da: Il Fatto Quotidiano
Da
vent'anni a Palazzo Chigi, è stata nelle scorse settimane al centro delle
polemiche anche per l’affaire orologi raccontato dal Fatto Quotidiano. E' lei
la dirigente responsabile della scelta di coprire le sculture di nudo dei Musei
Capitolini prima della visita del presidente iraniano a Roma
Sempre elegante e mai sgarbata, la signora Ilva Sapora è la dirigente di Palazzo Chigi che ha bardato le statue ignude del Campidoglio per non
indispettire Hassan Rohani, il presidente iraniano in viaggio
a Roma munito di un catalogo di appalti miliardari da assegnare ai costruttori
italiani. Più che un eccesso di zelo (definizione di governo), qui c’è un
palese eccesso di zeri. Non sussiste un rapporto di ignoranza fra la Venere
Esquilina censurata e la signora Ilva Sapora crocifissa: in realtà, senza
offesa, pure la Sapora è una statua. O con maggiore precisione: un monumento di
Palazzo Chigi, da vent’anni in ascesa. All’improvviso, precipita persino il
monumento più robusto. Proprio la Sapora ha contribuito al disastro dei Rolex in Arabia Saudita:
la figuraccia internazionale, il parapiglia scatenato dalla scorta di Renzi, il
maldestro tentativo di recuperare gli orologi.
Per interpretare il ruolo di Ilva Sapora va
squadernata la sua carriera. È una dipendente pubblica capace di resistere alle
intemperie politiche, di servire Matteo Renzi in giro per il mondo pur
conoscendo poco e male l’inglese (ammissione nel curriculum) e di salutare con
affetto Denis Verdini, l’altro toscano, durante le sue incursioni nel cortile
di piazza Colonna. È una donna rigida, allevata
da Gianni Letta, che rispetta il protocollo: quel manuale più o meno
scritto di regole che viene ispirato dall’inquilino di Palazzo Chigi, un
potente sempre temporaneo, mentre la Sapora pare eterna.
Renzi l’ha strappata dagli uffici che
dispensano onorificenze e medagliette: potere oscuro, però potere. Ha
sostituito Cristiano Gallo, un diplomatico, che per tre governi consecutivi ha
guidato il Cerimoniale: centrodestra con Silvio Berlusconi, misto tecnici con
Mario Monti, larghe intese con Enrico Letta. Un affronto mai deglutito
dall’esteso ambiente “Farnesina”, che esulta se la Sapora sbaglia. Non c’è
ambasciatore o funzionario che non racconti aneddoti contro la sciagurata Ilva.
Dopo
i capolavori di marmo, il capo del Cerimoniale ha coperto le facce di bronzo del ministro Dario Franceschini, dei
collaboratori di Renzi, di una corte che sta insieme per non affondare in
solitudine. Nessuno sapeva, tutti negano, persino l’evidenza. Chi ha
autorizzato la signora Sapora, chi ha reperito materiali e operai per
incapsulare il Dioniso degli Horti Lamiani?
In
momenti di convenienza, Renzi l’ha protetta. Perché la Sapora di segreti ne
maneggia. Adesso l’ha mollata. O almeno simula: il
segretario generale di Palazzo Chigi, senz’altro su indicazione del fiorentino,
ha ordinato un’inchiesta. Un processo a se stessi, in pratica.
Eppure non
è la prima volta che la Sapora nasconde le opere d’arte. È già accaduto a
Firenze, a inizio ottobre. Ancora incontri d’affari. L’ex sindaco Renzi ha ricevuto Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il
principe ereditario degli Emirati Arabi, di fatto il padrone di Alitalia: un
uomo, uno sceicco, un tesoro. C’era il solito codazzo di imprenditori e il
solito desiderio di commesse. Per non rovinare il bilaterale con all’ordine del
giorno i petrodollari, la Sapora ha
murato una scultura dell’americano Jeff Koons. Forse è un vizio del capo del
Cerimoniale o un vezzo dei capi di Ilva. Sta per finire. Perché presto
andrà in pensione: sì, la Sapora. Chissà il vizio.
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