Qualsiasi discorso sul reddito di cittadinanza, che sia da parte di coloro che lo vogliono abolire o limitare o da parte di chi lo vuole mantenere, dimostra ancora una volta il dilettantismo, la disonestà, l’incapacità della classe politica di tutto l’arco costituzionale.
Premessa: non si può dare nessun tipo di sussidio, reddito, ecc..se non si è in grado di determinare e controllare sistematicamente chi ne abbia veramente diritto e chi no. Chi evade le tasse potrebbe rientrare tra i soggetti beneficiari di sussidi. Inaccettabile. Stesso dicasi per chi non rispetta le leggi, che vive di criminalità piccola o grande. Vale per qualsiasi tipo di sussidio, reddito, bonus. È disonesto – lo dimostrano i dati – che ci si focalizzi esclusivamente sul reddito di cittadinanza.
Aggiungo alla premessa di cui sopra: di gente che ha solo voglia di guadagnare senza lavorare ce n’è parecchia (dipende anche dal lassismo familiare). E non solo al sud. Se volete vi presento alcune persone “nordiche” con poca voglia di lavorare. E non perché il salario sia da insulto.
Ciò premesso:
Punto 1: lo Stato dev’essere in grado di rilevare e controllare il reddito di ogni cittadino. Anche ficcando il naso nei suoi conti correnti. È ora di finirla con questa storia della privacy. È un alibi per evitare di essere controllati. Quelli che lamentano il mancato rispetto della privacy sono quasi sempre coloro che non sanno – o fingono di non sapere – che ogni volta che accendono il loro cellulare sono “pedinati” in ogni momento della navigazione in internet. Quelli che dicono: “non voglio che lo Stato sappia come uso i miei soldi” non sanno o fingono di non sapere che ogni volta che si accende un cellulare e si naviga c’è “chi sa” cosa guardiamo, cosa acquistiamo. Siamo controllati, monitorati, seguiti per motivi di marketing. E non solo.
La privacy è un diritto che deve necessariamente fare i conti con il dovere dello Stato di accertare, monitorare, far rispettare le leggi. Si può discutere del modo, degli strumenti. Non si discute sul fatto che lo Stato che eroga soldi – grazie a chi le tasse le paga – deve rilevare, controllare, monitorare.
Punto 2: nello specifico del reddito di cittadinanza.
I requisiti base erano sconosciuti a Di Maio che sbandierò un reddito di cittadinanza con “bachi” (seppure numericamente inferiori ai bachi della sua testa) e, se tanto mi dà tanto, potrebbero essere arabo pure per la Meloni che non mi pare stia brillando nello “studio”, dato le cazzate dette in Parlamento a Scarpinato e in relazione al metodo di applicazione degli incentivi interni da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Tali requisiti sono il presupposto gestionale e potranno essere implementati e corretti in relazione ai controlli, al monitoraggio. Nelle aziende private questi concetti sono noti. Ai governi italiani, no:
1. Presenza di una struttura pubblica (che si chiami agenzia del lavoro o pippo, pluto o paperino, è lo stesso) nella quale siano presenti figure professionali atte a selezionare i richiedenti il reddito. Accanto a figure di tipo amministrativo (quelle che nelle aziende private vengono funzionalmente definite Back Office), selezionatori. Cioè personale capace attraverso un colloquio di rilevare le caratteristiche dei richiedenti per indirizzarli verso una proposta lavorativa attinente;
2. la struttura deve disporre di strumenti informatici, operativi, che gli consentano di avere:
- dati relativi alle richieste di lavoro che devono quindi confluire nel suddetto sistema
- dati anagrafici dei richiedenti (singolo e/o familiari)
- dati relativi alle attività svolte dal richiedente precedentemente alla richiesta (dal sistema INPS)
- dati relativi ai redditi dei richiedenti
I dati sopra menzionati – ai quali si dovrebbero aggiungere quelli relativi ai carichi pendenti (richiesti dalle aziende private che selezionano direttamente) – consentono di “fotografare” la situazione familiare, lavorativa e reddituale. Ovviamente, chi evade il fisco, fornisce dati falsi. Ecco perché è indispensabile il collegamento diretto con l’Agenzia delle Entrate e i controlli ante e post richiesta di reddito di cittadinanza.
Il selezionatore, con i dati disponibili e in base al/ai colloqui con il richiedente, è in grado di proporre un’attività lavorativa che non necessariamente dev’essere quella svolta in precedenza. Solo un selezionatore – non un addetto amministrativo – è in grado di definire una proposta lavorativa. Proposta lavorativa che, ovviamente, deve presentare condizioni accettabili in termini di stipendio e di distanza dalla residenza e che può comportare un periodo di formazione. L’eventuale rifiuto in presenza di una proposta adeguata alle caratteristiche e alla situazione familiare e reddituale dovrebbe comportare la non assegnazione del reddito di cittadinanza. Va però prevista la possibilità di fornire una motivazione del rifiuto derivante da cause non previste durante la preparazione della pratica e va definito chi, all’interno della struttura, ha facoltà di accettare il rifiuto rimandando ad altra proposta o a confermarlo. Il selezionatore non può essere il “giudice del rifiuto”. Tale compito dovrebbe essere del responsabile della struttura. Ovviamente, nel sistema informatico di cui dispone la struttura devono essere registrati i dati relativi al rilascio del reddito, alla sua sospensione o alla sottoscrizione della proposta di lavoro, al rifiuto, alle conseguenze dello stesso (accettazione o conferma). Altrettanto ovvio che tali dati devono essere disponibili in tutte le strutture, non solo in quella dove il richiedente ha presentato la richiesta di rilascio del reddito di cittadinanza.
Quanto
sopra mi pare il minimo cui si dovrebbe pensare per realizzare una gestione del
reddito di cittadinanza. Ma tali requisiti si possono estendere ad altre
tipologie di sussidio. Ma poiché abbiamo una classe politica che – tranne rare
eccezioni - non ha mai lavorato, che non possiede elementari conoscenze e logiche
gestionali, si continuerà ad elargire soldi anche a soggetti cui non spetterebbe
e ad escludere chi ne ha diritto perché ne ha veramente bisogno e si userà il
reddito di cittadinanza in modo improprio, cioè come totem da una parte e come
strumento da abbattere da parte di chi ha come ideologia base il mantenimento
dello status quo che favorisce alcune “classi elettorali” a discapito dei bisogni
della collettività.
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