da: http://www.glistatigenerali.com/ - di
Gianluca Roselli
Nei palazzi della politica non si sono mai
sopiti i sussurri sul fatto che il patto
del Nazareno non sia morto. O semplicemente che si sia trasformato in qualcos’altro. Un patto nascosto, silenziato,
sotterraneo. Addirittura carsico: torna
in superficie quando serve. Non sappiamo con certezza se questo sia vero o
meno, certo è che un filo rosso che tiene uniti i destini di Matteo Renzi e Silvio
Berlusconi sembra esistere. E resistere alla prova dei fatti. Prendiamo, ad
esempio, il fatto clou degli ultimi giorni, il referendum sulle trivelle. L’ex Cavaliere ha lasciato ai suoi
libertà di coscienza e Forza Italia si è divisa tra quelli che sono andati a
votare e chi è rimasto a casa. Berlusconi fa parte dei secondi. E ai suoi ha
confidato: “Questo referendum è una gran perdita di tempo e di soldi. I
cittadini chiedono sicurezza e lavoro. E’ stato un voto assolutamente inutile”.
Ossia le stesse identiche parole utilizzate dal premier. E’ vero che Berlusconi
e Renzi la pensano allo stesso identico modo su molti temi, ma la coincidenza
va registrata.
I teorici del “Nazareno occulto”, in queste
settimane, possono poi annotare sul taccuino un altro elemento non da poco. Qui
la location cambia: siamo a Palazzo dei Marescialli, giovedì pomeriggio, e il Csm ha appena finito di votare
per
eleggere il procuratore capo di Milano, incarico vacante dal 16 novembre 2015,
dopo l’addio di Edmondo Bruti Liberati. Durante il plenum per scegliere il capo
della procura più importante d’Italia è accaduto un fatto strano: la rappresentante di Forza Italia, Elisabetta
Alberti Casellati, ex senatrice forzista ed ex sottosegretaria alla
Giustizia, ha espresso la sua preferenza per Giovanni Melillo, capo di gabinetto del ministro Andrea Orlando in
Via Arenula. Insomma, dalla rappresentante berlusconiana è arrivato l’unico
voto ottenuto dal candidato del governo, cioè di Renzi, che ha buttato in campo
Melillo per mettere il bastone tra le ruote a Francesco Greco, il favorito. La
Casellati non è una qualunque: fedelissima
di Berlusconi, è lei che l’ex premier mandava nell’agone delle trasmissioni
più calde per difenderlo e contrattaccare su giustizia e inchieste. Era lei
l’ospite più assidua in tv ai tempi della decadenza berlusconiana a causa della
legge Severino. E sempre lei venne immortalata
a protestare proprio davanti al tribunale di Milano insieme a una truppa
forzista l’11 marzo 2013, primo giorno del processo Ruby.
Occorre dire che le correnti dei magistrati
sono diverse e non sovrapponibili con quelle della politica (Melillo fa parte
di una corrente di sinistra chiamata Area) e che all’interno delle toghe
entrano in gioco altri fattori rispetto alla semplice appartenenza ideale. Ma
il dato, registrato dai cronisti più attenti, è clamoroso. Cosa può far venire
l’acquolina in bocca a Berlusconi più che influenzare a suo vantaggio la nomina
della procura che più lo ha tartassato nei suoi vent’anni di politica? Tanto
più che la nomina di Greco (3 voti giovedì) andrebbe a incastrarsi come in un
puzzle con quella di Piercamillo Davigo all’Anm in una sorta di rinascimento
2.0 di Mani Pulite. Insomma, meglio Melillo. O il terzo candidato, Alberto
Nobili (anche lui una preferenza). La Casellati è lì e farà pesare il suo voto
anche alla prossima tornata, prevista per maggio.
Poi c’è Roma. Al momento non sappiamo se davvero l’ex Cav continuerà a
insistere su Guido Bertolaso. Ieri
sembrava più probabile la resa, oggi invece sembra prevalere la resistenza. Di
sicuro Berlusconi vuole difendere il “dottor Guido” come candidato, e non
è un caso se dall’incontro di ieri tra i due sia uscita la smentita di
sondaggi che vedrebbero l’ex capo della protezione civile al 6%. Del resto
nei palazzi romani si racconta una partita diversa. E cioè che a Berlusconi del Campidoglio non
importi nulla (anzi consideri una iattura vincere a Roma) e finora il suo
obbiettivo non sia stato altro che dare
una mano a Renzi per facilitare la strada al “suo” candidato, Roberto
Giachetti. Se, infatti, a Milano il
premier con Beppe Sala rischia grosso perché Stefano Parisi gli sta col fiato
sul collo e a Napoli Luigi De
Magistris è favorito su Valeria Valente, per
Renzi non arrivare al ballottaggio a Roma con il suo fedelissimo Giachetti
avrebbe il sapore di una deblacle totale. Da qui, raccontano le malelingue
capitoline, la sponda dell’ex Cavaliere che avrebbe volutamente sgretolato una
coalizione che, unita, avrebbe avuto reali possibilità di andare al
ballottaggio e anche di vincere. Invece il centrodestra è ancora in campo con quattro candidati destinati a fine incerta:
Bertolaso, Marchini, Meloni e Storace. Un cadeaux coi fiocchi per il presidente
del consiglio da parte del suo ex alleato. Del resto, anche qualora il
candidato Bertolaso fosse spinto a lasciare il campo, si aprirebbe una nuova
partita, per Forza Italia: convergere sulla Meloni, o darle battaglia con Alfio
Marchini? Una scelta non neutra, anche per capire gli interessi più ampi che
l’ex cavaliere sta mettendo in campo, mentre finge di giocare la sua
partita del Campidoglio.
Infine, il caso Verdini. Che, da quando ha
lasciato Forza Italia, viene trattato
con i guanti bianchi dai parlamentari
berlusconiani e dalla stampa vicina agli azzurri. Tutt’altro tono rispetto al divorzio di Angelino Alfano, quando il
ministro dell’Interno già dal giorno dopo era additato come un traditore della
peggior specie. Per non parlare di Gianfranco Fini. Su Verdini, invece,
silenzio, rispetto, comprensione. Sorge dunque il sospetto che il legame tra Silvio e Denis non si sia mai
spezzato davvero e che, anzi, il divorzio da Forza Italia, la nascita dei
gruppi di Ala e il suo sostegno al governo Renzi sia avvenuto con la
benedizione di Berlusconi. Magari la questione non sarà letteralmente in questi
termini. Ma è significativo che uno dei più fidati confidenti di Verdini sia Antonio
Angelucci, deputato di Forza Italia intimo di Berlusconi nonché editore di
Libero. I due, Verdini e Angelucci, sono inseparabili. E gli spifferi dei
palazzi sussurrano che sia proprio lui, l’imprenditore
della sanità che in passato salvò dalla bancarotta il banchiere Verdini
scucendogli senza colpo ferire 10 milioni di euro, il tramite con cui Silvio e
Denis comunicano. O quello attraverso cui si controllano a vicenda. Che poi è
la stessa cosa.
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