da: http://www.greenme.it/informarsi
Cosa
sono le trivelle?
Forse non tutti sanno che cosa sono
realmente queste benedette trivelle, per cui in molti non hanno la reale
percezione dell’enormità della cosa. La trivellazione è uno scavo, una perforazione in profondità eseguita nel terreno per la
ricerca, in questo caso, di giacimenti petroliferi e di gas. Ma intaccare
così un ambiente prezioso come il mare per cercare i cosiddetti idrocarburi e
per estrarre gas non è cosa da prendere alla leggera: quelle cose enormi che
vedi in mezzo al mare, figlio mio, che si chiamano piattaforme e che deturpano
pure il paesaggio (cioè, lo fanno diventare brutto brutto) possono rilasciare
sostanze chimiche tanto pericolose per il mare, con un forte impatto
sull’ambiente e sugli esseri che dentro al mare ci vivono. Per non parlare di
tecniche come l'airgun (ma questo è una cosa che conoscono solo i grandi,
forse), che sono delle esplosioni di aria compressa che alla fauna marina certo
un po’ di noia la danno.
Ricordatevi che le piattaforme soggette a
referendum, secondo dati Legambiente,
ad oggi producono il 27% del totale del gas e il 9% del greggio
estratti in Italia. Nel 2015, la produzione è stata di 542.881 tonnellate
di petrolio e 1,84 miliardi di Smc (Standar metri cubi) di gas.
Perché
è pericoloso estrarre gas e petrolio
Già di per sé l’estrazione è un’attività
che inquina: ovunque essa venga fatta, si può capire, figlio mio, che ha sempre
un forte impatto sull’ambiente e ha effetti poco felici per l’habitat degli
animali. Estrarre gas e petrolio alimenta poi quella industrietta che porta
centinaia di quattrini a pochi eletti che è l’industria dei combustibili
fossili (il petrolio, il gas e anche il carbone), che a sua volta fa uso di
tantissimi prodotti chimici più o meno tossici, dall’estrazione fino alla
combustione. Ti faccio qualche esempio: il benzene, che è usato come solvente
per l'estrazione e la lavorazione del petrolio, del carbone e del metano, e che
trovi in tante cose e prodotti, è un noto cancerogeno. Cioè, provoca tumori. Ma
anche con la formaldeide non si scherza, e si usa quando si frattura con acqua
a pressione e sostanze chimiche la roccia e l'argilla nel sottosuolo per
liberare il gas metano intrappolato nei pozzi. Uno scherzetto non da poco che
l’industria petrolifera non ti sta lì a spiegare.
Ci
sarà pure qualcuno che su queste piattaforme ci lavora. Dal 18 aprile che fine
fa?
Si perdono, insomma, posti di lavoro? La
domanda delle domande. Quella che mettono in campo tutti i detrattori del
referendum, basandosi per la risposta su un’accozzaglia di dati lasciati alla
rinfusa. Ebbene, in questo Paese dove la politica per un lavoro dignitoso è un
passatempo, un gioco a scacchi, una bazzecola di poco conto che però, intanto,
a me non darà la pensione e a te forse nemmeno un futuro qui, il problema ora
è: i posti di lavoro che si perdono se al referendum vincono i sì.
Innanzitutto, quello che non si vuole dire
è che un esito positivo del referendum farebbe cessare solo progressivamente,
alla naturale scadenza, ogni attività petrolifera in corso. Prima che il
Parlamento introducesse la norma sulla quale dobbiamo esprimerci il 17 aprile,
le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di trent'anni (più
altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo
sapeva al momento del rilascio della concessione. Se la maggioranza vota Sì, le
piattaforme non chiuderanno il 18 aprile ma saranno semplicemente ripristinate
le scadenze delle concessioni rilasciate senza ulteriore proroga. È inutile qui
sgranare dati e “fonti ufficiali”. Fossi del tutto disinteressata, voterei
comunque sì per ripicca a tutta la cialtroneria dei dibattiti in tv.
Ma
se il gas ci fa campare, se vincono i sì come facciamo?
In pratica: i giacimenti italiani
soddisfano il nostro fabbisogno energetico? Altre parolone. Ricordiamoci che
l’Italia dipende da sempre sulle importazioni di petrolio e di gas da
altri Paesi, ma incrementare ora con tante trivelle in mare le estrazioni di
gas e petrolio non sarebbe direttamente collegato al soddisfacimento,
indipendente dall’estero, del nostro fabbisogno energetico (cioè di quanta
energia abbiamo bisogno per sostenerci). Secondo le ultime stime del Ministero
dello Sviluppo Economico effettuate sulle riserve certe e a fronte dei consumi
annui nel nostro Paese, anche qualora le estrazioni petrolifere e di gas
fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute
sarebbero comunque poche e insufficienti. Considerando il poco petrolio
presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il
fabbisogno nazionale di greggio per 7 settimane e le riserve di gas per appena
6 mesi.
Se
l’Italia non continua a mettere le trivelle, trivellerà qualcun altro nel
nostro mare?
Quel qualcun altro è la Croazia e il mare
è, ovvio, l’Adriatico. Allora: no. Nel Mar Adriatico l’Italia è l’unico paese
ad avere decine di concessioni e piattaforme in mare anche a ridosso della
costa. La Croazia ha 19 piattaforme per l’estrazione di gas a ridosso del
confine delle acque di sua competenza, mentre il Governo croato ha già firmato
una moratoria contro le nuove trivellazioni. La moratoria segue di qualche mese
la rinuncia da parte di due compagnie petrolifere a proseguire le attività di
ricerca di giacimenti in acque croate su 7 delle 10 aree che il Governo aveva
dato in concessione.
Ma
se vincono i sì e poi non si fa quello che si è deciso?
Si possono aggirare i risultati? I soliti
furbetti ne sarebbero capaci. “Fatta la legge, trovato l’inganno”, è un detto
che va molto di moda nel Paese in cui vivi, figlio mio. Ma se vincono i sì, la cancellazione
di quella norma che per ora permette ai signori del petrolio di estrarre gas e
petrolio senza limiti di tempo sarebbe operativa sin da subito. L’obiettivo del
referendum è chiaro ed è quello di far sì che il divieto di estrazione entro le
12 miglia sia assoluto e il Parlamento non può poi modificare il risultato che
si avrebbe con la consultazione referendaria.
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