Sì, sono Schiavone, il vicino. Apra!».
E la porta si spalancò. Apparve un ragazzo
di 16 anni. Brufoli, capelli lunghi e in mutande, una maglietta bucata degli
Iron Maiden, la pelle bianca come la pancia di un pesce. «S... sì?».
«Sì? Mi dici sì? Porca troia, sono le tre e
45 e ti metti a suonare quella merda a tutto volume?».
Il ragazzo incassò la testa nelle spalle.
«Mi scusi. Pensavo che non ci fosse nessuno».
«E pensi male. So’ dieci giorni che abito
qui. E gli altri inquilini te li sei dimenticati?».
«È tutto vuoto il palazzo. I Benaix sono
andati in Olanda, e anche i Candiani sono partiti. Mi scusi, se avessi
saputo...».
«Ora lo sai. Mettiti una cuffia e sparati i
Judas Priest a palla di cannone, dei tuoi timpani non me ne frega niente!».
Il ragazzo abbozzò un sorriso. «Conosce i
Judas Priest?».
«Certo. Erano un gruppo quando ero ragazzo
io. Com’è che li conosci tu, invece!».
Il vicino alzò timidamente la mano destra,
le dita a formare le corna con il pollice disteso, disse «Rock’n roll will
never die!» e sorrise.
«Ma sei deficiente o che?» gli chiese
Rocco. «Va’ a dormire, cicci, che domani hai scuola. Mi risvegli co’ ’sto
schifo e ti faccio sbranare da Lupa!».
Il ragazzo parve accorgersi solo in quel
momento del cane. «Uh! Bellino».
«Bellina!».
«Che razza è?».
«Un
Saint-Rhémy-en-Ardennes».
Il ragazzo scoppiò a ridere. «Esiste una
razza così?».
«Se esiste un gruppo come i Judas Priest
esiste anche una razza così».
«Io mi chiamo Gabriele».
«E sticazzi» rispose Rocco. Non gli era
passata ancora la rabbia. Si girò e tornò nel suo appartamento.
Di dormire non era più cosa. Dopo una
doccia rapida e la pappa a Lupa erano usciti di casa. L’alba stava sbavando di
rosa il cielo e i tetti umidi di Aosta. Voleva fare colazione, un caffè doppio,
due brioche e guardare piazza Chanoux prendere lentamente i colori del nuovo
giorno che si annunciava splendido, non una nuvola si aggirava fra i comignoli
spenti ormai da più di un mese.
Si guardò le scarpe, il sedicesimo paio di Clarks
che aveva acquistato in dieci mesi, il paio più fortunato. Con un po’ di sforzo
potevano addirittura arrivare al prossimo inverno. Un vento leggero, freddo ma
non gelato, gli accarezzava il volto. Lupa si bloccava ad ogni angolo a
annusare i messaggi lasciati la sera prima dagli altri cani. Lui invece si
fermò all’edicola a prendere il giornale. Non poté credere ai suoi occhi quando
vide l’articolo in prima pagina.
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