da: Il
Fatto Quotidiano
Banche,
dall’Etruria alle due popolari venete il conto per l’Italia arriva a 68
miliardi
E'
questa la somma del valore di azioni e obbligazioni vaporizzate,
aumenti di capitale di Mps bruciati, interventi dello Stato e contributo del
sistema bancario, che comprende anche parti di denaro pubblico come i 500
milioni immolati dalla Cassa Depositi e Prestiti
di Carlo Di Foggia e Giorgio Meletti
Il ministro
dell’Economia Pier Carlo Padoan e il governatore della Banca
d’Italia Ignazio Visco sono molto contenti. Il crac
della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, lasciate marcire
per anni da una Vigilanza bancaria distratta se non complice, è
stato risolto impegnando 17 miliardi dei contribuenti, ma era
“l’unica soluzione, comunque la migliore”. E adesso, soprattutto, ci assicurano
che la crisi bancaria è finita, che è tutto a posto, non ci sono altre minacce
in vista. È vero, lo avevano già detto il 22 novembre 2015, dopo il come
sempre frettoloso e sgarruppato bail-inall’italiana di Banca
Marche, Etruria, Cassa Ferrara e Carichieti.Assicurarono
che, in mezzo a tanti strepiti populisti su quattro banchette di infima
dimensione, loro avevano, in silenzio, messo in sicurezza il Monte dei
Paschi e le due banche venete. Non era vero, ma chi non fa non falla.
Quindi adesso ci
fidiamo. La crisi bancaria è finita ed è tempo di bilanci. Quanto è costata al
Paese? A oggi, primo provvisorio bilancio, 68 miliardi.Prese le sette
banche “salvate”, è questa la somma del valore delle azioni e
delle obbligazioni vaporizzate, degli aumenti di capitale di Mps
bruciati, degli interventi dello Stato e del contributo del sistema bancario,
che comprende anche parti di denaro pubblico come i 500 milioni immolati
dallaCassa Depositi e Prestiti o i 260 milioni offerti da Poste Vita.
È doveroso chiarire che i 68 miliardi non sono stati “bruciati”, come amano
dire gli analisti compiacenti che trattano queste vicende alla stregua di
catastrofi naturali. Il denaro non si crea e non si distrugge, ma passa da una
tasca all’altra. In questa storia c’è gente rovinata mentre
qualcuno si è molto arricchito, per esempio alcuni furbacchioni che sono
riusciti a farsi comprare da Popolare di Vicenza e Veneto Banca le azioni a
prezzo pieno un attimo prima della catastrofe. Nella migliore delle ipotesi il
denaro è passato in modo quasi indolore da quella destra a quella
sinistra del medesimo soggetto.
Intesa
Sanpaolo per esempio ha buttato 1,5 miliardi
nel fondo Atlante che doveva salvare le due banche venete ma se li è
ripresi con gli interessi grazie al generoso contributo statale per risalvare
le due banche venete; e lo stesso fondo Atlante, dopo aver buttato 3,5 miliardi
affidatigli dalle banche per ricapitalizzare le venete, adesso cercherà di
rifarsi speculando sui crediti inesigibili (sofferenze) di Mps, comprati al 21
per cento contro il 27 per cento già pattuito un anno fa, cioè con
uno sconto, tanto per cominciare bene, di 1,5 miliardi. Se rivende le
sofferenze al 35 per cento il conto è pari.
Il
conto lasciato dal grande Mussari – Esattamente dieci
anni fa il presidente di Mps Giuseppe Mussari ebbe l’idea
meravigliosa di comprare per 9 miliardi la Banca Antonveneta che ne
valeva forse 3, forse 5. Lo sapevano tutti, Bankitalia compresa, meno lui.
L’obiettivo era di rendere Rocca Salimbeni non scalabile. Centrato in pieno:
chi se la poteva comprare una schifezza del genere? Solo lo Stato, e infatti.
Nel 2007 Mps valeva in Borsa oltre 6 miliardi: ai possessori di quelle azioni,
in primo luogo la Fondazione Mps, non è rimasto niente. Ma per finanziare
l’Antonveneta Mussari chiese 5 miliardi di aumento di capitale: visti e persi.
Poi fece una montagna di debiti assurdi, con la Banca d’Italia che, a
guardia della sana e prudente gestione, benediceva.
Nel 2012 sono stati
mandati Fabrizio Viola e Alessandro Profumo a cercare di
metterci una pezza. Viola ha fatto due aumenti di capitale: 5 miliardi nel
2014, 3 miliardi nel 2015. Non sono bastati: visti e persi anche gli 8
miliardi. Mentre Matteo Renzi giurava che Mps era una banca
fichissima su cui quelli furbi come lui avrebbero investito di
corsa, la Bceun anno fa ha chiesto altri 5 miliardi di capitale.
Renzi ha detto: “No problem, ci pensa il mio amico Jamie Dimon di Jp
Morgan con il suo plenipotenziario per l’Italia Vittorio Grilli”. Non ci
sono riusciti e allora la Bce ha detto: “Visto che il mitico mercato non vi dà
5 miliardi, adesso trovatene 9”. Ed è subito salvataggio statale, con
azzeramento delle obbligazioni subordinate. L’impresa di Mussari e della Banca
d’Italia che fingeva di vigilare è finita per costare 27 miliardi.
Il
conto lasciato dal grande Zonin – Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono
due storie parallele. Nel 2015 le azioni della prima valevano in tutto 6,2
miliardi, quelle della seconda 5 miliardi. Vaporizzate alla velocità della
luce. Nel 2015 la Vigilanza Bce-Bankitalia stabilisce che Zonin ha lasciato un
buchetto da 1,5 miliardi, da coprire con apposito aumento di capitale. Tutto
questo con Zonin ancora sul trono, indiscusso e indiscutibile, affiancato
dall’amministratore delegato Francesco Iorio, passato alla storia per
essere stato cacciato dopo meno di un anno e mezzo avere incassando non solo la buonuscita
milionaria ma anche la buonentrata. Unicredit si presta come
garante dell’aumento, ma poi scopre che nessuno sottoscrive e il miliardo e
mezzo ce lo deve mettere lei. Panico. Nasce il fondo Atlante che raccoglie 4,2
miliardi tra le banche e le Fondazioni per andare in soccorso delle due venete.
Mette 1,5 miliardi su Vicenza e 1 miliardo su Veneto Banca a giugno 2016.
Subito dopo scopre che il buco è ben maggiore e il presidente della
Fondazioni Giuseppe Guzzetti denuncia che i prospetti dei due aumenti
di capitale erano falsi. Bce e Bankitalia fischiettano. A fine 2016
Atlante deve mettere un altro miliardo per non far chiudere le due banche.
Inizia la trattativa infinita con Bruxelles per l’intervento statale. Solo a
giugno Padoan, dopo mesi di studio, scopre che le due banche non hanno i
requisiti per la “ricapitalizzazione precauzionale”, ed è
subito liquidazione coatta amministrativa, con Intesa Sanpaolo che si
prende tutta la polpa con tanto di contributo miliardario e garanzie dello
Stato. Il conto finale sfiora i 33 miliardi di euro.
Il
conto lasciato da Etruria & C. – In confronto a Mps
e alle venete il caso appare di modesta entità. Però anche qui, degli 8,4
miliardi di costo totale del disastro, 5,8 ce li ha messi il sistema bancario.
Ma il denaro non si crea e non si distrugge. Le banche si stanno già rivalendo
sui correntisti aumentando i costi di tenuta dei conti.
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