Egregio Titolare,
nei mille giorni del
fu governo Renzi sembrò di vivere in un mondo incantato, ove l’erogazione di
pubbliche risorse alle categorie da lui prescelte avrebbe sempre e comunque
sortito effetti virtuosi, essendo motivata da pregevoli intenti. La nobiltà
dell’obiettivo perseguito bastava a giustificare l’impiego di soldi dello Stato
– cioè dei contribuenti – senza necessità di alcuna trasparenza circa l’impatto
che avrebbe prodotto: il beneficio era scontato. Pertanto, la bontà
dell’intervento dell’esecutivo veniva misurata in termini di fondi distribuiti,
non di risultati concretizzati.
Dubitare della
logica di questo meccanismo era reputato una sorta di oltraggio. Chi osava
insinuare che l’ex presidente del consiglio dilapidasse denaro pubblico a meri
fini di consenso veniva zittito in quanto gufo e catalogato tra chi “rema
contro”. Nel magico mondo renziano bastavano le buone intenzioni, e il gioco
era fatto.
Così nacque “la
politica del bonus” (cit. Istituto Bruno Leoni): il bonus-80-euro
declinato da
misura equitativa (anche se i meno abbienti ne restavano esclusi e quelli che
lo fossero diventati dovevano restituirlo) a incentivo ai consumi (con effetti
molto dubbi); il bonus-bebè, presentato con “malafede” (si può dire?) e col
poco credibile fine di incentivare la natalità (forse su un altro pianeta, ove
poche decine di euro bastano a sostentare un nuovo nato); e altri bonus,
connotati dal comune denominatore dell’essere erogati “a prescindere” (cito
Totò, è proprio il caso): ossia omettendo ogni valutazione ex ante circa gli
effetti attesi ed ex post per aggiustare il tiro o eliminarli, se inefficaci.
D’altronde, dato il
loro valore “a prescindere”, non aveva senso verificare che fossero serviti:
anzi, l’ex capo del governo appariva smanioso di rendere strutturale ogni bonus
che, come un prestigiatore, tirasse fuori dal cilindro. Quello che meno di
altri doveva essere posto in discussione, per la valenza attribuitagli dall’ex
primo ministro, era il bonus-cultura per i diciottenni (tornato alla ribalta di
recente). A seguito della strage di Parigi, nello stanziare un miliardo di euro
per la sicurezza e la stessa somma per la cultura, Renzi dispose – tra le altre
cose – un’elargizione di 500 euro per tutti i neo-maggiorenni, di qualsiasi
censo.
Come faceva spesso,
non mancò di conferire alla misura una connotazione, da un lato, emotiva
(“asciugate le lacrime, è il tempo di reagire”), cosa da evitare come sa ogni
buon regolatore; dall’altro, simbolica, come attestato da una frase che in
concreto non significava molto (“la consapevolezza di cosa significhi diventare
maggiorenne in Italia: protagonista e coerede del più grande patrimonio
culturale del mondo”), ma serviva a chiudere qualunque discorso. Se pure è vero
che la fruizione di ogni forma d’arte acuisce spirito critico, sensibilità e
tolleranza, tuttavia destavano perplessità certi beni – non proprio “culturali”
– in cui i bonus potevano essere investiti.
La scoperta, dopo
alcuni mesi, che essi venivano venduti a metà prezzo da neomaggiorenni poco
propensi alla cultura e molto inclini a monetizzarli, fece sorgere qualche
sospetto; il fatto poi che, a seguito di tali usi impropri, non si ebbe notizia
di contromisure nei riguardi di chi aveva snaturato la funzione dei bonus in discorso,
indusse a pensare che davvero venissero erogati “a prescindere” (repetita
iuvant) dal loro buon impiego; infine, quando si rinnovò la misura senza
verificare che la fruizione culturale si fosse realmente ampliata – e cioè che
i 500 euro non avessero finanziato acquisti che sarebbero comunque avvenuti –
restarono ben pochi dubbi che si trattasse di spesa pubblica a fondo perduto
(una “mancetta”, per dirla tutta). Qualche lettore in sintonia con l’ex
presidente del consiglio potrebbe ancora obiettare che investimenti finalizzati
alla cultura, “a prescindere” dall’effettivo utilizzo, fanno onore a chi li
statuisce. Allora, oltre a evidenziare che una spesa fatta “a prescindere” da
qualunque stima dei risultati va evitata anche se effettuata per mera filantropia
– Bill Gates docet – svolgo alcune considerazioni ulteriori.
Nel disporre la
misura in esame, Renzi sembrò ignorare che, se è vero che la cultura
rappresenta un efficace deterrente da tentazioni letali, è dove essa è meno
diffusa che occorre intervenire in maniera più efficace. In altri termini, egli
trascurò la circostanza che servisse agire là dove ce n’era più bisogno:
quindi, da un lato, che “la spesa culturale dei comuni nel Mezzogiorno è meno
di un terzo di quella del Nord” e che la “propensione a visitare i musei o i
siti archeologici” è molto inferiore nelle regioni del sud rispetto alle altre;
dall’altro, che “dare 500 euro a tutti significa trattare in modo uguale
giovani che si trovano in condizioni di partenza molto diseguali, violando il
principio dell’eguaglianza di opportunità”. Una qualche selettività nella
distribuzione avrebbe giovato: altro che bonus a pioggia, “a prescindere” da
considerazioni ulteriori.
Nel definire misure
contro terrorismo e altre degenerazioni “culturali”, Renzi forse non prestò
molta attenzione a “storie” come quella della preside di Caivano: gli sarebbe
stato utile a far sì che la c.d. (molto cosiddetta) buona scuola, quale luogo
preposto a diffondere la cultura, favorisse anche il recupero dei giovani in condizioni
più precarie. E chissà se i bonus erogati a tutti i diciottenni, pure i
benestanti, non abbiano sottratto preziose risorse a quei progetti volti
“riequilibrare e compensare situazioni di svantaggio socio-economico, in zone
particolarmente disagiate, nelle aree a rischio e in quelle periferiche” per
sostenere “l’inclusione sociale e la lotta al disagio”, non partiti nei mesi
estivi anche per i ritardi derivanti dallo stiracchiamento di una coperta
finanziaria probabilmente troppo corta. Scuole aperte nei mesi di “vuoto”
eviterebbero tentazioni pericolose ai giovani che non possono permettersi una
vacanza, arginando il degrado. Il tema è sempre quello.
Peraltro, mentre
declamava la funzione del bonus “culturale” come antidoto al terrorismo, l’ex
premier riduceva le spese in cultura, in generale: non proprio un esempio di
coerenza, né una scelta da statisti, considerato che in Italia “nessun museo
appare tra i 10 più visitati al mondo, uno su tre ha meno di 1000 visitatori
l’anno e il 70% degli italiani non li visita”. Peraltro, per ampliare la
fruizione della cultura (e per molto altro) serve digitalizzare: eppure, solo
il 57% dei musei ha un sito web e non sempre esso è “costruito” in modo da
facilitare l’interazione con l’utilizzatore. I contenuti “solo nel 20% sono
indirizzati a particolari categorie di utenti (famiglie, disabili, gruppi,
etc.). I numeri sono ancora più piccoli quando si indaga la presenza di servizi
più avanzati come la possibilità di acquistare on line merchandising o
materiale legato al museo (6% dei casi), effettuare donazioni (anche in questo
caso 6% e per il 70% si tratta di musei privati) e crowdfunding (1%)”. Forse,
nello stanziare i denari per i bonus, a Renzi è sfuggito questo loro miglior
impiego.
Infine, nella
strategia contro il terrorismo, egli è sembrato sorvolare sulle indicazioni
della UE al riguardo. Relativamente ai ragazzi, la Commissione afferma che
vanno incoraggiati “a esercitare il loro spirito critico nei confronti dei
messaggi estremisti. L’istruzione e gli scambi tra giovani sono elementi
essenziali” per aiutarli a “riflettere in modo critico sulle opinioni e sui
discorsi estremisti”. Il bonus corrisposto per generiche spese culturali, ma
spendibile anche per voci che con la cultura non hanno molto a che fare,
agevola questo risultato “a prescindere”? Se ne può dubitare.
E si potrebbe
continuare. Solo un ultimo cenno conclusivo. Nel magico mondo renziano, ove
ottenere flessibilità – cioè fare debiti – è una medaglia, non si considerò la
possibilità che a pagare la spesa per i diciottenni fosse qualcun altro diverso
dallo Stato: ciò non avrebbe tutelato l’interesse del Paese? Peccato, questo
Renzi non lo dice.
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