da: Domani – di Paolo Gerbaudo sociologo
Un tempo i partiti socialdemocratici facevano campagna sulla lotta alla criminalità perché sapevano che l’insicurezza è dovuta a disuguaglianze e povertà e non al lassismo progressista
I primi passi di un governo ne segnano fortemente l’identità e la percezione pubblica dei suoi obiettivi. E questo è il caso del primo provvedimento significativo preso dal governo di Giorgia Meloni, l’ormai famoso “decreto anti rave”, che prevede pene molto pesanti per chi organizza feste illegali occupando proprietà privata; pene addirittura superiori a quelle di chi commette un omicidio colposo.
La misura, denunciata da un lato per il suo carattere liberticida e ridicolizzata dall’altro come segno dell’istinto reazionario e ruspante della destra post fascista italiana, è un gigantesco specchietto per le allodole. Serve a distrarre la popolazione dai tanti problemi che attanagliano il paese e dalle promesse fatte in campagna elettorale (a partire dalla flat tax) che questo governo non potrà mantenere.
Ma come con tutti i sotterfugi, ciò che è interessante sono anche le ragioni per la sua efficacia. Perché la promessa di ordine e legalità ha così tanto richiamo presso una certa fascia dell’elettorato, peraltro alquanto composita? E perché il governo più di destra della storia repubblicana ha scelto di dare la sua prima battaglia all’opposizione proprio su questo campo, anche al costo di sfidare il ridicolo?
Tema popolare
Di fatto la legge anti rave, lanciata in parallelo a una nuova guerra contro le ong degli immigrati dopo quella del 2018-19, è una tattica che fa parte di un collaudato armamentario politico e retorico “legge e ordine”, che è stato uno dei tratti distintivi dalla cosiddetta “nuova destra”, sorta nel Dopoguerra in risposta all’egemonia socialdemocratica e al montare di movimenti sociali. Il suo obiettivo? Riconnettere le forze di destra, a quel tempo sulla difensiva sul terreno socio-economico, con il sentire dell’elettorato popolare, facendo leva su un desiderio di sicurezza che è in qualche modo universale, ma risignificando questo concetto in un segno puramente repressivo in tempi segnati da forti conflitti sociali e aumento della criminalità.
Oggi, quando si sente la parola “sicurezza”, immediatamente la si associa al lessico della destra. Ma durante i primi decenni successivi al secondo conflitto mondiale di fatto era una parola di sinistra, che campeggiava negli slogan di molte campagne elettorali di formazioni socialdemocratiche.
Come nei poster del Labour della campagna del 1945 che avrebbe portato alla creazione della Nhs, modello per molti altri servizi sanitari nazionali in giro per il mondo. In modo simile i socialdemocratici svedesi avevano adottato come slogan la frase «le persone sicure prosperano». Questo discorso presentava l’insicurezza come uno stato di cose di tipo socio-economico, dovuto all’imperversare dei “cinque giganti cattivi”: la fame, la malattia, l’indigenza, lo squallore e l’ignoranza (per citare Beveridge il fautore dello stato sociale britannico). Nel discorso socialdemocratico anche il crimine, lungi dall’essere puramente un problema morale, andava ricondotto a queste radici sociali. La retorica legge e ordine della nuova destra ha invece ribaltato interamente l’analisi: il crimine era il prodotto del lassismo progressista e di pigrizia e degrado indotti dall’assistenzialismo dell’era socialdemocratica.
Le origini del law and order
L’espressione “legge e ordine” (dall’espressione inglese law and order) entrò in maniera de finitiva nel dibattito pubblico a partire dai tardi anni Sessanta e Settanta, quando venne fatta propria da politici come Richard Nixon, George Wallace e poi da Ronald Reagan. Significativo nella consacrazione della frase fu il ruolo di Wallace, governatore dell’Alabama e candidato presidente nel 1968, che abbandonò i democratici in polemica con il Civil Rights Act del 1964 che tutelava maggiormente gli afroamericani che fino ad allora erano privati nella pratica di diversi diritti fondamentali specie negli stati del sud come l’Alabama. In questo contesto “mantenere legge e ordine” significava soprattutto tenere gli americani di colore al loro posto.
Nixon fece del termine una bandiera per cercare di intercettare settori della classe operaia bianca spaventati da rivolte urbane e aumento del crimine. Simile era l’uso del termine da parte di Ronald Reagan: promettere pugno duro contro il crimine e al contempo denunciare i fallimenti dei democrats a cui imputava la situazione di pesante degrado vissuta in grandi centri urbani, come New York, come conseguenza della crisi degli anni Settanta e delle politiche di austerità.
In molti casi questa promessa di riportare ordine era accompagnata da un attacco contro il welfare state. Nel caso degli Stati Uniti, i programmi sociali della “Great Society”, varati dal presidente democratico Lyndon B. Johnson, erano accusati di avere spinto molte persone alla pigrizia e di avere finito per incentivare e ricompensare chi viveva nel crimine. Un discorso che ricorda molto da vicino gli attacchi lanciati oggi giorno dalla destra e dal centro contro il reddito di cittadinanza, accusato di essere un sistema che «ha ingrossato le tasche dei criminali» per citare la giornalista di Libero Hoara Borselli, una delle più celebri agit-prop della nuova destra nazionalista.
La politica “legge e ordine” è dunque un mezzo che non serve solo per reprimere il crimine, ma anche per disciplinare i lavoratori accusati di essere vittima della propria stessa pigrizia anche per colpa di uno stato sociale che li scoraggerebbe a lavorare e li spingerebbe al degrado. Questo nonostante il fatto che, come dimostrato da diversi studi, il crimine pulluli proprio in contesti di indigenza e peggiori quando sussidi alla povertà vengono tagliati.
Spesso legge e ordine diventa così una cura sintomatica per la demolizione dello stato sociale e l’insicurezza sociale che esso genera. Se lo stato decide che non solo non può offrire posti di lavoro, ma non può neppure offrire un minimo di sussistenza alle classi popolari che non trovano lavoro, l’unico mezzo per garantire sicurezza, o quantomeno un suo simulacro, è aumentare il volto repressivo dello stato.
L’era neoliberale
Questo è in fin dei conti proprio quello che è successo durante i lunghi decenni del consenso neoliberale: mentre si tagliava senza pietà la spesa sociale, si aumentavano i fondi per le forze di polizia e cresceva il cosiddetto “lavoro di guardia” (security, guardie giurate, ecc.). A capeggiare questa svolta dallo “stato sociale” allo “stato carceriere” fu non solo la “nuova destra” ma anche politici della “terza via” come Bill Clinton.
Se da un lato Clinton archiviò lo stato sociale di Johnson con ancora più fervore di quanto aveva fatto Reagan dall’altro inasprì con ancora più durezza le pene verso chi violava la legge, spesso spinto dalla miseria e dallo squallore a cui venivano costretti sempre più cittadini privati dei sussidi di povertà. Provvedimenti come la Crime Bill del 1994, che portava all’ergastolo automatico per recidivi anche per piccoli reati come il possesso di droga, vide i carcerati Usa passare da uno a due milioni, rendendo «il paese delle persone libere» quello con il numero più alto dì persone in carcere per abitante al mondo. Tanto da spingere Clinton qualche anno fa a dichiararsi pentito.
Il ritorno trumpiano
Nonostante il disastro sociale e le tragedie individuali provocati dalla politica “legge e ordine”, la destra trumpiana è tornata a scommettere su questo tema nella campagna delle elezioni del midterm di questa settimana.
L’offensiva dei repubblicani su questo tema parte da un dato oggettivo: il numero di omicidi per abitanti è tornato al livello degli anni Novanta. Inoltre molti cittadini statunitensi temono per la propria sicurezza e quella della loro proprietà, nonostante rapine e furti rimangano invariati. Ma non c’è dubbio che i repubblicani giochino su questo tema anche per ragioni ideologiche, sapendo di potere avere facile gioco nell’attaccamento all’atteggiamento infantile di alcuni settori del Partito democratico che hanno adottato lo slogan “aboliamo la polizia”, popolarizzato dalla seconda ondata del movimento Black Lives Matter, scatenata dall’omicidio di George Floyd da parte di agenti del dipartimento di polizia della città di Minneapolis, nel maggio del 2020.
Sicurezza sociale
È ovvio che la polizia, negli Stati Uniti come altrove, debba essere resa democratica ed epurata di elementi reazionari e razzisti. Tuttavia il discorso abolizionista è di una tale ingenuità che sembra disegnato da un propagandista di estrema destra come mezzo per mettere in luce la mollezza dei progressisti.
Lo stato contiene sempre un elemento repressore dato che è un grande apparato di violenza organizzata: come diceva Weber detiene il monopolio della violenza legittima. Tuttavia pensare di abolirlo è una posizione che appartiene più alla sfera religiosa che a quella politica, e anche chi a parole ci ha provato ad “abolirlo” ha spesso partorito sistemi ancora più violenti e autoritari. Piuttosto la sinistra dovrebbe rivendicare l’idea di sicurezza che è asserire che, per quanto la legge debba essere rispettata e il crimine combattuto, non c’è nessuna vera “sicurezza” in senso lato che possa essere ottenuta solo per mezzo della canna del fucile o del manico del manganello.
Contro l’idea securitaria della destra è necessario recuperare un’idea di sicurezza sociale e integrale, che riconosce che tutti hanno diritto a vivere una vita tranquilla e degna e che il crimine stesso è spesso il prodotto dell’insicurezza sociale nella sua forma più estrema: lo squallore e l’indigenza. In fondo, neppure il ricco che non si possa dotare di un esercito privato può dormire sonni troppo tranquilli in un mondo in cui la sua ricchezza fa il paio con la miseria crescente della maggioranza della popolazione. Solo in questo modo potrebbe evitare di cadere nella trappola ideologica del discorso “legge e ordine”, in cui purtroppo tuttavia molti progressisti continuano a cadere, negli Stati Uniti come in Italia.
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