da: Domani - di Giovanna Faggionato
Tetto al contante a 5mila euro: ecco l’urgenza del governo Meloni
L’esecutivo inserisce la misura nel decreto Aiuti quater, sulla carta destinato alla crisi energetica. E, beffa, la infila nella norma che incentiva i pagamenti elettronici e tracciabili.
Il primo a festeggiare è il leghista Alberto Bagnai. Il governo Meloni avrebbe dovuto inserire il rialzo al tetto del contante nella legge di bilancio e invece lo ha fatto subito inserito come comma dell’articolo sei del decreto Aiuti quater, cioè il decreto tanto annunciato e tanto atteso perché contenente la proroga delle misure per mitigare la crisi energetica e i rincari delle bollette.
Il forzista Giorgio Mulé solo poche settimane fa aveva dichiarato che il rialzo del tetto al contante sarebbe stato inserito in legge di bilancio e che questo dimostrava come non fosse la priorità del governo, la priorità infatti erano le bollette.
Mulé è stato platealmente smentito. E Matteo Salvini ha cinguettato su Twitter che il decreto rappresenta «altri passi in avanti, in coerenza col programma elettorale», elencando come primo passo proprio l’aumento al tetto del contante a 5mila euro.
Tra l’altro il comma è stato inserito nella norma che proroga gli incentivi sotto forma di credito di imposta per i commercianti che si dotano di strumenti per i pagamenti elettronici, con uno stanziamento di 80 milioni di euro. Un intervento coerente all’interno delle politiche del governo Draghi che prevedeva l’abbassamento del tetto a mille euro da gennaio e che ora suona come una beffa.
Altrettanto a sorpresa il decreto è anche stato usato per revisionare il Superbonus al 110 per cento, che resta comunque Super ma si riduce al 90. L’urgenza in questo caso è dovuta alla necessità di poter contare su risorse per la manovra finanziaria del 2023 e degli anni a venire, e infatti la norma specifica che tutti i risparmi andranno in un fondo da utilizzare per le prossime leggi di bilancio.
La rateizzazione garantita
In linea invece con il governo Draghi è il provvedimento sulla rateizzazione delle bollette delle imprese con garanzia pubblica: il dispositivo a costo zero per le casse pubbliche, e quindi molto interessante per un governo come l’attuale che è alla disperata ricerca di risorse per la legge di bilancio, era stato annunciato dall’ex premier e aveva subito visto l’adesione di istituti di credito come Intesa San Paolo, ora l’esecutivo Meloni lo mette in pratica.
Le imprese potranno rateizzare le bollette per i consumi registrati a partire dal primo ottobre scorso al 31 marzo 2023 e fatturati entro il 31 dicembre 2023 per un massimo di 48 rate mensili. La garanzia sarà offerta da Sace e le banche non potranno imporre un tasso di interesse superiore «al rendimento dei buoni del Tesoro poliennali (Btp) di pari durata».
Viene prorogato il credito di imposta a favore delle imprese energivore per l'acquisto di energia elettrica e gas naturale: si tratta di un credito al 40 per cento per le bollette e al 30 per cento per le altre attività. E anche le tariffe gas a maggiore tutela dureranno per tutto il 2024.
Il taglio delle accise
Fino a fine anno viene esteso anche il taglio delle accise su benzina, gasolio, Gpl e gas naturale e il taglio dell’aliquota Iva sul gas naturale al 5 per cento. Il governo ha scelto su questo di non toccare gli interventi messi in campo dall’esecutivo precedente, nonostante l’ufficio parlamentare di bilancio avesse avvertito che si poteva valutare una rimodulazione per proteggere le classi sociali più fragili.
Lo sconto sulle accise è stato per la prima volta introdotto in primavera: il primo mese la misura era costata circa 300 milioni, poi si era arrivati progressivamente a un costo di circa 500 milioni di euro al mese. Ad esclusione delle misure per l’autotrazione che sono destinate a un comparto specifico, lo sconto ovviamente non fa differenza tra chi può permettersi di pagare di più il carburante e chi no.
Secondo l’analisi dell’ufficio parlamentare sugli interventi del governo Draghi, il 10,4 per cento delle risorse “liberate” dalle misure generalizzate contro i rincari va a favore dei redditi più alti, che sono anche quelli che hanno un livello maggiore di consumi energetici. Del taglio dell’accisa, la fascia dei redditi più alti, il decimo decile, ne beneficia per una quota pari al 2,6 per cento, mentre i più bassi, il primo decile, appena per lo 0,4 per cento.
Lo stesso fenomeno, dice l’Upb, riguarda anche la riduzione degli oneri di sistema su elettricità e gas e il taglio dell’Iva sul gas, ma in misura minore. Fino a maggio gli interventi dell’esecutivo Draghi erano stati molto efficaci e avevano praticamente sterilizzato l’inflazione, ma dall’estate non sono più riusciti a stare al passo coi rincari.
Per questo faceva notare l’Upb «se si riducesse di circa il 50 per cento lo sconto sulle accise sui carburanti e si utilizzassero le risorse così liberate per trasferimenti compensativi, l’aggravio di spesa a carico del primo decile (il più povero, ndr) si ridurrebbe di 0,6, 0,9 o 1,3 punti, a seconda che la compensazione monetaria fosse erogata con modalità analoghe al bonus 200 euro, al bonus 150 euro o ai nuovi bonus sociali».
Il governo Meloni per ora ha varato un importante decreto sull’indicizzazione all’inflazione degli assegni pensionistici ma sull’equità lascia molto a desiderare. Nel decreto aiuti quattro c’è l’aumento della detassazione di straordinari e fringe benefit, cioè i benefici che le aziende possono destinare ai propri dipendenti anche per far fronte ai rincari delle bollette, ma ovviamente non è detto che tutte le imprese li offrano.
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