da: http://www.huffingtonpost.it/
Se in quei giorni della primavera del 2013
il Movimento 5 Stelle, risultato primo partito italiano alle elezioni
politiche, avesse detto sì a Pierluigi Bersani, vincitore nelle urne ma solo
per qualche migliaio di voti, avremmo la stessa Italia di oggi? Forse sì, forse
no. Con Bersani premier non ci sarebbe stato probabilmente un secondo mandato
di Napolitano, e nemmeno forse Mattarella sarebbe oggi al Quirinale. Non ci
sarebbe stato un governo Letta, né un governo Renzi - o forse no, entrambi
avrebbero avuto ugualmente quel ruolo, ma con percorsi e tempi diversi. E il Pd
forse si sarebbe lacerato, o sarebbe rimasto inchiodato, in un'alleanza come
quella con i Cinque Stelle, "spuria" rispetto alla sua storia. E il
"cambiamento" renziano sarebbe forse arrivato per questa strada
invece che quella delle primarie. Di certo Berlusconi e la destra sarebbero
andati in minoranza, nessun Nazareno all'orizzonte; ma forse no, forse alla
fine, in un eventuale collasso del premier Bersani, il cavaliere avrebbe
ritrovato la sua fortuna politica. Se.
E anche se la storia non si fa con i se, il
domandarsi oggi cosa poteva essere, è in fondo il modo migliore per capire
quanto l'ingresso del Movimento 5 Stelle sulla scena politica sia stato per
l'Italia un cambiamento in ogni caso decisivo.
Oggi che il loro fondatore è morto, il futuro del M5S avrà, nel bene e nel male, un identico impatto, ancora una volta.
Oggi che il loro fondatore è morto, il futuro del M5S avrà, nel bene e nel male, un identico impatto, ancora una volta.
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Casaleggio parlava appoggiato allo spigolo della finestra. Fuori un cortile, delle colonne, un universo ordinato, nelle stanze intorno un'attività intensa ma silenziosa. La "tana" di questo misterioso leader era in realtà un semplice, funzionale interno di azienda milanese. Eccetto per la raccolta di copertine di Tex Willer alle pareti della stanza del Capo, "ma non sono riproduzioni sono state tutte dipinte sul modello originale", spiegava con cenni di contentezza.
Casaleggio parlava, come si fa in attesa di
un'intervista che gli avrei fatto, un po' per cortesia, guardando fuori. Voce
quieta, frasi staccate. Parlava del futuro. E dei media. Non prediche, nessun
comizio, e lo sguardo sempre laterale. Del futuro gli interessava soprattutto
"quello che adesso non riusciamo a prevedere", le invenzioni,
l'impatto sulle scelte. Parlava di America. Era curioso della Rai e dei
giornali. Ma così, in maniera cortese, distaccata. Giusto per riempire il tempo
che precede, quale era il caso, una intervista. Difficilissimo immaginarlo in
altri panni che non fossero quelli di un signore colto, e piuttosto riservato.
Una immagine del tutto opposta a quella con cui negli ultimi anni era stato
presentato - un guru, un manipolatore, un minaccioso tiranno, o soltanto un
ridicolo ciarlatano - e che veniva brandita in una delle più virulente battaglie
politiche degli ultimi anni.
Nell'ora della sua morte, l'establishment
del paese ha immediatamente dismesso queste accuse, e lo saluta con
"rispetto" come si deve agli avversari. Ma la quasi isteria che ha
circondato la sua figura da vivo non va dimenticata, perché è il metro di
misura della forza e della diversità di un fenomeno politico che si è affermato
quasi malgrado sé stesso.
Le elezioni del 2013, che oggi ricordiamo
come "particolari" per molti motivi, portarono in Parlamento un nuovo
primo partito, che nessuno aveva visto arrivare. Una scossa che da sola bastava
al tran tran istituzionale. Cui si aggiunsero le caratteristiche dei nuovi
eletti, un gruppo di deputati e senatori variegati, indefinibili, e sicuramente
molto intensi. Al loro arrivo furono oggetto della enorme curiosità con cui si
accolgono i diversi: i loro zainetti, gli abiti non sartoriali, le teste non
ripassate dal parrucchiere, le gaffe davanti ai tornelli e i disorientamenti
nelle stanze parlamentari. Facevano infinite assemblee a porte chiuse,
rispondevano con brevi comizietti a ogni domanda, sfuggivano le telecamere e i
media, e, soprattutto, inveivano contro tutto e tutti.
Erano in sostanza, un gruppo di persone
ingenue, ben intenzionate e ostinate, ma fuori dagli schemi comodi della
"politologia": niente partito, solo Rete; niente voto ma
consultazioni dei cittadini; nessun privilegio, ma anzi restituzione delle
indennità parlamentari; e soprattutto nessun patto in quanto nessuna
integrazione con il potere, fosse esso di destra o di sinistra, perché tutto
inquinato. Insomma, un branco non assimilabile: li si derideva molto, li si
sminuiva molto. La singolarità della coppia di leader, un vocalissimo attore
Grillo e un silente uomo del web, fece il resto. Un movimento alieno era
atterrato in Parlamento. Ma dietro gli attacchi e le ironie, c'era soprattutto
paura di questa diversità. Il cui impatto di misurò da subito.
Dal rifiuto in poi di appoggiare Bersani
premier, il Movimento 5 stelle, piaccia o meno, ha cambiato corso alla storia
italiana. Ne ha cambiato la vicenda umana, ma anche il discorso pubblico.
Sdoganando la Rete come luogo, affossando il Partito come istituzione,
legittimando l'attacco alla ricchezza (altrui) come rivolta antipolitica,
rompendo i limiti del linguaggio ufficiale, e diventando, al contempo, la prima
ragione di una santa alleanza contro l'Antipolitica su cui si è poi ricostruito
un percorso di riaffermazione delle attuali istituzioni.
Non che i Pentastellati abbiano davvero
saputo o capito la loro stessa importanza. Negli anni da quel 2013 la loro
presenza soggettiva nelle istituzioni è apparsa alternativamente iperpolitica e
impolitica, macchiavellica a volte, ingenua o brutale altra. A contatto con
compiti infinitamente più grandi della loro stessa anticipazione, spesso il
movimento si è involuto, o spaccato, o diviso, in fenomeni di
autocannibalizzazione come non si vedevano da anni. In una specie di giostra
continua, in cui comunque la sua forza ha continuato a crescere, mantenendolo
in una zona di rilevanza politica in i suoi stessi dirigenti hanno spesso dato
l'impressione di stentare a credere.
Stentare a credere. Loro forse. Non
Gianroberto Casaleggio, uno dei due padri fondatori di M5S, che sapeva fin
dall'inizio che potevano aspirare a governare il paese, e sapeva anche che,
come disse in una intervista quello stesso anno, "in futuro il movimento
farà a meno di me e di Grillo".
Quel momento è arrivato. Proprio mentre il
M5s può portare a casa le sue prime vittorie sensazionali in alcune città d'Italia,
e può immaginare di poter davvero battere alle politiche il Premier Renzi,
Casaleggio ha perso la sua battaglia con la malattia. E il movimento si trova
oggi di fronte al momento più difficile della sua vita: diventare adulto di
colpo, senza più rete di salvezza, o piani di atterraggio. Con di fronte due
strade: quella del consolidamento (cedendo a un certo conformismo di sistema) o
della esplosione della diversità di tutte le sue anime. Un eventuale collasso
potrebbe ridefinire differentemente la dinamica destra/sinistra/ centro, così
come il suo diventare più partito potrebbe costruire la strada verso il
governo. In ogni caso, così come per il loro arrivo, anche l'attraversamento di
questo guado ridefinirà l'intero quadro politico.
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