“Smetti di fare l’inglese e fai l’italiano”.
A quanti campi, situazioni, queste parole sono esemplificative di un nostro
modo di concepire la vita sociale, politica, istituzionale, personale. Capito perché
siamo un paese in crisi? Non certo e non solo per la misura del PIL, il
prodotto interno lordo. Decimale più, decimale meno…
da: Lettera 43
La
cricca dei tributaristi che truccava i concorsi universitari
Secondo
i pm, escludevano alcuni candidati per favorire i propri allievi o soci.
Nelle carte, le parole di uno di questi professori a un
ricercatore: «Anche io mi son piegato a certi baratti. Devi fare
l'italiano».
di Alessandro
Da Rold
Avrebbero truccato i concorsi universitari
per favorire i propri allievi o soci, chiedendo ad altri di ritirare la
candidatura e promettendo loro di ricandidarli più avanti, in un gioco di correnti
di potere interno alle università italiane, alle commissioni del ministero e
agli studi di diritto tributario. L'ordinanza di custodia cautelare firmata dal
gip di Firenze Angelo Pezzuti, che
ha portato agli arresti domiciliari
sette luminari con circa 59 persone indagate per corruzione e abuso d'ufficio, apre
uno squarcio sulla spartizione dei posti da professore negli atenei italiani. A
dimostrarlo sono le registrazioni effettuate con un telefonino da parte di un
ricercatore che aveva presentato la candidatura e a cui poi era stato intimato
di ritirarla, nonostante avesse i titoli, per favorire altri candidati.
ANCHE TESAURO TRA GLI INDAGATI. La Guardia di Finanza parla di «sistematici accordi corruttivi tra
numerosi professori di diritto tributario» - alcuni dei quali pubblici
ufficiali poiché componenti di diverse commissioni nazionali nominate dal
ministero della Pubblica Istruzione - «finalizzati a rilasciare abilitazioni
secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori»,
per soddisfare «interessi personali, professionali o associativi». Agli arresti finiscono Fabrizio Amatucci,
docente alla Federico II di Napoli, Giuseppe Maria Cipolla dell'Università di
Cassino, Adriano di Pietro dell'Università di Bologna, Alessandro Giovannini
dell'Università di Siena, Valerio Ficari dell'Università di Roma 2, Giuseppe
Zizzo dell'Università Carlo Cattaneo di Castellanza e Guglielmo Fransoni
dell'Università di Foggia. Ma tra gli indagati compaiono anche luminari del diritto tributario, come
Francesco Tesauro e Francesco Tundo, marito dell'ex assessore al Bilancio
del comune di Milano Francesca Balzani, allievo dello studio di Victor Uckmar.
In 22 sono stati interdetti dall'esercizio accademico.
“Il professor Russo, in maniera diretta,
aveva chiesto [a Laroma] di ritirare la sua candidatura per favorire
l'abilitazione di altri candidati”
Ordinanza di custodia cautelare
Il procedimento nasce dopo la denuncia di Jezzi Philipp Laroma, ricercatore
del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell'Università di Firenze che il 22
novembre del 2012 aveva presentato domanda di abilitazione scientifica “per
professore di prima e seconda fascia”. È lui il 5 febbraio del 2014 a
presentarsi di fronte ai pubblici ministeri fiorentini con una registrazione di un colloquio avvenuto
il 21 marzo del 2013, con il professore
Pasquale Russo, ordinario di diritto tributario della Facoltà di
giurisprudenza di Firenze. Laroma ha registrato la conversazione con il proprio
telefonino, perché «non credeva alle parole che stava ascoltando». In pratica,
si legge nell'ordinanza di custodia cautelare, «il professor Russo, in maniera diretta, gli aveva chiesto di ritirare
la sua candidatura per favorire l'abilitazione di altri candidati,
promettendogli poi che si sarebbe speso perché lui venisse abilitato nella
successiva tornata».
«COSÌ SI GIOCA LA CARRIERA». Non solo.
Stando alle parole del professor Russo «i commissari
si erano già riuniti un paio di volte e ciascuno
aveva chiesto di abilitare un candidato o più candidati a cui teneva; che,
quindi, era stato raggiunto un accordo su una lista di candidati che sarebbero
stati abilitati nella quale lui non era stato inserito». Russo glielo aveva
detto esattamente: «È stata fatta la lista e tu non ci sei». Di fronte alle
rimostranze di Laroma che non voleva ritirare la propria candidatura, Russo gli
aveva spiegato senza troppi problemi che «così si giocava la carriera». Nella
lista dei candidati c'era anche Francesco Padovani, socio nello studio
professionale di Russo. Faceva parte della “scuola” su cui avevano deciso di
puntare a questa tornata di concorsi.
“Anche io mi son piegato a certi baratti per
poter mandare avanti i miei allievi, ero ingenuo all'inizio ma la logica universitaria
è questa”
Professor Russo
Sono diversi i colloqui con Russo che
Laroma registra. Alla domanda «su quali "criteri' avessero condotto i
commissari alla sua esclusione», Russo risponde in modo esplicito: «I criteri
del vile commercio dei posti». Laroma reagisce («come si fa ad accettare una
cosa simile?») e Russo taglia corto e risponde: «Tu non puoi non accettare», e aggiunge con chiarezza: «Che fai? Fai ricorso? .... però ti giochi la
carriera cosi». Anzi il professore spiega che è una prassi consolidata. Che
va avanti da anni. Anche lui «i principi» invocati da Laroma se li era messi
«sotto i piedi» avendo favorito Francesco D'Ayala Valva («l'ho fatto ordinario
io») nel tentativo di ottenere, successivamente, l'abilitazione dei candidati a
lui vicini («nella speranza poi di poter aver avere un po' di spazio per i
miei»).
«NON SIAMO SUL PIANO DEL MERITO». Nella
registrazione fatta con un telefonino Russo ribadisce «con molta chiarezza che
non sono in discussione né la bravura, né la capacità, né i titoli di Jezzi
Philip Laroma». E ripete: «Non siamo sul piano del merito! Non siamo sul piano
del merito, Philip». E infine lo invita a prendere atto della realtà del
sistema in cui vive. «Smetti di fare
l'inglese e fai l'italiano». In un altro colloquio Russo è ancora più
diretto. «Anche io mi son piegato... a certi baratti per poter mandare avanti i
miei allievi...», «ero ingenuo all'inizio» ma «la logica universitaria è
questa... è un mondo di merda... è un mondo di merda... quindi purtroppo è un do
ut des».
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