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di Michele Fusco
Eran ottocento, eran giovani e forti e sono
ancora moderatamente sorridenti nonostante qualche delatore planetario abbia
piazzato in chiaro un infinito listone di potenti, tra cui questa nutrita
pattuglia di italiani che avrebbe depositato a Panama i suoi sudatissimi
risparmi. La Rete, moderna opinione pubblica a basso cabotaggio, ha subito
posizionato Luchino di Montezemolo in testa ai suoi “Mi piace”, ma onestamente
il giovanotto non è nemmeno una pulce al cospetto di mostri marini del calibro
di Putin e cent’altre teste di serie di caratura mondiale. Persino l’Unità si
accanisce sull’ex ferrarista semprinpiedi e su questo torneremo perché è il
termometro di una sinistra che non sa neppure come evolve il pensiero renziano
sull’argomento.
Una prima considerazione, esclusivamente
giornalistica, è che risulta evidente una spaccatura culturale all’interno del
gruppo Repubblica-L’Espresso. Il settimanale, che fa parte dell’Icij (Consorzio
internazione di giornalisti investigativi), consegna ai lettori la sua
inchiesta con l’idea evidente dello scandalo, con la consapevolezza
professionale che un enorme flusso di denaro, in grado di spostare gli
equilibri del mondo, ha origini sporche, se non criminali, comunque illecite.
Il quotidiano, che riceve in carico l’inchiesta, segue
disciplinatamente quel
flusso, “ospitando” parte dell’inchiesta con le firme di Biondani, Malagutti e
Sisti. Ma poi, quando si tratta di sottolineare un’identità, il proprio modo di
pensare, affida l’unico senso esterno a un commercialista milanese. Il titolo
dell’intervista è sin troppo chiaro: «Attenti, non tutto illecito ma il fisco
vigila», in cui si fa generosamente capire che “avere un conto a Panama è lecito
a due condizioni: a) devono essere conti nominativi; b) devono essere segnalati
nel quadro RW del Modello Unico oppure sotto alcune condizioni, possono essere
affidati in amministrazione ad una fiduciaria che si occuperà di svolgere le
funzioni di antiriciclaggio e di sostituto d’imposta”. Insomma, è difficile non
notare come Repubblica, quotidiano dall’identità etica, morale o moralistica
piuttosto marcata, decida di spendere la sua unica fiche in maniera
parzialmente rassicurante.
Tutto questo ha una sua origine precisa.
Perfetta e precisa. È esattamente l’idea di quella “Nuova Sinistra”, che doveva
certamente sfondare a destra per vincere (cit. Renzi), che qualche anno fa
affidò la sua riabilitazione
economico-finanziaria a Davide Serra. Il quale Serra tenne dotte serate milanesi sull’argomento
perché fosse finalmente chiaro a tutti che quella fiscalità di vantaggio (o privilegiata) che tanto agitava i sonni
anche di vecchi bacucchi liberali, e che spinse
quel pazzo di Bersani a definire il caymano Serra come un «bandito», fosse
rimodellata a nuova verginità sociale. Insomma etica e impresa. Etica e
finanza. Altro che paradisi fiscali.
Qui c’è un nodo cruciale dell’idea di
sinistra. C’è anche un passaggio decisivo della convivenza civile, di quel
fondamento etico che sono le pari opportunità, e in conseguente accesso. La visione renziana, mutuata sul pensiero di
Davide Serra, è che anche il mondo di Panama o delle Cayman o di qualunque
altro atollo fiscalmente incontaminato sia un mondo assolutamente lecito a
sinistra, come racconta il tributarista a Repubblica. E che dunque non ci sia
scandalo alcuno, se naturalmente i soggetti interessati rispondono ai requisiti
di legge. Ma si può legittimamente e
anche eticamente definire di sinistra un mondo costruito sul privilegio, un
mondo dove la quasi totalità dei soggetti non può avere accesso, una condizione
sociale il cui interesse primario non è quello di contribuire al benessere del
tuo Paese ma ingrassarne un altro, ingrassando se stessi? Questa è una visione
assolutamente lecita, autorevolmente lecita, ma ciò che non può essere
consentito è di chiamarla Sinistra. Nella migliore delle ipotesi, è una forma
estrema di neo-liberismo.
La povera
Unità oppone come una festa il fatto che non ci siano renziani nel listone
planetario, mostrandosi assai poco smart e soprattutto poco consapevole del
pensiero del Capo. Se si dovesse scoprire che Luchino di Montezemolo e altri
con lui hanno portato tonnellate di denari a Panama osservando la legge, questo
sarebbe il regalo più bello e atteso per il presidente del Consiglio e per il
suo mentore londinese che gli fece da precettore. Significherebbe che lo
sfondamento a destra è avvenuto davvero, per via di Panama, destinazione
paradiso.
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