da: Lettera 43
Il
presidente dell'Inps: «L'Italia rischia di perdere intere generazioni». I
30enni, a causa della discontinuità contributiva, vedono slittare l'assegno
sempre più in là.
Disoccupazione giovanile a livelli
«assolutamente intollerabili» e il rischio di avere «intere generazioni perdute
all'interno del nostro Paese».
Il presidente dell'Inps Tito Boeri, a
margine del Graduation Day all'Università Cattolica, lancia l'ennesimo allarme
sulla tenuta del sistema pensionistico italiano, sottolineando la necessità di
introdurre «flessibilità in uscita in tempi stretti, anche perché c'è una
penalizzazione molto forte dei giovani».
IL RITIRO DAL LAVORO SEMPRE PIÙ LONTANO. E
sono sempre i giovani, la generazione nata negli Anni 80, che con le regole
attuali rischia di dover continuare a lavorare fino a 75 anni. L'Inps ha
studiato la loro storia contributiva, prendendo come riferimento un universo di
lavoratori dipendenti e di lavoratori artigiani, che oggi hanno in media 36
anni. Dall'indagine è emerso come per un lavoratore tipo ci sia «una
discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione,
di circa due anni».
IL BUCO CONTRIBUTIVO COSTA CARO. Un buco
destinato a pesare sui requisiti per maturare la pensione, che a seconda della
lunghezza dell'interruzione stessa arriva a slittare fino ai 75 anni. Con ciò,
ha tenuto a sottolineare Boeri, «non voglio terrorizzare, ma solo rendere
consapevoli dell'importanza della continuità contributiva». Ma lo studio parla
chiaro: «Due anni senza contributi costeranno alla generazione dei nati negli
Anni 80 un ritardo nel conseguimento della pensione anche di 5 anni, portando
così la possibilità di andare in pensione a 75 anni di età».
PART-TIME IN USCITA, MISURA SPERIMENTALE.
Uno degli strumenti di flessibilità in uscita dal mondo del lavoro ipotizzati
più di recente è il part-time in uscita. Non mancano tuttavia alcune criticità,
come ammette lo stesso Boeri: «Ci sono limiti di stanziamento, quindi la misura
non potrà riguardare più di 30 mila lavoratori nel giro di tre anni. Valuteremo
il provvedimento con attenzione, è una sperimentazione e come tale va studiata.
Per questo non si può dare un giudizio prima».
APPELLO AL GOVERNO: «IL PROBLEMA VA
AFFRONTATO ADESSO». Boeri ha lanciato poi un appello al governo, proprio mentre
il ministro dell'Economia Padoan sembra aver aperto qualche spiraglio,
affermando l'esistenza di «possibili margini di trattativa». Il numero uno
dell'Inps ha detto che «le nostre proposte le abbiamo fatte ormai quasi un anno
fa e le abbiamo presentate al governo. Il nostro contributo lo abbiamo dato,
adesso spetta alla politica decidere cosa fare. Io mi auguro che qualcosa venga
fatta. Il tema dell'uscita flessibile è un tema che va affrontato non fra
cinque anni, ma adesso».
ARRIVANO LE BUSTE ARANCIONI. E manca poco
ormani all'arrivo delle prime 'buste arancioni', che l'Inps recapiterà agli
italiani per fare chiarezza su ciò che li attende in chiave previdenziale:
«Questa settimana partono le prime 150 mila», ha spiegato Boeri, «contengono
informazioni di base con cui noi ci allineiamo ai dati della Ragioneria
generale dello Stato. Sono molto utili a chi le riceverà: ricostruiamo infatti
la carriera contributiva passata con l'estratto conto contributivo e chiediamo
alle persone di verificarne anche l'esattezza. In secondo luogo, mettiamo in
luce il rapporto tra i contributi versati e la pensione e quando sarà possibile
andare in pensione, oltre al legame della crescita economica e delle carriere e
delle pensioni individuali».
PARTITE IN RITARDO «PERCHÉ CI SONO LE
ELEZIONI». Il presidente dell'Inps non ha rinunciato a una stoccata rivolta al
mondo politico. Le 'buste arancioni' hanno incontrato «tantissimi ostacoli,
perché, lo voglio dire con sincerità, c'è stata paura nella classe politica,
paura che dare queste informazioni la possa penalizzare. Ha pesato la paura di
essere puniti sul piano elettorale».
Se arriviamo tutti interi.
RispondiEliminaCiao Sara....hai proprio ragione!
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