mercoledì 27 settembre 2017

Antonio Manzini: 7-7-2007 / 1



«United united united we stand, united we never shall fall!».
Aprì gli occhi e si tirò su di scatto. «Ma che...?». Lupa allarmata dai movimenti del padrone aveva alzato le orecchie. La musica veniva dall’appartamento accanto.
«United united united we stand, united we stand one and all!». Ritmo tribale, schitarrate catarrose e distorte, un coro scimmiesco con uno slogan da cerebrolesi. Quel genere di musica, l’heavy metal, era per Rocco Schiavone al settimo posto nella graduatoria delle rotture di coglioni. Se suonato alle tre e quarantacinque di notte, saliva di diritto al nono. «Porca troia!» urlò e si alzò dal letto. Dopo dieci giorni aveva preso confidenza col nuovo appartamento di via Croix de Ville, non però con i vicini. Soprattutto i dirimpettai.
Alternative non ce n’erano, gli toccava andare a fare una visita.
Aprì la porta, il freddo delle scale lo investì, tornò in casa, si infilò il loden direttamente su boxer e maglietta e uscì di nuovo a piedi scalzi. Bussò. Nessuna risposta. La musica si riversava anche sul pianerottolo.
«So keep it up, don’t give in...».
Suonò il campanello percuotendo la porta coi pugni. Improvvisamente tutto tacque. Seguirono passi veloci. Un graffiare sul legno, segno che qualcuno stava osservando dallo spioncino.
«Sì, sono Schiavone, il vicino. Apra!».
E la porta si spalancò. Apparve un ragazzo di 16 anni. Brufoli, capelli lunghi e in mutande, una maglietta bucata degli Iron Maiden, la pelle bianca come la pancia di un pesce. «S... sì?».

«Sì? Mi dici sì? Porca troia, sono le tre e 45 e ti metti a suonare quella merda a tutto volume?».
Il ragazzo incassò la testa nelle spalle. «Mi scusi. Pensavo che non ci fosse nessuno».
«E pensi male. So’ dieci giorni che abito qui. E gli altri inquilini te li sei dimenticati?».
«È tutto vuoto il palazzo. I Benaix sono andati in Olanda, e anche i Candiani sono partiti. Mi scusi, se avessi saputo...».
«Ora lo sai. Mettiti una cuffia e sparati i Judas Priest a palla di cannone, dei tuoi timpani non me ne frega niente!».
Il ragazzo abbozzò un sorriso. «Conosce i Judas Priest?».
«Certo. Erano un gruppo quando ero ragazzo io. Com’è che li conosci tu, invece!».
Il vicino alzò timidamente la mano destra, le dita a formare le corna con il pollice disteso, disse «Rock’n roll will never die!» e sorrise.
«Ma sei deficiente o che?» gli chiese Rocco. «Va’ a dormire, cicci, che domani hai scuola. Mi risvegli co’ ’sto schifo e ti faccio sbranare da Lupa!».
Il ragazzo parve accorgersi solo in quel momento del cane. «Uh! Bellino».
«Bellina!».
«Che razza è?».
«Un Saint-Rhémy-en-Ardennes».
Il ragazzo scoppiò a ridere. «Esiste una razza così?».
«Se esiste un gruppo come i Judas Priest esiste anche una razza così».
«Io mi chiamo Gabriele».
«E sticazzi» rispose Rocco. Non gli era passata ancora la rabbia. Si girò e tornò nel suo appartamento.
Di dormire non era più cosa. Dopo una doccia rapida e la pappa a Lupa erano usciti di casa. L’alba stava sbavando di rosa il cielo e i tetti umidi di Aosta. Voleva fare colazione, un caffè doppio, due brioche e guardare piazza Chanoux prendere lentamente i colori del nuovo giorno che si annunciava splendido, non una nuvola si aggirava fra i comignoli spenti ormai da più di un mese.
Si guardò le scarpe, il sedicesimo paio di Clarks che aveva acquistato in dieci mesi, il paio più fortunato. Con un po’ di sforzo potevano addirittura arrivare al prossimo inverno. Un vento leggero, freddo ma non gelato, gli accarezzava il volto. Lupa si bloccava ad ogni angolo a annusare i messaggi lasciati la sera prima dagli altri cani. Lui invece si fermò all’edicola a prendere il giornale. Non poté credere ai suoi occhi quando vide l’articolo in prima pagina.

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